Myricae
Composizione, struttura e titolo
Myricae è una raccolta di poesie che viene pubblicata per la prima volta nel 1891, ma che da quella data avrà ancora una lunga vicenda sia compositiva sia editoriale, poiché vi saranno numerose edizioni, ciascuna con aggiunte di componimenti e revisioni da parte dell’autore:
• 1891: 1ª edizione → 22 componimenti;
• 1892: 2ª edizione → 72 componimenti;
• 1894: 3ª edizione → 116 componimenti;
• 1897: 4ª edizione → 152 componimenti (a partire da questa edizione Pascoli suddivide la raccolta in 15 sezioni, omogenee più dal punto di vista metrico che non da quello tematico);
• 1900: 5ª edizione → con il totale definitivo di 156 componimenti;
• 1911: ultima edizione dell’opera, dopo altre quattro, frutto di piccole revisioni stilistiche e strutturali.
I temi

Lo stile
La lingua e la sintassi
Un lettore di cultura e acume non comuni, lo scrittore Pier Paolo Pasolini, ha visto in Myricae di Pascoli il punto di partenza di una «rivoluzione stilistica» destinata a influenzare fortemente la produzione lirica italiana del Novecento.
Nella storia della lingua letteraria, l’esperienza pascoliana rappresenta infatti una profonda novità, in quanto alternativa al monolinguismo lirico di ascendenza petrarchesca, egemone nella tradizione poetica italiana. Possiamo affermare che, con Myricae, Pascoli porta a compimento nella scrittura lirica la rivoluzione inaugurata nel romanzo da Alessandro Manzoni: un progetto di «democrazia poetica» (Contini) che, abbattute le rigide selezioni classicistiche, estende il diritto di cittadinanza letteraria a tutti gli elementi della realtà; tanto l’illustre, lo specialistico e il peregrino quanto l’umile, il quotidiano e il consueto entrano a far parte della poesia.
Analizziamo le diverse componenti del lessico di Myricae a partire dalle osservazioni di Gianfranco Contini, che per primo l’ha studiato in maniera sistematica.
• In primo luogo, sopravvivono nel lessico pascoliano vocaboli della tradizione letteraria (compresi termini di derivazione dantesca e, in generale, aulicismi), come conseguenza della formazione classicista dell’autore. Si tratta della componente meno rilevante: queste vestigia del codice poetico tradizionale consentono però di intravedere il punto di partenza della sperimentazione pascoliana e di valutare dunque appieno lo straordinario lavoro compiuto dal poeta nel percorrere la grande distanza che separa la lingua antica dalla nuova.
• Sono poi presenti termini di un linguaggio “pre-grammaticale”, cioè estraneo alla lingua “istituzionale”, come per esempio le onomatopee per rendere determinati rumori (il din don delle campane o il fru fru di rumori nelle siepi) e i versi degli uccelli (il chiù dell’assiuolo o gli scilp, vitt, videvitt, dib dib bilp bilp di passeri e rondini). Si tratta di vocaboli al confine tra linguaggio umano e animale, semantico e non semantico.
• Compaiono infine numerosi termini di un linguaggio “post-grammaticale”, cioè vocaboli tecnici e specialistici appartenenti alle cosiddette “lingue speciali”: dalla botanica alla zoologia, dalle tecniche agricole a quelle artigianali. Pascoli tende alla precisione e all’esattezza lessicale: è stato calcolato che in Myricae vengono nominate, con termini specifici, 56 specie di animali (soprattutto uccelli: assiuoli, cince, fringuelli, pettirossi...) e 66 tipi di piante (acanto, biancospino, fiordaliso, timo, veccia...).
Non bisogna pensare però che la precisione delle scelte lessicali conduca al realismo. La puntualità dei vocaboli si pone in un continuo e sistematico rapporto con altre soluzioni espressive, che sfumano i contorni della rappresentazione. Di questo processo si possono individuare almeno tre modalità.
1 Nei singoli testi la precisione lessicale è sempre controbilanciata da «un fondo di indeterminatezza» (Contini): si pensi all’uso degli aggettivi in forma connotativa, che suggerisce senza descrivere, allude senza dire, indica senza distinguere: tremulo, fragile, gracile ecc.
2 Al dato oggettivo o naturalistico è quasi sempre legato un valore simbolico o allegorico, che fa perdere al primo consistenza concreta. Ciò vale spesso, per esempio, per le indicazioni cromatiche, che assumono ulteriori significati simbolici legati agli echi psicologici generati dai colori.
3 Il dissolvimento del realismo è raggiunto, infine, attraverso la messa in rilievo dei valori di senso veicolati da elementi non semantici (per esempio figure retoriche quali l’allitterazione, l’assonanza, l’iterazione).
Altrettanto nuovi e sperimentali sono gli aspetti sintattici. La sintassi risulta quasi sempre franta, spezzata, con frasi ridotte all’essenziale e con un significativo ricorso ai costrutti della lingua parlata e allo stile nominale. L’autore preferisce la coordinazione alla subordinazione, la brevità alla complessità del periodo e tende a rimpiazzare l’organizzazione regolare del discorso con un andamento ellittico, contratto, eliminando i soggetti espliciti, i verbi (soprattutto l’ausiliare “essere”) o le congiunzioni.
Quasi volesse così attingere alle forme primitive, elementari del dire poetico, Pascoli privilegia le modalità esclamativa e interrogativa del discorso, che danno voce allo stupore e alla domanda di fronte all’esistenza e ai suoi misteri. Nello stesso quadro rientra anche un uso originale della punteggiatura: per esempio la frequente adozione dei due punti con funzione di interruzione più che di spiegazione, e il massiccio ricorso a tutti i segni di interpunzione per frantumare il verso («son due… gli occhi, grave, apre: vede», Agonia di madre). Tutte queste peculiarità stilistiche indicano come Pascoli punti a un’inquieta movimentazione del discorso, tanto lontana dalla tradizione letteraria quanto vicina alla scrittura poetica della modernità.
Le scelte retoriche e metriche
In Myricae Pascoli cura all’estremo le scelte espressive e a tal fine, coerentemente con la sua sensibilità simbolista, utilizza ampiamente tutte le figure retoriche tipiche della poesia decadente, soprattutto l’analogia e la sinestesia. La maggiore innovazione stilistica della raccolta è però l’uso frequente dell’onomatopea e il ricorso al fonosimbolismo: all’utilizzo cioè di parole già esistenti, che vengono scelte dal poeta in virtù del loro suono evocativo di una certa azione: per esempio sussurro, rimbombo, scricchiolio.

Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento