INTRECCI ARTE - L’immagine dell’esule

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L’immagine dell’esule

Nostalgia e storia sulla tela

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento i rivolgimenti storici e politici fanno sì che il tema dell’esilio e i suoi riferimenti storici e biblici tornino di bruciante attualità: la raffigurazione di esuli celebri del passato o il ritratto di uomini politici e patrioti in partenza si diffonde come genere autonomo e dotato di elementi comuni e caratteristiche specifiche.

Esuli celebri

Tra le figure paradigmatiche spicca senza dubbio quella di Napoleone che, invecchiato e deluso, è in procinto di abdicare e partire in esilio prima all’Elba e poi, lontano da ogni possibilità di ritorno, a Sant’Elena. È il 31 marzo del 1814 e l’imperatore è solo in un piccolo appartamento della reggia di Fontainebleau, rimosso dal suo ruolo a seguito dell’ingresso a Parigi delle truppe alleate: così lo rappresenta, curvo sotto il peso della Storia e della sconfitta, quasi logorato dal potere, Paul Delaroche (1797-1856), in un’opera di grandi proporzioni e di intenso studio psicologico. Lo sguardo è afflitto, gli stivali sono ancora sporchi del fango della battaglia, i capelli disordinati sono incollati al volto: è come se Napoleone conoscesse già il fato che lo attende.

All’immagine dell’uomo sconfitto dalla Storia si contrappone, idealmente, quella dell’esule ingiustamente allontanato dalla sua patria: è in questo contesto che l’Ottocento raffigura Dante, simbolo di ogni patriota e letterato che a torto deve lasciare la sua amata città.

Nel dipinto di Domenico Petarlini (1822-1897), esposto nel 1865 alla mostra d’apertura del Museo Nazionale del Bargello a Firenze, dedicata proprio al sommo poeta nel sesto centenario della sua nascita, Dante compare seduto, in atteggiamento meditabondo, accanto a una roccia con un libro sulle ginocchia, sullo sfondo del paesaggio marino dell’Adriatico.

Il dramma della Storia

Accanto alle figure di esuli celebri, il dramma della storia contemporanea irrompe prepotente nella pittura. In una tela di Francesco Hayez (1791-1881), dipinta negli anni Venti dell’Ottocento, l’artista s’ispira alle vicende a lui contemporanee raffigurando i due apostoli Giacomo e Filippo in procinto di partire per le loro missioni di predicazione. I due in realtà sono un nascosto ritratto e un omaggio a due celebri esuli italiani, omonimi dei due compagni di Cristo, Giacomo e Filippo Ciani. I due fratelli, patrioti risorgimentali esiliati in seguito ai moti del 1821, dovettero lasciare l’Italia e si stabilirono a Lugano, dove trascorsero quasi tutta la loro vita e dove conobbero e sostennero Giuseppe Mazzini. Per meglio favorire l’identificazione tra gli apostoli e i patrioti, Hayez sceglie di far indossare loro abiti che, insieme, compongano il tricolore.

Metafore dal passato

Con il ritorno di attualità dello strumento dell’esilio come punizione per nemici e patrioti, gli artisti si dedicano anche a raffigurare storie e vicende del passato, che, metaforicamente, alludano alle esperienze del presente.

È il caso di un dipinto commissionato nel 1838 dall’imperatore Ferdinando I e realizzato nel 1840 sempre dal pittore romantico Francesco Hayez, in cui si mette in scena un episodio avvenuto nel 1457 quando il doge veneziano Francesco Foscari fu costretto ad accettare la condanna di suo figlio Jacopo, ingiustamente accusato di tradimento. Il tema era già stato affrontato nel 1821 da Lord Byron nella tragedia I due Foscari, fonte di ispirazione anche per l’omonimo melodramma (1844) di Giuseppe Verdi. Con un’accurata ricostruzione scenica sono raffigurati luoghi, costumi e gesti, ma si evita la freddezza lontana della narrazione storica grazie alla rappresentazione commossa dei sentimenti dei protagonisti. L’anziano Doge, con un gesto drammatico, condanna il figlio a obbedire alla decisione del Consiglio dei Dieci; le donne accolgono il verdetto in silenzio, mentre Jacopo, inginocchiato, tende supplice le mani verso il padre.

Il magnifico viaggio - volume 4
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Il primo Ottocento