Odi barbare

Odi barbare

Considerate come la più significativa espressione del classicismo carducciano, le Odi barbare prendono il nome dall’esperimento metrico messo in atto dall’autore. Nelle 50 poesie della raccolta (la cui prima edizione è del 1877 mentre quella definitiva risale al 1893), Carducci cerca di riprodurre la metrica quantitativa latina, basata sulla distinzione fra sillabe lunghe e brevi, attraverso quella accentuativa italiana, in cui il verso è scandito dagli accenti ritmici. A giudizio dell’autore, il risultato di questo esperimento rende le odi “barbare”, «perché tali sonerebbero agli orecchi e al giudizio dei greci e dei romani, se bene volute comporre nelle forme metriche della loro lirica, e poiché tali soneranno pur troppo a moltissimi italiani, se bene composte e armonizzate di versi e di accenti italiani».

L’operazione tentata da Carducci era certamente ardita, ma non era nuova: già gli umanisti fiorentini (Leon Battista Alberti in particolare) avevano caldeggiato la trasposizione della metrica classica nella poesia italiana, poi realizzata – nel XVI e XVII secolo – da autori come Gian Giorgio Trissino e Gabriello Chiabrera.

Per rendere il ritmo dell’esametro, Carducci unisce un quinario o un senario o un settenario o un ottonario con un ottonario o un novenario o un decasillabo; per formare un pentametro utilizza un quinario o un senario o un settenario a cui fa seguire un settenario o un senario. Prendiamo come esempio il distico che apre l’ode barbara Nevicata: «Lenta fiocca la neve pe ’l cielo cinerëo: gridi, / suoni di vita più non salgon da la città». Il primo verso, cioè l’esametro, è reso abbinando un settenario (Lenta fiocca la neve) con un novenario (pe ’l cielo cinerëo: gridi), il secondo, il pentametro, mediante un settenario tronco (suoni di vita più) con un ottonario, anch’esso tronco (non salgon da la città).

L’ispirazione classicistica della raccolta non si limita a questo ingegnoso aspetto formale, ma si estende a quello tematico: troviamo infatti in molti componimenti la celebrazione del periodo romano e medievale (in testi quali Dinanzi alle terme di Caracalla o Nella piazza di San Petronio) e le consuete memorie storiche.

Altre liriche invece confermano la tendenza al chiaroscuro, tipica della poesia carducciana: prevale da un lato la solarità di immagini, con cui viene resa e rivissuta l’epoca pagana; dall’altro la cupezza che contraddistingue la meditazione sulla morte e un angosciato ripiegamento psicologico (Nevicata; Alla stazione in una mattina d’autunno T1, p. 57).

In queste Odi si possono cogliere i tipici aspetti formali propri della poesia di Carducci, l’ultimo grande autore italiano ad avere esplorato in tutta la loro ampiezza le risorse del linguaggio ereditato dalla tradizione, restando sostanzialmente alieno dalla sperimentazione linguistica e stilistica praticata dai poeti, a vario titolo innovatori, suoi contemporanei. Dal punto di vista lessicale Carducci rimane un poeta tipicamente ottocentesco, disposto ad attingere senza sosta dal repertorio di aulicismi, latinismi e arcaismi per rendere in modo sublime e solenne l’evasione fantastica nel passato. Al tempo stesso, però, questo lessico non si lascia ingabbiare da nessuna grammatica codificata, spaziando con una certa spregiudicatezza tra i poli opposti dell’espressività elegante e di quella popolaresca e dando vita a efficaci accostamenti di voci di ascendenza classica e termini ed espressioni tipici di una realistica contemporaneità: così si spiegano il ricorso al lessico quotidiano (prostituzione, bordel, cavatappi) e a quello basso, quasi scurrile (sgualdrina, cesso), nonché l’invenzione di vere e proprie “neoformazioni” (arcibuffoni, repubblicanone).

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento