Odi barbare
L’operazione tentata da Carducci era certamente ardita, ma non era nuova: già gli umanisti fiorentini (Leon Battista Alberti in particolare) avevano caldeggiato la trasposizione della metrica classica nella poesia italiana, poi realizzata – nel XVI e XVII secolo – da autori come Gian Giorgio Trissino e Gabriello Chiabrera.
Per rendere il ritmo dell’esametro, Carducci unisce un quinario o un senario o un settenario o un ottonario con un ottonario o un novenario o un decasillabo; per formare un pentametro utilizza un quinario o un senario o un settenario a cui fa seguire un settenario o un senario. Prendiamo come esempio il distico che apre l’ode barbara Nevicata: «Lenta fiocca la neve pe ’l cielo cinerëo: gridi, / suoni di vita più non salgon da la città». Il primo verso, cioè l’esametro, è reso abbinando un settenario (Lenta fiocca la neve) con un novenario (pe ’l cielo cinerëo: gridi), il secondo, il pentametro, mediante un settenario tronco (suoni di vita più) con un ottonario, anch’esso tronco (non salgon da la città).
L’ispirazione classicistica della raccolta non si limita a questo ingegnoso aspetto formale, ma si estende a quello tematico: troviamo infatti in molti componimenti la celebrazione del periodo romano e medievale (in testi quali Dinanzi alle terme di Caracalla o Nella piazza di San Petronio) e le consuete memorie storiche.
Altre liriche invece confermano la tendenza al chiaroscuro, tipica della poesia carducciana: prevale da un lato la solarità di immagini, con cui viene resa e rivissuta l’epoca pagana; dall’altro la cupezza che contraddistingue la meditazione sulla morte e un angosciato ripiegamento psicologico (Nevicata; Alla stazione in una mattina d’autunno, ▶ T1, p. 57).
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento