2 - Splendori e miserie dell’esteta

2 Splendori e miserie dell’esteta

Il culto della bellezza, la teorizzazione dell’arte per l’arte, l’identificazione di arte e vita sono aspetti che già prima di d’Annunzio avevano segnato la cultura decadente europea di fine secolo e l’opera di poeti simbolisti e parnassiani.

Il poeta interpreta l’Estetismo nella prima fase della sua ricerca artistica, che culmina con la stesura del Piacere: come per molte altre componenti, l’assimilazione di questa poetica nasce da una grande capacità di assorbire linee e indirizzi della cultura europea, rielaborati poi in modo personale. Tutta l’opera di d’Annunzio è infatti caratterizzata da una sorta di saccheggio: egli legge, copia, cita, riprende, accumula espressioni e immagini che trova nei classici latini, nelle raccolte dei poeti italiani delle origini (anche quelli minori) e soprattutto nei testi degli scrittori francesi e inglesi contemporanei.

Immergersi nella letteratura è per d’Annunzio una delle attività che permettono di conservare, come fa dire al protagonista del Piacere, Andrea Sperelli, «intiera la libertà fino all’ebbrezza». La vita, votata al bello, assegna dunque all’arte un valore supremo e assoluto, sottraendosi a ogni condizionamento o vincolo etico. La Bellezza (che andrà scritta con la “B” maiuscola, essendo un concetto personificato e cristallizzato in un mito quasi religioso) deve essere raggiunta, non importa come, in un processo di innalzamento rispetto agli altri e di continuo, inebriante affinamento del gusto.

Tale visione edonistica è alla base di due caratteri intrecciati della produzione letteraria dannunziana, uno stilistico e uno ideologico. Sul piano della forma, d’Annunzio opta per soluzioni lessicali, sintattiche, retoriche che privilegiano i toni sostenuti e le modulazioni più solenni della lingua letteraria. La preziosità dello stile, la ricerca ridondante del sublime, l’uso costante dei classicismi accomunano la sua poesia e la sua prosa: anzi, si può dire che quest’ultima, in assenza di una ricca componente narrativa (i romanzi dannunziani hanno una trama assai esile e povera di fatti), abbia un grado molto alto di liricità e musicalità, sconfinando spesso nel verso vero e proprio grazie a un apparato ricchissimo di immagini liriche, metafore, sinestesie, ripetizioni, parallelismi ecc.

Sul piano ideologico, l’esteta è colui che assapora tutti i doni dell’esistenza, si tiene lontano dalla “massa volgare” (il «grigio diluvio democratico odierno» di cui parla nel Piacere) e da ogni impegno attivo, sociale e politico, per vivere in un mondo aristocratico, circondato dal lusso e dal superfluo e per «costruire la propria vita come un’opera d’arte».

L’esteta dannunziano, tuttavia, non è in grado di celebrare fino in fondo il proprio privilegio: la raffinatezza del suo mondo «tutto impregnato d’arte» non può, alla lunga, coprirne le debolezze e la sterilità. Svuotato di energia morale, privo di una robusta forza vitale, egli è destinato alla solitudine, alla sconfitta nel rapporto affettivo con le donne, alla paralisi dell’azione. Il suo bisogno di sensazioni intense ma fugaci rivela una sostanziale incapacità di adattamento al mondo: l’io finisce così per disgregarsi e perdere il proprio centro.

Non siamo ancora, evidentemente, alla coscienza della crisi dell’identità del soggetto, che permea le esperienze critiche più consapevoli della letteratura del primo Novecento; tuttavia, l’insoddisfazione e la malattia della volontà che destabilizzano lo Sperelli dannunziano e ne decretano il misero fallimento sembrano già anticipare i tratti caratteriali tipici della figura dell’inetto, incapace di vivere dentro i meccanismi della società moderna.

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3 Il superuomo

L’approdo superomistico di d’Annunzio è visibile compiutamente a partire dalla stesura dei romanzi pubblicati dopo Il piacere, negli anni Novanta. Tuttavia estetismo e superomismo sono, tanto nella sua poetica quanto nella sua ideologia, strettamente connessi tra loro: facce della stessa medaglia, aspetti complementari dell’ispirazione sensuale e dell’affermazione della vitalità pura come norma suprema che non deve obbedire a niente e a nessuno.

