Già intorno al 1848, in provincia di Catania, vi furono molti casi di occupazione della terra da parte dei contadini nullatenenti, ma la loro lotta fu vanificata dall’opposizione delle aristocrazie locali e delle classi borghesi benestanti, che riuscirono a evitare l’assegnazione di tali beni demaniali. Nel 1860, all’indomani dello sbarco di Garibaldi a Marsala, in occasione della spedizione dei Mille, i moti insurrezionali presero nuovo slancio, ma incontrarono nuovamente la resistenza dei ceti dirigenti. L’esasperazione dei contadini esplose con uccisioni di notabili e saccheggi, in un crescendo che determinò il duro intervento e la repressione a opera del contingente governativo guidato dal luogotenente di Garibaldi, Nino Bixio. La novella, pubblicata per la prima volta in rivista nel 1882, trae spunto proprio da queste vicende, in particolare dalla rivolta avvenuta a Bronte, una cittadina agricola alle falde dell’Etna. È l’unica opera nella quale Verga sceglie per soggetto un fatto storico realmente avvenuto, anche se omette di nominare i luoghi e i personaggi coinvolti.
T10 - Libertà
T10
Libertà
Novelle rusticane
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
L’immagine demoniaca di una donna inferocita inaugura la descrizione della rivolta: una strega, coi vecchi capelli irti sul capo, armata soltanto di unghie (rr. 7-8). È la prima di una serie di figure messe sulla scena senza una precisa visione gerarchica: nella moltitudine dei ribelli non affiora un singolo protagonista. Al contrario, un soggetto collettivo indefinito (sciorinarono, r. 1; suonarono, r. 1; cominciarono, r. 2) assorbe le individualità in una massa rabbiosa che ricorda quella dei tumulti per il pane nei Promessi sposi.
A differenza di altre novelle, qui Verga lascia trapelare la propria ideologia di conservatore diffidente di ogni cambiamento: omettendo di sottolineare le responsabilità dei ricchi nell’opprimere le misere plebi, egli si sofferma sulle efferatezze dei popolani, passando in rassegna le vittime della loro furia, per lo più innocenti, dal povero don Paolo, modesto proprietario caduto in rovina, al figlio undicenne del notaio, fino alla baronessa che stringe al seno un lattante. D’altra parte, la sanguinosa mattanza non può produrre effetti: la domenica successiva, uccisi tutti i notabili del paese, i rivoltosi si ritrovano senza una guida, incapaci di gestire i propri interessi: il fazzoletto tricolore, floscio (r. 90) che pende dal campanile del paese, immerso in un silenzio spettrale, è il simbolo del fallimento dell’insurrezione.
La visione pessimistica verghiana della Storia è insomma presente anche in questa novella: le gerarchie sociali sono un fatto naturale e le differenze tra le classi saranno sempre immutabili (I galantuomini non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i galantuomini, rr. 141-143). La giustizia sommaria praticata da Bixio e i processi che portano in carcere i responsabili della rivolta costituiscono l’ovvio, disastroso coronamento di un irrealizzabile moto rivoluzionario. Alla fine, tutto rimane come prima, la vita riprende il suo corso e presto o tardi tutti dimenticheranno l’accaduto. Soltanto qualche madre, qualche vecchiarello (rr. 147-148) terranno vivo il ricordo, traendone la morale che all’aria ci vanno i cenci (rr. 150-151): un’amara lezione che rammenta a tutti gli illusi quanto sia inutile combattere contro il fatale corso della vita umana.
Le scelte stilistiche
Coerentemente con la poetica verista, il narratore è interno al mondo narrato: ne assume i riferimenti culturali (ricco epulone, r. 8), modi di dire (come in un paese di turchi, r. 77) ed espressioni dialettali (La gnà Lucia, rr. 19-20). Si mimetizza al punto da sembrare un testimone delle violenze dei contadini. Ma, come abbiamo cercato di mettere in luce, questa volta la fedeltà al vero è sacrificata sull’altare dell’ideologia. La gratuità dell’eccidio e la ferocia dei suoi invasati protagonisti (la cui azione è metaforicamente rappresentata come un incontrollato elemento naturale: il mare in tempesta, r. 3; il torrente, r. 39; la piena di un fiume, r. 62) emergono chiaramente nella condanna della rivolta, un carnevale furibondo del mese di luglio (r. 75), mentre nel tumulto della barbarie si stagliano i casi pietosi di vittime inerti, travolte dal dilagare della barbarie. Come ha scritto il critico Giancarlo Mazzacurati, «il narratore, perduta ogni equidistanza, scaglia contro la massa infuriata la sua esplicita difesa di classe»: l’ottica dell’anonimo spettatore finisce per lasciare lo spazio a una riflessione personale e sconsolata sull’inutilità del conflitto politico.
VERSO LE COMPETENZE
COMPRENDERE
1 La novella può essere suddivisa in tre macrosequenze: individuale e attribuisci un titolo a ciascuna di esse.
2 Quale giustificazione viene addotta per l’assassinio del figlio del notaio da parte di uno dei suoi carnefici?
3 Come si comportano i contadini quando pensano a come spartirsi la terra?
4 Che significato ha la frase del carbonaio che chiude la novella?
Analizzare
5 Nella prima parte della novella, i contadini e i benestanti vengono indicati con il nome dei rispettivi copricapo: berrette bianche (rr. 4-5) e cappelli (r. 13). Quale figura retorica usa in questo caso l’autore?
- a Metafora.
- b Personificazione.
- c Metonimia.
- d Sineddoche.
Interpretare
6 Il ritmo narrativo della novella è estremamente vario. Si possono notare, per esempio, la velocità incalzante con la quale vengono seguite le fasi della rivolta e la pacatezza delle scene relative ai giorni successivi. A quale scopo, a tuo giudizio, Verga adotta questa strategia narrativa?
7 Con quale punto di vista vengono rappresentati i giurati? Come spieghi questa scelta dell’autore?
8 Un grande scrittore siciliano del Novecento, Leonardo Sciascia (1921-1989), ha approfondito l’analisi dei fatti di Bronte accusando Verga di averne dato una versione deliberatamente settaria. Per esempio, nella novella si tace il ruolo di uno dei capi della ribellione, un avvocato liberale, Nicolò Lombardo, le cui azioni non potevano certo essere spiegate come uno sbocco improvviso e irrazionale di aggressività. Come spieghi la parzialità dell’interpretazione verghiana?
sviluppare il lessico
9 Nella novella i nobili e i borghesi vengono indicati con il termine cappelli. Quali altri gruppi sociali oggi vengono a volte indicati attraverso un accessorio o un capo d’abbigliamento?
I camici | |
Le toghe | |
Le parrucche/i parrucconi | |
Le sottane | |
Le divise |
scrivere per...
descrivere
10 Sulla base della rappresentazione verghiana, traccia un ritratto di Nino Bixio in circa 20 righe.
confrontare
11 Anche nei Promessi sposi abbiamo incontrato una celebre rivolta: l’assalto ai forni a seguito del rincaro del pane. Quali analogie e quali differenze cogli nell’atteggiamento dell’autore rispetto all’azione della folla inferocita? Rispondi in un testo di circa 30 righe.
T11
La roba
Novelle rusticane
Il motivo verghiano della «roba» è perfettamente esemplificato dalla novella omonima, pubblicata inizialmente nel dicembre del 1880 nella “Rassegna settimanale di politica, scienze, lettere e arti” e poi compresa nella raccolta Novelle rusticane. Il protagonista è Mazzarò, un uomo che, da bracciante sfruttato, si appropria a poco a poco delle terre e dei beni del suo padrone, diventando ricco.
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
Il protagonista della Roba, Mazzarò, vive esclusivamente per i beni materiali, considerati alla stregua di amanti fedeli. Privo di altri affetti e sentimenti, egli trova in essi una sorta di religioso risarcimento della propria solitudine. Senza moglie né figli, non conosce la pietà per il prossimo (si pensi a come tratta i sottoposti) né l’amore filiale; la sua esistenza è simile a quella di un asceta che non si concede nulla: non ha vizi, non beve, non fuma, non ha interesse per le donne.
Consacratosi a un destino irrevocabile (Quando uno è fatto così, vuol dire che è fatto per la roba, r. 90), la sua scelta è premiata dal successo (Ed anche la roba era fatta per lui, r. 91), giusto riconoscimento alla sua dedizione, alla sua energia infaticabile, al suo martirio. Alla stregua di un eroe epico o di un cavaliere medievale, Mazzarò ignora infatti le tentazioni e non abbandona mai la vita “povera”, logorando i suoi stivali (rr. 87-88), andando in giro, sotto il sole e sotto la pioggia (r. 87), ossessionato da un unico pensiero: accumulare. In questa spasmodica ricerca, egli non si pone limiti, spostando sempre più in alto l’asticella dell’ambizione fino a non temere il confronto con nessuno (voleva arrivare ad avere della terra quanta ne ha il re, ed esser meglio del re, rr. 139-140).
Quando si avvicina la morte, però, il destino di Mazzarò si capovolge: da vincitore a vinto, sconfitto dalla legge inesorabile della natura e deciso a trascinare con sé nell’abisso del nulla anche la sua roba. Invidioso della gioventù altrui, seduto malinconicamente col mento nelle mani (r. 144) a guardare le sue terre, egli prorompe in un urlo forsennato («Roba mia, vientene con me!», r. 152) e, con un gesto estremo, al tempo stesso tragico e comico, ammazza a colpi di bastone le sue bestie. Il suo atteggiamento quasi di devozione religiosa verso l’accumulazione dei possedimenti terrieri, forse ritenuti un mezzo per tendere all’eternità, si scontra con il “tradimento” della morte, la quale separa la soggettività del suo io, destinato ormai alla fine, e l’oggettività della roba, che gli sopravvive, indifferente a lui e alla sua logica esistenziale.
Le scelte stilistiche
A differenza dell’“oppresso” Rosso Malpelo, che la società condanna alla marginalità, Mazzarò è un “oppressore”, ma eroe di un mondo che ne riconosce i valori e per questo lo rispetta e lo ammira. Ciò spiega perché Verga scelga, per raccontarne le imprese, la voce di un narratore complice, che aderisce alla sua mentalità e alla sua visione della vita. A eccezione dell’incipit (in cui il punto di vista è quello di un viandante che si presuppone colto) e del breve intermezzo del lettighiere (r. 7), che, da umile qual è, non comprende le scelte di Mazzarò, il racconto sembra ispirato direttamente dalle convinzioni del protagonista. Così assistiamo, in un certo qual modo, alla sua celebrazione: dall’anonimo narratore popolare che con stupita ammirazione descrive come normali, anzi come lodevoli, i metodi del protagonista, non giungerà mai una parola di censura della sua ingordigia economica, mai un dubbio sul suo comportamento, mai il sospetto che la folle rincorsa del denaro lo abbia portato a recidere ogni legame con gli uomini e anche con sé stesso. Perfino la considerazione della morte della madre come fardello economico (Di donne non aveva mai avuto sulle spalle che sua madre, la quale gli era costata anche 12 tarì, quando aveva dovuto farla portare al camposanto, rr. 54-56) viene ritenuta del tutto normale: ma in realtà è evidente che spingendo alle estreme conseguenze la legittimazione delle azioni e della mentalità del protagonista, l’autore induce in chi legge una presa di distanza o anche un moto di nauseata indignazione.
Il modo in cui il narratore descrive le vicende del protagonista contiene perfino un che di leggendario o di fiabesco, a cui collaborano in modo decisivo accumulazioni e iterazioni (E cammina e cammina, rr. 11-12) nonché l’uso delle iperboli, spia evidente della trasfigurazione mitica di Mazzarò operata dall’immaginario popolare (Pareva che fosse di Mazzarò perfino il sole che tramontava, r. 25). È il lettore a dover cogliere, dietro alla straniante impersonalità di Verga, il dramma di un uomo che, per dedicare alla roba la propria vita, finisce per essere travolto dall’inutilità dei suoi sforzi, nel delirante, finale abbraccio con tutto ciò che ha conquistato.
VERSO LE COMPETENZE
COMPRENDERE
1 La novella può essere divisa in tre sequenze fondamentali: la descrizione della roba di Mazzarò; la sua storia; la conclusione della vicenda. Individua nel testo queste diverse parti, quindi riassumine il contenuto.
ANALIZZARE
2 Fai l’analisi del periodo della frase iniziale della novella (rr. 1-8).
3 Nella Roba, per accentuare il tono epico della narrazione, Verga ricorre a una serie di iperboli. Trovale nel testo.
4 Individua le espressioni popolari presenti nella novella.
5 La presentazione iniziale di Mazzarò è affidata al punto di vista di un viandante sconosciuto, che osserva la proprietà del protagonista. Da quali elementi possiamo supporre il suo alto livello culturale?
interpretare
6 Il testo è ricco di similitudini che attingono al mondo naturale (folto come un bosco, rr. 16-17; come un fiume, r. 136) e animale (ricco come un maiale, r. 32; numerosi come le lunghe file dei corvi, rr. 62-63). Perché, secondo te?
scrivere per...
confrontare
7 Un altro famoso avaro è Arpagone, immortalato dal commediografo francese Molière (1622-1673) nella commedia L’avaro (1668). Ricerca e leggi questo testo, individua analogie e differenze con Mazzarò in un testo descrittivo di circa 20 righe.
argomentare
8 Mazzarò può essere considerato un perfetto esemplare di avaro. In che cosa consiste per te l’avarizia? Quando e perché nella società di oggi una persona può essere considerata avara? Scrivi al riguardo un testo espositivo e argomentativo di circa 30 righe.
Dibattito in classe
9 Una delle caratteristiche peculiari di Mazzarò è che egli non ambisce ad accumulare genericamente ricchezza, ma, in modo più specifico, “roba”, oggetti materiali, terreni e proprietà, prove tangibili della sua ascesa sociale ed economica. In che cosa Mazzarò è simile o diverso da coloro che, anche oggi, sono spinti da un irrefrenabile desiderio di denaro e potere? Discutine con la classe.
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento