T7 - Nella tempesta

T7

Nella tempesta

I Malavoglia, cap. 10

Dopo il naufragio in cui sono morti Bastianazzo e Menico, la Provvidenza è stata ripescata e riparata. Disperso il carico dei lupini, per renderne il valore a zio Crocifisso che li aveva ceduti a credito, i Malavoglia sono costretti a ipotecare la casa del nespolo, che in seguito lo stesso zio Crocifisso rileva, costringendo la famiglia a cercare un altro alloggio. Tuttavia essi non si danno per vinti e con la barca rimessa a nuovo cercano di realizzare maggiori guadagni per poter riacquistare la vecchia abitazione. Ma il mare rappresenta sempre un grande pericolo, capace di determinare da un momento all’altro un completo rovescio delle sorti. Una sera padron ’Ntoni e due nipoti, il giovane ’Ntoni e Alessi, mentre stanno tornando a casa dopo una giornata di pesca, vengono sorpresi da una tempesta.

Ma a quel giuoco da disperati si arrischiava la vita per qualche rotolo1 di pesce, e
una volta i Malavoglia furono a un pelo di rimettercela tutti la pelle, per amor del
guadagno, come Bastianazzo, mentre erano all’altezza dell’Agnone, verso sera, e
il cielo era tanto fosco che non si vedeva più neppur l’Etna, e il vento soffiava a
5      ondate che pareva avesse la parola.
«Brutto tempo!», diceva padron ’Ntoni. «Il vento oggi gira peggio della testa
di una fraschetta,2 e il mare ha la faccia come quella di Piedipapera3 quando vuol
farvi qualche brutto tiro».
Il mare era del color della sciara,4 sebbene il sole non fosse ancora tramontato,
10    e di tratto in tratto bolliva tutt’intorno come una pentola.
«Adesso i gabbiani devono essere tutti a dormire», osservò Alessi.
«A quest’ora avrebbero dovuto accendere il faro di Catania», disse ’Ntoni, «ma
non si vede niente».
«Tieni sempre la sbarra a greco,5 Alessi», ordinò il nonno, «fra mezz’ora non ci
15    si vedrà più, peggio di essere in un forno».
«Con questa brutta sera e’ sarebbe6 meglio trovarsi all’osteria della Santuzza».
«O coricato nel tuo letto a dormire, non è vero?», rispose il nonno; «allora
dovevi fare il segretario, come don Silvestro».7
Il povero vecchio aveva abbaiato8 tutto il giorno pei suoi dolori. «È il tempo
20    che muta!», diceva lui; «lo sento nelle ossa io».
Tutt’a un tratto si era fatto oscuro che non ci si vedeva più neanche a bestemmiare.9
Soltanto le onde, quando passavano vicino alla Provvidenza, luccicavano
come avessero gli occhi e volessero mangiarsela; e nessuno osava dire più una
parola, in mezzo al mare che muggiva fin dove c’era acqua.
25    «Ho in testa», disse a un tratto ’Ntoni, «che stasera dovremo dare al diavolo la
pesca10 che abbiamo fatta».
«Taci!», gli disse il nonno, e la sua voce li fece diventare tutti piccini piccini11
sul banco12 dov’erano.
Si udiva il vento sibilare nella vela della Provvidenza e la fune che suonava
30    come una corda di chitarra. All’improvviso il vento si mise a fischiare al pari della
macchina della ferrovia, quando esce dal buco del monte, sopra Trezza, e arrivò
un’ondata che non si era vista da dove fosse venuta, la quale fece scricchiolare la
Provvidenza come un sacco di noci, e la buttò in aria.
«Giù la vela! giù la vela!», gridò padron ’Ntoni. «Taglia!13 taglia subito!».
35    ’Ntoni, col coltello fra i denti, s’era abbrancato come un gatto all’antenna,14 e
ritto sulla sponda per far contrappeso, si lasciò spenzolare sul mare che gli urlava
sotto e se lo voleva mangiare.
«Tienti forte! tienti forte!», gli gridava il nonno in quel fracasso delle onde che
lo volevano strappare di là, e buttavano in aria la Provvidenza e ogni cosa e facevano
40    piegare la barca tutta di un lato, che dentro ci avevano l’acqua sino ai ginocchi.
«Taglia! taglia!», ripeteva il nonno.
«Sacramento!»,15 esclamò ’Ntoni. «Se taglio, come faremo poi quando avremo
bisogno della vela?».16
«Non dire sacramento! che ora siamo nelle mani di Dio!».
45    Alessi s’era aggrappato al timone, e all’udire quelle parole del nonno cominciò
a strillare: «Mamma! mamma mia!».
«Taci!», gli gridò il fratello col coltello fra i denti. «Taci o ti assesto una pedata!».
«Fatti la croce, e taci!», ripeté il nonno. Sicché il ragazzo non osò fiatare più.
Ad un tratto la vela cadde tutta di un pezzo, tanto era tesa, e ’Ntoni la raccolse
50    in un lampo e l’ammainò stretta.
«Il mestiere lo sai come tuo padre», gli disse il nonno, «e sei Malavoglia anche tu».
La barca si raddrizzò e fece prima un gran salto; poi seguitò a far capriole sulle
onde.
«Da’ qua il timone; ora ci vuole la mano ferma!», disse padron ’Ntoni; e malgrado
55    che il ragazzo ci si fosse aggrappato come un gatto anche lui, arrivavano
certe ondate che facevano sbattere il petto contro la manovella17 a tutte due.
«Il remo!», gridò ’Ntoni, «forza nel tuo remo, Alessi! che a mangiare sei buono
anche tu. Adesso i remi valgono meglio del timone».
La barca scricchiolava sotto lo sforzo  poderoso di quel paio di braccia. E Alessi
60    ritto contro la pedagna,18 ci dava l’anima sui remi come poteva, anche lui.
«Tienti fermo!», gli gridò il nonno che appena si sentiva da un capo all’altro
della barca, nel fischiare del vento. «Tienti fermo, Alessi!».
«Sì, nonno, sì!», rispose il ragazzo.
«Che hai paura?», gli disse ’Ntoni.
65    «No», rispose il nonno per lui. «Soltanto raccomandiamoci a Dio».
«Santo diavolone!», esclamò ’Ntoni col petto ansante, «qui ci vorrebbero le
braccia di ferro come la macchina del vapore. Il mare ci vince».
Il nonno si tacque e stettero ad ascoltare la burrasca.
«La mamma adesso dev’essere sulla riva a vedere se torniamo», disse poi Alessi.
70    «Ora lascia stare la mamma», aggiunse il nonno, «è meglio non ci pensare».
«Adesso dove siamo?», domandò ’Ntoni dopo un altro bel pezzo, col fiato ai
denti dalla stanchezza.
«Nelle mani di Dio», rispose il nonno.
«Allora lasciatemi piangere!», esclamò Alessi che non ne poteva più. E si mise
75    a strillare e a chiamare la mamma ad alta voce, in mezzo al rumore del vento e del
mare; né alcuno osò sgridarlo più.
«Hai un bel cantare, ma nessuno ti sente, ed è meglio starti cheto», gli disse
infine il fratello con la voce mutata che non si conosceva più nemmen lui. «Sta
zitto,19 che adesso non è bene far così, né per te né per gli altri».20
80    «La vela!»,21 ordinò padron ’Ntoni; «il timone al vento verso greco, e poi alla
volontà di Dio».
Il vento contrastava forte la manovra, ma in cinque minuti la vela fu spiegata,
e la Provvidenza cominciò a balzare sulla cima delle onde, piegata da un lato come
un uccello ferito. I Malavoglia si tenevano tutti da un lato,22 afferrati alla sponda;
85    in quel momento nessuno fiatava, perché quando il mare parla in quel modo non
si ha coraggio di aprir bocca.
Padron ’Ntoni disse soltanto: «A quest’ora laggiù dicono il rosario per noi».
E non aggiunsero altro, correndo col vento e colle onde, nella notte che era
venuta tutt’a un tratto nera come la pece.
90    «Il fanale del molo», gridò ’Ntoni, «lo vedete?».
«A dritta!», gridò padron ’Ntoni, «a dritta! Non è il fanale del molo. Andiamo
sugli scogli. Serra! serra!».23
«Non posso serrare!», rispose ’Ntoni colla voce soffocata dalla tempesta e dallo
sforzo, «la scotta24 è bagnata. Il coltello, Alessi, il coltello».
95    «Taglia, taglia, presto».
In questo momento s’udì uno schianto: la Provvidenza, che prima si era curvata
su di un fianco, si rilevò come una molla, e per poco non sbalzò tutti in mare;
l’antenna insieme alla vela cadde sulla barca, rotta25 come un filo di paglia. Allora
si udì una voce che gridava: Ahi! come di uno che stesse per morire.
100  «Chi è? chi è che grida?», domandava ’Ntoni, aiutandosi coi denti e col coltello a
tagliare le rilinghe26 della vela, la quale era caduta coll’antenna sulla barca e copriva
ogni cosa. Ad un tratto un colpo di vento la strappò netta e se la portò via sibilando.
Allora i due fratelli poterono sbrogliare del tutto il troncone dell’antenna27 e buttarlo
in mare. La barca si raddrizzò, ma padron ’Ntoni non si raddrizzò, lui, e non rispondeva
105  più a ’Ntoni che lo chiamava. Ora, quando il mare e il vento gridano insieme,
non c’è cosa che faccia più paura del non udirsi rispondere alla voce che chiama.
«Nonno, nonno!», gridava anche Alessi, e al non udir più nulla, i capelli si rizzarono
in capo, come fossero vivi, ai due fratelli. La notte era così nera che non si vedeva da
un capo all’altro della Provvidenza, tanto che Alessi non piangeva più dal terrore.28 Il
110  nonno era disteso in fondo alla barca, colla testa rotta. ’Ntoni finalmente lo trovò
tastoni e gli parve che fosse morto, perché non fiatava e non si muoveva affatto. La
stanga del timone29 urtava di qua e di là, mentre la barca saltava in aria e si inabissava.
«Ah! san Francesco di Paola!30 Ah! san Francesco benedetto!», strillavano i due
ragazzi, ora che non sapevano più che fare.
115  San Francesco misericordioso li udì, mentre andava per la burrasca in soccorso
dei suoi devoti, e stese il suo mantello sotto la Provvidenza, giusto quando stava per
spaccarsi come un guscio di noce sullo scoglio dei colombi, sotto la guardiola31 della
dogana. La barca saltò come un puledro sullo scoglio, e venne a cadere in secco,
col naso in giù.32 «Coraggio, coraggio!», gridavano loro le guardie dalla riva, e correvano
120  qua e là colle lanterne a gettare delle corde. «Siam qui noi! fatevi animo!».
Finalmente una delle corde venne a cadere a traverso della Provvidenza, la quale
tremava come una foglia, e batté giusto sulla faccia a ’Ntoni peggio di un colpo di
frusta, ma in quel momento gli parve meglio di una carezza.
«A me! a me!», gridò afferrando la fune che scorreva rapidamente e gli voleva
125  scivolare dalle mani. Alessi vi si aggrappò anche lui con tutte le sue forze, e così riescirono
ad avvolgerla due o tre volte alla sbarra del timone, e le guardie doganali
li tirarono a riva.
Padron ’Ntoni però non dava più segno di vita, e allorché accostarono la lanterna
si vide che aveva la faccia sporca di sangue, sicché tutti lo credettero morto,
130  e i nipoti si strappavano i capelli. Ma dopo un paio d’ore arrivò correndo don
Michele, Rocco Spatu, Vanni Pizzuto, e tutti gli sfaccendati che erano all’osteria
quando giunse la notizia, e coll’acqua fresca e le fregagioni33 gli fecero riaprir gli
occhi. Il povero vecchio, come seppe dove si trovava, che ci voleva meno di un’ora
per arrivare a Trezza, disse che lo portassero a casa su di una scala.34
135  Maruzza, Mena, e le vicine, che strillavano sulla piazza e si battevano il petto, lo
videro arrivare in tal modo, disteso sulla scala, e colla faccia bianca, come un morto.
 >> pagina 252

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Nel brano riguardante il naufragio della Provvidenza ( T6, p. 243) la tempesta veniva vista da terra e, più che rappresentata, era osservata nell’attesa trepidante dei paesani e soprattutto dei familiari. Qui invece l’autore la racconta, per così dire, “in diretta”, trasportando il lettore nel cuore dell’evento, sul mare, in mezzo alle onde, sotto la violenza del vento e della pioggia. Verga ci fa assistere allo scatenarsi degli elementi e alla lotta disperata di tre uomini (un vecchio, un giovane e un ragazzo) contro la furia della natura.

È il più giovane, Alessi, a esprimere apertamente il sentimento umanissimo della paura, manifestando il pensiero della casa e della madre: Mamma! mamma mia! (r. 46). Ripreso duramente dal fratello maggiore ’Ntoni, Alessi si unisce all’impegno di quest’ultimo, moltiplicando i propri sforzi nel remare. Ma il pensiero della madre torna a riaffacciarsi, e il ragazzo, gridando, scoppia in lacrime: La mamma adesso dev’essere sulla riva a vedere se torniamo (r. 69). Questa frase crea una forte suspense, facendo presagire un esito negativo, poiché il lettore aveva trovato Maruzza in quella situazione (cioè a scrutare ansiosa il mare) già nel terzo capitolo, quando il marito sarebbe morto nel naufragio della Provvidenza. Una successiva frase del nonno – A quest’ora laggiù dicono il rosario per noi (r. 87) – riafferma, nel momento di massimo pericolo, la forza del vincolo familiare: gli uomini sono in mare a rischio della loro stessa vita e le donne li aspettano e pregano per il loro ritorno. La famiglia, così, appare ancora una volta unita e solidale, seppure disperatamente, contro il destino imprevedibile e cieco che minaccia di disgregarla e di disperderla.

Le scelte stilistiche

L’evento è narrato dal punto di vista della comunità. Lo si osserva chiaramente dall’interpretazione che viene offerta, apparentemente in modo neutro, del salvataggio della Provvidenza dal naufragio: San Francesco misericordioso li udì, mentre andava per la burrasca in soccorso dei suoi devoti, e stese il suo mantello sotto la Provvidenza, giusto quando stava per spaccarsi come un guscio di noce sullo scoglio dei colombi, sotto la guardiola della dogana (rr. 115-118). Nel momento di massimo pericolo, quando tutto sembra perduto, un aiuto soprannaturale interviene a evitare la catastrofe: il magico mantello di san Francesco di Paola si oppone come una formidabile muraglia all’assalto del mare. Un fatto simile, per quanto possa apparire fiabesco, è perfettamente comprensibile nell’ottica della religiosità popolare. Che sia avvenuto un miracolo è la convinzione della gente umile, che non può spiegarsi altrimenti un salvataggio così prodigioso. «L’immagine complessiva che se ne fa il lettore è di quelle che spesso si vedono tuttora nei quadri ex voto che sono fissati sulle pareti dei santuari a ricordo di fatti miracolosi» (Di Salvo).

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 Come si comportano i tre personaggi di fronte al pericolo? Evidenzia le differenze nelle loro reazioni.


2 Che cosa significa l’espressione rivolta dal nonno ad Alessi che a mangiare sei buono anche tu (rr. 57-58)?


3 Perché la corda che sbatte in faccia a ’Ntoni alle rr. 122-123 gli pare meglio di una carezza?


4 Quale personaggio esce da questa disavventura più provato dal punto di vista fisico? Perché?

ANALIZZARE

5 Rileggi la seguente frase: Il mare era del color della sciara, sebbene il sole non fosse ancora tramontato, e di tratto in tratto bolliva tutt’intorno come una pentola (rr. 9-10). Quale tecnica narrativa tipica dei Malavoglia vi trovi utilizzata? Motiva la tua risposta.


6 Individua alcune similitudini. All’interno di quale opzione stilistica tipica di questo romanzo si inseriscono?

 >> pagina 253

INTERPRETARE

7 Perché il giovane ’Ntoni pronuncia le parole delle rr. 77-79 con voce mutata?


8 Che cosa ti suggerisce l’uso del verbo “tremare” a proposito della Provvidenza (tremava come una foglia, r. 122)?

sviluppare il lessico

9 Il giovane ’Ntoni viene rimproverato dal nonno perché, durante la tempesta, ha imprecato («Sacramento!», r. 42): quali esclamazioni di rabbia, fatica, dolore o sorpresa sono ritenute socialmente accettabili e non sono classificate come turpiloquio? Scrivine almeno cinque.

T8

L’abbandono di ’Ntoni

I Malavoglia, cap. 11

Le pagine del brano che segue sono centrali dal punto di vista degli snodi narrativi del romanzo. ’Ntoni matura il proposito di abbandonare il villaggio per partire in cerca di fortuna. È un proposito a lungo meditato, una decisione rinsaldata dalle disgrazie abbattutesi sulla famiglia: il primo naufragio della Provvidenza con la scomparsa di Bastianazzo, la morte in guerra di Luca, l’abbandono forzato della casa del nespolo, il naufragio recente dal quale padron ’Ntoni, Alessi e lo stesso giovane ’Ntoni sono usciti vivi per miracolo. Ora lui è deciso a cambiare vita.

Una volta ’Ntoni Malavoglia, andando girelloni1 pel paese, aveva visto due giovanotti
che s’erano imbarcati qualche anno prima a Riposto,2 a cercar fortuna, e tornavano
da Trieste, o da Alessandria d’Egitto, insomma da lontano, e spendevano
e spandevano all’osteria meglio di compare Naso, o di padron Cipolla;3 si mettevano
5      a cavalcioni sul desco;4 dicevano delle barzellette alle ragazze, e avevano dei
fazzoletti di seta in ogni tasca del giubbone; sicché il paese era in rivoluzione5 per
loro.
’Ntoni, quando la sera tornava a casa, non trovava altro che le donne, le quali
mutavano la salamoia nei barilotti,6 e cianciavano in crocchio colle vicine, sedute
10    sui sassi; e intanto ingannavano il tempo a contare7 storie e indovinelli, buoni
pei ragazzi, i quali stavano a sentire con tanto d’occhi intontiti dal sonno. Padron
’Ntoni ascoltava anche lui, tenendo d’occhio lo scolare della salamoia, e approvava
col capo quelli che contavano le storie più belle, e i ragazzi che mostravano di
aver giudizio come i grandi nello spiegare gli indovinelli.
15    «La storia buona», disse allora ’Ntoni, «è quella dei forestieri che sono arrivati
oggi, con dei fazzoletti di seta che non par vero; e i denari non li guardano cogli
occhi, quando li tirano fuori dal taschino.8 Hanno visto mezzo mondo, dice,9 che
Trezza ed Aci Castello messe insieme, sono nulla in paragone. Questo l’ho visto
anch’io;10 e laggiù la gente passa il tempo a scialarsi11 tutto il giorno, invece di
20    stare a salare le acciughe; e le donne, vestite di seta e cariche di anelli meglio della
Madonna dell’Ognina, vanno in giro per le vie a rubarsi i bei marinari».
Le ragazze sgranavano gli occhi, e padron ’Ntoni stava attento anche lui, come
quando i ragazzi spiegavano gli indovinelli: «Io», disse Alessi, il quale vuotava
adagio adagio i barilotti, e li passava alla Nunziata, «io quando sarò grande, se mi
25    marito voglio sposar te».
«Ancora c’è tempo», rispose Nunziata seria seria.
«Devono essere delle città grandi come Catania; che uno il quale non ci sia
avvezzo si perde per le strade; e gli manca il fiato a camminare sempre fra le due
file di case, senza vedere né mare né campagna».12
30    «E’13 c’è stato anche il nonno di Cipolla», aggiunse padron ’Ntoni, «ed è in
quei paesi là che s’è fatto ricco. Ma non è più tornato a Trezza, e mandò solo i
denari ai figliuoli».
«Poveretto!», disse Maruzza.
«Vediamo se mi indovini quest’altro», disse la Nunziata: «Due lucenti, due pungenti,
35    quattro zoccoli e una scopa».
«Un bue!», rispose tosto Lia.
«Questo lo sapevi! ché ci sei arrivata subito», esclamò il fratello.
«Vorrei andarci anch’io, come padron Cipolla, a farmi ricco», aggiunse ’Ntoni.
«Lascia stare, lascia stare!», gli disse il nonno, contento pei barilotti che vedeva
40    nel cortile. «Adesso abbiamo le acciughe da salare». Ma la Longa guardò il figliuolo
col cuore stretto, e non disse nulla, perché ogni volta che si parlava di partire le
venivano davanti agli occhi quelli che non erano tornati più.14
E poi soggiunse: «Né testa, né coda, ch’è meglio ventura».15
Le file dei barilotti si allineavano sempre lungo il muro, e padron ’Ntoni,
45    come ne metteva uno al suo posto, coi sassi di sopra,16 diceva: «E un altro! Questi
a Ognissanti son tutti danari».
’Ntoni allora rideva, che pareva padron Fortunato quando gli parlavano della
roba degli altri. «Gran denari!», borbottava; e tornava a pensare a quei due forestieri
che andavano di qua e di là, e si sdraiavano sulle panche dell’osteria, e facevano
50    suonare i soldi nelle tasche. Sua madre lo guardava come se gli leggesse nella
testa; né la facevano ridere le barzellette che dicevano nel cortile.
«Chi deve mangiarsi queste sardelle qui», cominciava la cugina Anna, «deve
essere il figlio di un re di corona bello come il sole, il quale camminerà un anno,
un mese e un giorno, col suo cavallo bianco; finché arriverà a una fontana incantata
55    di latte e di miele; dove, scendendo da cavallo per bere, troverà il ditale di mia
figlia Mara, che ce l’avranno portato le fate dopo che Mara l’avrà lasciato cascare
nella fontana empiendo la brocca; e il figlio del re col bere che farà nel ditale di
Mara, si innamorerà di lei; e camminerà ancora un anno, un mese e un giorno,
sinché arriverà a Trezza, e il cavallo bianco lo porterà davanti al lavatoio, dove mia
60    figlia Mara starà sciorinando il bucato; e il figlio del re la sposerà e le metterà in
dito l’anello; e poi la farà montare in groppa al cavallo bianco, e se la porterà nel
suo regno».
Alessi ascoltava a bocca aperta, che pareva vedesse il figlio del re sul suo cavallo
bianco, a portarsi in groppa la Mara della cugina Anna. «E dove se la porterà?»,
65    domandò poi la Lia.
«Lontano lontano, nel suo paese di là del mare; d’onde17 non si torna più».
«Come compar Alfio Mosca», disse la Nunziata. «Io non vorrei andarci col
figlio del re, se non dovessi tornare più».
«La vostra figlia non ha un soldo di dote, perciò il figlio del re non verrà a sposarla»,
70    rispose ’Ntoni; «e le volteranno le spalle, come succede alla gente, quando
non ha più nulla».
«Per questo mia figlia sta lavorando qui adesso, dopo essere stata tutto il giorno
al lavatoio, per farsi la dote. Non è vero Mara? Almeno se non viene il figlio
del re, verrà qualchedun altro. Lo so anch’io che il mondo va così, e non abbiamo
75    diritto di lagnarcene. Voi, perché non vi siete innamorato di mia figlia, invece d’innamorarvi
della Barbara che è gialla come il zafferano? perché la Zuppidda aveva
il fatto suo,18 non è vero? E quando la disgrazia vi ha fatto perdere il fatto vostro,
a voi altri, è naturale che la Barbara v’avesse a piantare».
«Voi vi accomodate a ogni cosa», rispose ’Ntoni  imbronciato, «e hanno ragione
80    di chiamarvi Cuor contento».
«E se non fossi Cuor contento, che si cambiano le cose? Quando uno non ha
niente, il meglio è di andarsene come fece compare Alfio Mosca».
«Quello che dico io!», esclamò ’Ntoni.
«Il peggio», disse infine Mena, «è spatriare19 dal proprio paese, dove fino i sassi
85    vi conoscono, e dev’essere una cosa da rompere il cuore il lasciarseli dietro per la
strada. “Beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello”».
«Brava Sant’Agata!», conchiuse il nonno. «Questo si chiama parlare con
giudizio».
«Sì!», brontolò ’Ntoni, «intanto, quando avremo sudato e faticato per farci il
90    nido ci mancherà il panìco;20 e quando arriveremo a ricuperar la casa del nespolo,
dovremo continuare a logorarci la vita dal lunedì al sabato; e saremo sempre da
capo!».
«O tu, che non vorresti lavorare più? Cosa vorresti fare? l’avvocato?».
«Io non voglio fare l’avvocato!», brontolò ’Ntoni, e se ne andò a letto di
95    cattivo umore.
Ma d’allora in poi non pensava ad altro che a quella vita senza pensieri e senza
fatica che facevano gli altri; e la sera, per non sentire quelle chiacchiere senza sugo,21
si metteva sull’uscio colle spalle al muro, a guardare la gente che passava, e digerirsi
la sua mala sorte; almeno così si riposava pel giorno dopo, che si tornava da capo a
100  far la stessa cosa, al pari dell’asino di compare Mosca, il quale come vedeva prendere
il basto,22 gonfiava la schiena, aspettando che lo bardassero!23 «Carne d’asino!»,
borbottava, «ecco cosa siamo! Carne da lavoro!». E si vedeva chiaro che era stanco di
quella vitaccia, e voleva andarsene a far fortuna, come gli altri; tanto che sua madre,
poveretta, l’accarezzava sulle spalle, e l’accarezzava pure col tono della voce, e cogli
105  occhi pieni di lagrime, guardandolo fisso per leggergli dentro e toccargli il cuore.
Ma ei diceva di no, che sarebbe stato meglio per lui e per loro; e quando tornava poi
sarebbero stati tutti allegri. La povera donna non chiudeva occhio in tutta la notte, e
inzuppava di lagrime il guanciale. Infine il nonno se ne accorse, e chiamò il nipote
fuori dell’uscio, accanto alla cappelletta,24 per domandargli cosa avesse.
110  «Orsù, che c’è di nuovo? dillo a tuo nonno, dillo!».
’Ntoni si stringeva nelle spalle; ma il vecchio seguitava ad accennare di sì col
capo, e sputava, e si grattava il capo cercando le parole.
«Sì, sì, qualcosa ce l’hai in testa, ragazzo mio! Qualcosa che non c’era prima.
“Chi va coi zoppi, all’anno25 zoppica”».
115  «C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!».
«Be’! che novità! e non lo sapevi? Sei quel che è stato tuo padre, e quel che è
stato tuo nonno! “Più ricco è in terra chi meno desidera”. “Meglio contentarsi che
lamentarsi”».
«Bella consolazione!».
120  Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si sentiva il cuore sulle
labbra:26 «Almeno non lo dire davanti a tua madre».
«Mia madre… Era meglio che non mi avesse partorito, mia madre».
«Sì», accennava27 padron ’Ntoni, «sì, meglio che non t’avesse partorito, se oggi
dovevi parlare in tal modo».
125  ’Ntoni per un po’ non seppe che dire: «Ebbene!», esclamò poi, «lo faccio per
lei, per voi, e per tutti. Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio. Adesso ci
arrabattiamo colla casa e colla dote di Mena; poi crescerà Lia, e un po’ che le annate
andranno scarse28 staremo sempre nella miseria. Non voglio più farla questa
vita. Voglio cambiare stato,29 io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma,
130  voi, Mena, Alessi e tutti».
Padron ’Ntoni spalancò tanto d’occhi, e andava ruminando quelle parole,
come per poterle mandar giù. «Ricchi!», diceva, «ricchi! e che faremo quando
saremo ricchi?».
’Ntoni si grattò il capo, e si mise a cercar anche lui cosa avrebbero fatto. «Faremo
135  quel che fanno gli altri… Non faremo nulla, non faremo!… Andremo a stare
in città, a non far nulla, e a mangiare pasta e carne tutti i giorni».
«Va,30 va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato»; e pensando
alla casa dove era nato, e che non era più sua si lasciò cadere la testa sul petto.
«Tu sei un ragazzo, e non lo sai!… non lo sai!… Vedrai cos’è quando non potrai
140  più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più dalla tua finestra!… Lo vedrai!
te lo dico io che son vecchio!». Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso
curvo, e dimenava tristamente il capo: «“Ad ogni uccello, suo nido è bello”. Vedi
quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e
non vogliono andarsene».
145  «Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro!», rispondeva
’Ntoni. «Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare
Alfio, o come un mulo da bindolo,31 sempre a girar la ruota; io non voglio morir
di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani».
«Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’andare a
150  morire lontano dai sassi che ti conoscono. “Chi cambia la vecchia per la nuova,
peggio trova”. Tu hai paura del lavoro, hai paura della povertà; ed io che non ho
più né le tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi! “Il buon pilota si prova
alle burrasche”. Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi; ecco cos’hai!
Quando la buon’anima di tuo nonno32 mi lasciò la Provvidenza e cinque bocche
155  da sfamare, io ero più giovan di te, e non avevo paura; ed ho fatto il mio dovere
senza brontolare; e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché
ci avrò gli occhi aperti, come l’ha fatto tuo padre, e tuo fratello Luca, benedetto!
che non ha avuto paura di andare a fare il suo dovere.33 Tua madre l’ha fatto
anche lei il suo dovere povera femminuccia, nascosta fra quelle quattro mura; e
160  tu non sai quante lagrime ha pianto, e quante ne piange ora che vuoi andartene;
che la mattina tua sorella trova il lenzuolo tutto fradicio! E nondimeno sta zitta e
non dice di queste cose che ti vengono in mente; e ha lavorato e si è aiutata come
una povera formica anche lei; non ha fatto altro, tutta la vita, prima che le toccasse
di piangere tanto, fin da quando ti dava la poppa,34 e quando non sapevi ancora
165  abbottonarti le brache, che allora non ti era venuta in mente la tentazione di muovere
le gambe, e andartene pel mondo come uno zingaro».
In conclusione ’Ntoni si mise a piangere come un bambino, perché in fondo
quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono come il pane; ma il giorno dopo tornò da
capo. La mattina si lasciava caricare svogliatamente degli arnesi, e se ne andava al
170  mare brontolando: «Tale e quale l’asino di compare Alfio! come fa giorno allungo
il collo per vedere se vengono a mettermi il basto». Dopo che avevano buttato le
reti, lasciava Alessi a menare il remo adagio adagio per non fare deviare la barca,
e si metteva le mani sotto le ascelle, a guardare lontano, dove finiva il mare, e
c’erano quelle grosse città dove non si faceva altro che spassarsi e non far nulla; o
175  pensava a quei due marinai ch’erano tornati di laggiù, ed ora se n’erano già andati
da un pezzo; ma gli pareva che non avessero a far altro che andar girelloni pel
mondo, da un’osteria all’altra, a spendere i denari che avevano in tasca. La sera, i
suoi parenti, dopo aver messo a sesto la barca e gli attrezzi, per non vedergli quel
muso lungo, lo lasciavano andare a girandolare come un cagnaccio, senza un soldo
180  in tasca.

[Scoppia un’epidemia di colera, durante la quale muore Maruzza.]

Finalmente, quando il colèra finì, e dei denari raccolti con tanto stento ne restarono
appena la metà, tornò a dire35 che così non poteva durare a quella vita, di fare
e disfare; che era meglio di tentare un colpo solo per levarsi dai guai tutti in una
volta, e che là, dove era morta sua madre in mezzo a tutta quella porca miseria,
185  non voleva più starci.
«Non ti rammenti che tua madre ti ha raccomandato la Mena?», gli diceva
padron ’Ntoni.
«Che aiuto posso darci alla Mena se resto qui? ditelo voi!».
Mena lo guardò cogli occhi timidi, ma dove ci si vedeva il cuore, tale e quale
190  come sua madre, e non osava proferir parola. Ma una volta, stringendosi allo
stipite dell’uscio, si fece coraggio per dirgli: «A me non me ne importa dell’aiuto,
purché tu non ci lasci soli. Ora che non c’è più la mamma mi sento come un pesce
fuori dell’acqua, e non m’importa più di niente. Ma mi dispiace per quell’orfanella36
che resta senza nessuno al mondo, se tu vai, come la Nunziata quando l’è
195  partito il padre».
«No!», diceva ’Ntoni, «no! Io non posso aiutarti se non ho nulla. Il proverbio
dice “aiutati che t’aiuto”. Quando avrò guadagnato dei denari anch’io, allora tornerò,
e staremo allegri tutti».
La Lia e Alessi spalancavano gli occhi, e lo guardavano sbigottiti; ma il nonno
200  si lasciava cadere la testa sul petto. «Ora non hai più né padre né madre, e puoi
fare quello che ti pare e piace», gli disse alfine. «Finché vivrò a quei ragazzi ci penserò
io, quando non ci sarò più, il Signore farà il resto».
La Mena, poiché ’Ntoni voleva andarsene a ogni costo, gli metteva in ordine
tutta la roba, come avrebbe fatto la mamma, e pensava che laggiù, in paese
205  forestiero, suo fratello non avrebbe avuto più nessuno che pensasse a lui, come
compare Alfio Mosca. E mentre gli cuciva le camicie, e gli rattoppava i panni, la
testa correva lontano lontano, a tante cose passate, che il cuore ne era tutto gonfio.
«Dalla casa del nespolo non posso passarci più», diceva quando stava a sedere
accanto al nonno, «me la sento nella gola, e mi soffoca, dopo tante cose che sono
210  avvenute dacché l’abbiamo lasciata!».
E mentre preparava la roba del fratello, piangeva come se non dovesse vederlo
più. Infine, quando ogni cosa fu in ordine, il nonno chiamò il suo ragazzo per fargli
l’ultima predica, e dargli gli ultimi consigli per quando sarebbe stato solo, che
avrebbe dovuto far capitale soltanto della sua testa,37 e non avrebbe avuti accanto i
215  suoi di casa per dirgli come doveva fare, o per disperarsi insieme; e gli diede anche
un po’ di denaro, caso mai ne avesse bisogno, e il suo tabarro38 foderato di pelle,
che ormai lui era vecchio, e non gli serviva più.
I ragazzi, vedendo il fratello maggiore affaccendarsi nei preparativi della partenza,
gli andavano dietro pian piano per la casa, e non osavano dirgli più nulla,
220  come fosse diggià un estraneo.
«Così se ne è andato mio padre»,39 disse infine la Nunziata la quale era andata
a dirgli addio anche lei, e stava sull’uscio. Nessuno allora parlò più.
Le vicine venivano ad una ad una a salutare compare ’Ntoni, e poi stettero ad
aspettarlo sulla strada per vederlo partire. Egli indugiava col fagotto sulle spalle,
225  e le scarpe in mano, come all’ultimo momento gli fossero venuti meno il cuore e
le gambe tutt’a un tratto. E guardava di qua e di là per stamparsi la casa e il paese,
ogni cosa in mente, e aveva la faccia sconvolta come gli altri. Il nonno prese il
suo bastone per accompagnarlo sino alla città, e la Mena in un cantuccio piangeva
cheta cheta. «Via!», diceva ’Ntoni, «orsù, via! Vado per tornare alla fin fine! e
230  sono tornato un’altra volta da soldato». Poi, dopo ch’ebbe baciata Mena e la Lia,
e salutate le comari, si mosse per andarsene, e Mena gli corse dietro colle braccia
aperte singhiozzando ad alta voce, quasi fuori di sé, e dicendogli: «Ora che dirà
la mamma? ora che dirà la mamma?». Come se la mamma avesse potuto vedere e
parlare. Ma ripeteva quello che le era rimasto più fitto nella mente, quando ’Ntoni
235  aveva detto un’altra volta di volere andarsene, e aveva vista la mamma piangere
ogni notte, che all’indomani trovava il lenzuolo tutto fradicio, nel rifare il letto.
«Addio, ’Ntoni!», gli gridò dietro Alessi facendosi coraggio, come il fratello era
già lontano; e allora la Lia cominciò a strillare. «Così se n’è andato mio padre»,
disse infine la Nunziata, la quale era rimasta sulla porta.
240  ’Ntoni si voltò prima di scantonare dalla strada del Nero, cogli occhi lagrimosi
anche lui, e fece un saluto colla mano. Mena allora chiuse l’uscio, e andò a sedersi
in un angolo insieme alla Lia, la quale piangeva a voce alta. «Ora ne manca un
altro della casa!», disse lei. «E se fossimo nella casa del nespolo parrebbe vuota
come una chiesa».
245  Come se ne andavano ad uno ad uno tutti quelli che le volevano bene, ella
si sentiva davvero un pesce fuori dell’acqua. E la Nunziata, là presente, colle sue
piccine in collo, tornava a dire: «Così se ne è andato mio padre».
 >> pagina 259

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Il “monolitico” orizzonte esistenziale dei Malavoglia è turbato al suo interno dall’irrompere di un diverso punto di vista. L’immobilità degli antichi costumi, professata da padron ’Ntoni, è messa in discussione dall’illusione, tipica delle giovani generazioni e qui incarnata dal nipote ’Ntoni, che fuggire dal presente e dal cerchio chiuso della tradizione significhi emanciparsi dall’arretratezza e spingersi verso il benessere. ’Ntoni è determinato e non lo smuovono dal suo proposito né le parole del nonno né le lacrime della madre, alla quale pure è legato da un tenerissimo affetto. Il giovane ha le idee chiare: egli non intende vivere la stessa vita che hanno vissuto le precedenti generazioni dei Malavoglia. A lui si contrappongono tutti gli altri personaggi: il nonno, la madre, Alessi, Nunziata, le vicine che raccontano vecchie storie e propongono indovinelli per sviare il discorso di ’Ntoni. Anche la sorella Mena tenta la strada della saggezza popolare, inanellando uno dietro l’altro proverbi e massime (Il peggio […] è spatriare dal proprio paese, dove fino i sassi vi conoscono, rr. 84-85; Beato quell’uccello, che fa il nido al suo paesello, r. 86). Tuttavia l’apologia degli affetti e della sicurezza domestica e l’appello al rispetto del sistema di valori tramandato, formulati da padron ’Ntoni (Sei quel che è stato tuo padre, e quel che è stato tuo nonno!, rr. 116-117), cadono nel vuoto: il giovane ha scelto di cambiare, desideroso di rinnegare il passato e di incamminarsi sui sentieri del nuovo.

’Ntoni è convinto di aver capito il segreto della vita e della felicità, e si infervora tanto in questo convincimento da rifiutare le vecchie storie e i proverbi, che egli giudica buoni pei ragazzi (rr. 10-11). È il rifiuto dell’«ideale dell’ostrica», all’interno di un conflitto generazionale e ideologico che separa progressivamente ’Ntoni dai valori trasmessigli dalla famiglia e dalle stesse «ragioni del cuore», attraverso «un percorso che va dal noto all’ignoto, dall’immobilismo dello «scoglio» al fascino dell’infido mondo «pesce vorace», per affermare una visione romantica e velleitaria della vita» (Guarracino). Quella di ’Ntoni, però, è un’ansia di miglioramento materiale e di ascesa sociale che nel romanzo è sempre destinata alla sconfitta. Nell’ideologia verghiana il vero eroismo è quello di coloro che accettano di vivere, rassegnati, la vita faticosa dei padri.

Le scelte stilistiche

Le immagini scelte dall’autore sono tutte, come sempre, pertinenti all’ambiente sociale raffigurato: per esempio quella positiva del nido, contenuta nel proverbio ricordato da Mena alla r. 86, e ripresa dal vecchio ’Ntoni attraverso un altro proverbio (Ad ogni uccello, suo nido è bello, r. 142), che introduce l’idea di una comunità familiare e paesana protettiva e partecipe, come un nido, appunto, accogliente e sicuro. Invece l’asino, a cui si paragona ’Ntoni (al pari dell’asino di compare Mosca, r. 100), è emblema (negativo, dal punto di vista del giovane) della rassegnazione alla fatica e alla monotonia del vivere. All’immagine dell’asino si aggiungono, con lo stesso significato, quelle del cane alla catena (r. 146) e del mulo da bindolo (r. 147). Infine Mena, per esprimere il proprio disagio e la propria disillusione dopo la morte della madre, descrive sé stessa come un pesce fuori dell’acqua (rr. 192-193): espressione, questa, usata comunemente ancora oggi per indicare un senso di estraneità al mondo circostante.

 >> pagina 260

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 Che cosa intende ’Ntoni quando afferma di non volere finire in bocca ai pescicani (r. 148)?


2 Riassumi i diversi atteggiamenti dei familiari di fronte all’ipotesi della partenza di ’Ntoni.


3 Qual è lo stato d’animo di ’Ntoni nel lasciare la famiglia?

ANALIZZARE

4 Nelle frasi che il nonno rivolge al giovane ’Ntoni alla r. 93 (O tu, che non vorresti lavorare più? Cosa vorresti fare? l’avvocato?) riconosci:

  • a ironia.
  • b sarcasmo.
  • c un’antifrasi.
  • d un ossimoro.

INTERPRETARE

5 Trascrivi i proverbi pronunciati da padron ’Ntoni e ricava da essi la sua visione della vita, spiegandola in poche righe.


6 Considera la seguente frase del vecchio ’Ntoni: E che faremo quando saremo ricchi? (rr. 132-133). Quale idea è implicita in essa?


7 Mentre parla al fratello per dissuaderlo dal partire, Mena sente il bisogno di stringersi allo stipite della porta (rr. 190-191). Come possiamo interpretare questo gesto? Che cosa ti suggerisce in merito al carattere della ragazza?


8 A un certo punto il vecchio ’Ntoni pronuncia, rivolto al nipote, queste parole: Ora non hai più né padre né madre, e puoi fare quello che ti pare e piace (rr. 200-201). Come mai a questo punto non prova più a trattenerlo?

scrivere per...

argomentare

9 Secondo te chi ha ragione? ’Ntoni o i suoi parenti? Il sogno di una vita diversa del ragazzo ti sembra irragionevole oppure comprensibile? Riesci a immedesimarti nel suo punto di vista? Esponi le tue opinioni in un testo argomentativo di circa 30 righe.

Dibattito in classe

10 Quali motivi spingono il giovane ’Nton ad andarsene di casa? Sono le stesse ragioni per cui, anche oggi, molti ragazzi lasciano il proprio paese per andare a “cercar fortuna” altrove o addirittura all’estero? Discutine con la classe.

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

OBIETTIVO
8 LAVORO DIGNITOSO E CRESCITA ECONOMICA


Secondo alcuni dati dell’Istat risalenti al 2019, oltre 117.000 residenti nel Sud Italia e nelle isole si sono trasferiti nelle regioni dell’Italia centrale e, soprattutto, settentrionale; sono inoltre ben 816.000 gli italiani, perlopiù giovani intorno ai 25 anni, che hanno scelto di emigrare all’estero. Si tratta di numeri e di flussi che fanno riflettere, in buona parte legati alle difficoltà del nostro mercato del lavoro ma anche spiegabili considerando il diverso atteggiamento che oggi si tende ad avere dinanzi alla prospettiva di “cercare fortuna” e migliori condizioni di vita in un’altra realtà rispetto a quella in cui si è nati e cresciuti.


• Confronta le ragioni che spingono questi giovani a emigrare con quelle che hanno indotto ’Ntoni ad andarsene di casa e discutine con la classe.

Il magnifico viaggio - volume 5
Il magnifico viaggio - volume 5
Dal secondo Ottocento al primo Novecento