Per d’Annunzio il superuomo è infatti una creatura di sensibilità superiore, un individuo eccezionale al quale spettano il diritto e il dovere di opporsi all’insulsa realtà borghese, per realizzare senza incertezze il proprio dominio sulla realtà. «Il mondo», scrive nelle Vergini delle rocce, «è un dono magnifico largito dai pochi ai molti, dai liberi agli schiavi, da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare»: i pochi, i liberi, coloro che pensano e sentono rappresentano una nuova aristocrazia dello spirito che, attraverso il culto del bello e un’anima risoluta, potrà (e dovrà) imporsi sulla massa, in spregio alle comuni leggi del bene e del male.

Questa concezione antidemocratica, evidentemente connaturata in d’Annunzio, è abbozzata già nelle sue prime opere, ma viene richiamata come una precisa visione dell’uomo e del mondo dopo la lettura delle opere del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche ( p. 32), a partire dal 1892. In un articolo uscito nel luglio del 1893 sulle colonne del quotidiano “La Tribuna”, il poeta, nei panni del giornalista, presenta ai lettori l’autore di Così parlò Zarathustra come «uno dei più originali spiriti che sieno comparsi in questa fine di secolo», «un rivoluzionario ma un rivoluzionario aristocratico», insistendo così da subito sugli elementi del pensiero di Nietzsche che egli predilige.

L’assimilazione dannunziana del pensiero nietzschiano è, infatti, del tutto parziale e personale: il poeta accoglie l’esaltazione della volontà di potenza, il disprezzo per le masse, il culto della civiltà classica e la rivendicazione della componente “dionisiaca” e irrazionale dell’uomo (quella libera) a scapito di quella “apollinea” e ordinata (cioè razionale), mentre ignora la critica radicale delle ideologie e del progresso, che pure ne costituisce un aspetto centrale. L’interpretazione di d’Annunzio si appunta, infatti, sugli elementi più aggressivi e vitalistici, insiste sulla polemica contro l’uguaglianza e sottolinea la concezione dell’uomo e dell’artista posti al di sopra delle norme morali.

In tal modo il pensiero di Nietzsche da “critico” diventa, nella lettura di d’Annunzio, “pratico”, ossia una sorta di morale dell’azione, che non comporta la distruzione di tutti i valori borghesi ma la loro sublimazione in un elementare corredo ideologico, fatto di bei gesti, azioni eroiche, proclami incendiari e pulsioni antidemocratiche.

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Ecco perché, a differenza del superuomo nietzschiano, quello dannunziano si impegna anche nella battaglia politica: è il caso soprattutto di Claudio Cantelmo, il protagonista delle Vergini delle rocce, il quale non si limita al culto del bello e dell’arte (come faceva Andrea Sperelli nel Piacere), ma aspira a combattere la corruzione, la volgarità delle masse e la degenerazione del sistema parlamentare.

L’esempio offerto da Cantelmo viene messo in pratica dallo stesso d’Annunzio, secondo il quale la volontà di potenza va estesa alla dimensione politica, in una tensione continua a superare i vincoli imposti dalla moderna società imborghesita. Come dimostra la sua attività (l’elezione a parlamentare nella Destra e poi il clamoroso passaggio alla Sinistra, il nazionalismo interventista e l’impresa fiumana, lo stesso rapporto di amore e odio con Mussolini), il sistema di idee di d’Annunzio è al di sopra di schemi, etichette e partiti: più che rispondere a un criterio oggettivo e a una coerente logica progettuale, esso risulta del tutto soggettivo e si risolve ancora una volta in un’autocelebrazione.

Non a caso il poeta è sempre alla ricerca di un’affermazione personale, di un palcoscenico da cui indicare alla collettività, con il piglio del capo carismatico, mete, ambizioni e battaglie. Un tentativo che riesce certamente al d’Annunzio intellettuale, non altrettanto a quello politico: lo sdegnoso isolamento nel quale volle rinchiudersi, nella casa-mausoleo-tomba del Vittoriale, esprime, in fondo, proprio il suo fallimento quale uomo d’azione, costretto a vivere in solitudine e ad accettare dal regime una venerata ma mesta “imbalsamazione”.

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento