Ultime lettere di Jacopo Ortis

Ultime lettere di Jacopo Ortis

Il romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis (1802) è il primo grande capolavoro foscoliano. Si tratta di una narrazione di evidente e dichiarata ispirazione autobiografica. Il protagonista è portatore di tutte le idee, le convinzioni, le passioni e le furibonde ansie di ribellione che il giovane autore ha espresso nei primi decenni della sua esistenza irrequieta. «Mi sono fedelmente dipinto con tutte le mie follie nell’Ortis», scrive Foscolo ad Antonietta Fagnani Arese. E a Melchiorre Cesarotti: «Fra un mese avrai […] una mia fatica di due anni, ch’io chiamo Il libro del mio cuore: posso dire di averlo scritto col mio sangue […]. Da quello conoscerai le mie opinioni, i miei casi, le mie virtù, le mie passioni, i miei vizi, e la mia fisionomia».

Una prima idea del romanzo risale probabilmente al 1796, quando nel suo Piano di studi Foscolo fa riferimento alla stesura di un testo in forma epistolare (Laura, lettere). La prima versione a stampa dell’Ortis è un’edizione pirata, pubblicata nel 1798 a Bologna: prima di una delle sue tante fughe, l’autore aveva infatti consegnato all’editore Marsigli una redazione incompiuta, che quest’ultimo fa portare a termine da un letterato di modesto valore ma rapido nella scrittura, Angelo Sassoli. La versione, censurata in ogni accenno alla religione e alla politica, esce con il titolo Vera storia di due amanti infelici.

Foscolo sconfessa pubblicamente quella edizione e dà alle stampe la prima versione autorizzata del romanzo nel 1802. Personaggi e trama sono in parte mutati, brani interi tratti dalle lettere private a Isabella Roncioni e Antonietta Fagnani Arese vengono inclusi nel testo, ma soprattutto i contenuti politici sono ripristinati, ampliati, approfonditi, come accade di nuovo nelle ultime due edizioni, quella di Zurigo e quella di Londra (rispettivamente 1816 e 1817), fra loro sostanzialmente identiche.

Le fonti di ispirazione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis sono essenzialmente due: i romanzi La nuova Eloisa (1761) del francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), che influenza soprattutto la scelta dello stile epistolare, e I dolori del giovane Werther (1774) del tedesco Johann Wolfgang Goethe (1749-1832), che incide sulla scelta, come argomento, delle vicende di un giovane che si suicida per amore.

Foscolo opta per la forma epistolare di tipo monodico, cioè per la struttura “a una voce sola”: la storia è narrata attraverso le lettere scritte da un unico personaggio, Jacopo Ortis, all’amico Lorenzo Alderani, senza le risposte di quest’ultimo. Il romanzo si presenta dunque come un monologo pressoché ininterrotto; ciò esprime un’esigenza costante che fa parte del carattere foscoliano: lo strenuo bisogno di confessione. Ma perché allora non scegliere semplicemente una narrazione in prima persona? Perché la finzione epistolare permette allo scrittore di utilizzare una lingua più colloquiale e meno ufficiale – anche se elaborata e retoricamente impostata – dal momento che, come scrive egli stesso, «la radice [dei guai della lingua] è quest’unica; che la lingua italiana non è stata mai parlata: che è lingua scritta e non altro; e perciò letteraria, e non popolare».

Ormai in pieno clima preromantico, il romanzo narra una vicenda d’amore e di morte. Il nome del protagonista, Jacopo, è un omaggio a Jean-Jacques Rousseau. Il cognome è invece quello di uno studente patriota, che si era ucciso a Padova nel 1796. Come Foscolo stesso, l’eroe del romanzo deve lasciare Venezia dopo il trattato di Campoformio, per sfuggire alle persecuzioni della polizia. Sui colli Euganei, a casa del signor T***, conosce la figlia di lui, Teresa, sensibile e angelica, promessa al ricco Odoardo, uomo egoista, limitato e gelido. Il destino del fuggiasco commuove il padrone di casa e suscita la passione nel cuore di Teresa, la quale però, dopo aver ceduto a un semplice bacio, sceglie di tener fede ai suoi doveri di figlia e di fidanzata. Jacopo inizia allora un vagabondaggio per l’Italia durante il quale incontra Giuseppe Parini, ormai vecchio, a Milano; visita la casa di Petrarca ad Arquà e scrive una lettera polemica contro Napoleone. In una delle ultime epistole, spedita da Ventimiglia, esprime una visione cupamente pessimistica della realtà sociale e politica italiana, manifestando la sua propensione al suicidio.

A Ravenna, dove visita la tomba di Dante, lo raggiunge la notizia del matrimonio dell’amata: lo sgomento, unito alle delusioni politiche, rende definitiva la decisione di Jacopo che, dopo aver visto Teresa un’ultima volta e salutato la madre, si uccide con un pugnale.

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Le passioni di Jacopo Ortis possono dirsi propriamente romantiche: esaltazioni generose, slanci sentimentali, fantasia che infrange i limiti del razionalismo illuministico. Il suo focoso individualismo si ribella alla mentalità comune, perbenista e ipocrita. Ugualmente romantici sono l’indomita ricerca dell’autenticità, il ripiegamento interiore, l’attrazione per i lati più oscuri della spiritualità, la tensione autodistruttiva che si esplica infine nel suicidio.

Avverso alla mediocrità del mondo che lo circonda, Jacopo non può essere salvato nean­che dall’amore. Figura angelica quanto irraggiungibile, Teresa è la donna idealizzata della tradizione provenzale, stilnovistica, petrarchesca. Solo un’unione legittima con lei potrebbe offrire a Jacopo la pienezza vitale a cui aspira, ma anche Teresa gli sfugge. Decisa a rispettare i suoi obblighi filiali e sociali, si sacrifica accettando i compromessi che la sua condizione e il suo destino sociale di donna le impongono: invece dell’amore vero sceglierà un marito gretto, insensibile, prototipo perfetto del borghese perbenista.

Passioni amorose e politiche si intrecciano dunque per approdare a un identico disincanto. Alla caduta delle illusioni legate all’amore corrisponde il disinganno circa le sorti dell’Italia, ridotta a merce di scambio da Napoleone e più che mai divisa, incapace di sottrarsi alla propria umiliante condizione. Insofferente e ormai avvinto da un pessimismo sconsolato, Jacopo è destinato a soccombere: i conflitti interiori che lo tormentano si addensano, come in una tempesta simbolica, nel desiderio di autoannientamento di cui alla fine rimane vittima.

Riflesso delle ansie e delle intime inquietudini del protagonista, la natura assume due aspetti contraddittori: da un lato è un rifugio per le anime oppresse e una fonte di risorse vitali, dall’altro però può diventare tenebrosa e ostile. Ora selvaggia e sublime, ora serena e idillica, essa pare a volte realizzare il sogno rousseauiano di un equilibrio senza dissonanze tra l’individuo e lo scorrere del tempo, scandito nella cornice stabile e rasserenante del mondo campestre. Ma la riscoperta di una dimensione felice è presto contraddetta dalla realtà, pronta a rivelare la fragilità di questa effimera armonia. La fusione tra uomo e natura è infatti un’illusione, di cui la Storia ha cancellato ogni speranza.

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La sconfitta di Jacopo è irrevocabile, in quanto inscritta all’interno di un meccanismo spietato in cui non c’è più spazio per la fiducia illuministica nel progresso. Il suo fallimento personale è lo specchio di una più vasta delusione storica e coincide con il venir meno delle speranze di libertà, illusoriamente alimentate dalla Francia post-rivoluzionaria e sacrificate alle ferree necessità del potere. I termini di questa delusione sono fissati fin dalla prima frase del romanzo: «Il sacrificio della patria nostra è consumato», dove all’idea di patria è subito accostata quella del «sacrificio», che sarà insieme individuale e condiviso con la comunità dei «pochi uomini buoni», cioè dei coraggiosi difensori della giustizia e della libertà.

L’autore riesce a far parlare il suo protagonista con una immediatezza coinvolgente, che con il suo impeto sembra quasi aggredire il lettore: scrivendo in prima persona e adottando la forma epistolare, la voce del narratore assume una forza stupefacente e moderna.

Tuttavia la scrittura è di tipo classico: è vero che l’accademismo della prosa italiana, con le sue frasi articolate e latineggianti, viene accuratamente evitato, ma al tempo stesso Jacopo aspira a dominare la materia bruciante dei propri sentimenti, per tradurla in una forma dotata di misura e armonia. La sua prosa è densa di esclamazioni e scarti improvvisi, ma anche di lunghi periodi ipotattici scanditi da un ritmo incalzante. Ne consegue una mescolanza febbrile di registri, ora tragici e solenni, ora lirici ed elegiaci: uno stile composito da cui non sono escluse l’enfasi retorica e una ricerca di toni aulici che sfocia talvolta nell’oratoria.

T1

Tutto è perduto

Ultime lettere di Jacopo Ortis, Parte prima

Dopo l’avviso Al lettore di Lorenzo Alderani, l’amico fittizio del protagonista che ne pubblica l’epistolario, il romanzo si apre con la prima lettera di Jacopo (datata 11 ottobre 1797), il quale, rifugiatosi sui colli Euganei per sottrarsi alle persecuzioni contro i patrioti veneziani, prevede la perdita della libertà di Venezia, sacrificata sull’altare delle convenienze politiche, come puntualmente avverrà pochi giorni dopo, in seguito al trattato di Campoformio.

Al lettore
Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta;1
e di consecrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime, che ora
mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro
che esigono dagli altri quell’eroismo di cui non sono eglino2 stessi capaci, darai,
5      spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre esempio
e conforto.
Lorenzo Alderani

Da’ colli Euganei, 11 Ottobre 1797
Il sacrificio della patria nostra3 è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure
ne verrà concessa,4 non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra
infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione,5 lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi
da chi m’opprime mi commetta6 a chi mi ha tradito? Consola mia madre:
5      vinto dalle sue lagrime le ho obbedito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime
persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine
antica,7 dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese,8 posso ancora
sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai ▶ raccapricciare, Lorenzo; quanti sono
dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel
10    sangue degl’italiani.9 Per me segua che può.10 Poiché ho disperato e della mia
patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere
almeno non cadrà fra le braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto
da’ pochi uomini, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno11
su la terra de’ miei padri.

 >> pagina 66 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

La prefazione dell’amico fittizio di Jacopo, Lorenzo Alderani, riassume il destino del protagonista anticipandone la fine tragica. La situazione rimanda in modo particolarmente significativo al modello di Alfieri: anche qui, come nel dialogo alfieriano La virtù sconosciuta, la storia di un eroe sconosciuto diventa monito ed esempio per un popolo intero e una generazione sconfitta. Si parla di monumento (r. 1), quindi della costruzione di un edificio letterario alla memoria, simbolico ed emblematico, ma anche di conforto (r. 6), perché la triste storia di un giovane coraggioso e fiero può confortare, appunto, altri animi che anelano alla libertà e alla lotta contro i soprusi.

Il romanzo si apre con un doppio addio: il congedo di Lorenzo dall’amico Jacopo e quello di Jacopo stesso dalle sue speranze. Con il trattato di Campoformio (che verrà ratificato sei giorni dopo la scrittura della lettera, il 17 ottobre 1797) Napoleone Bonaparte consegnava infatti all’Austria la Repubblica veneta, in cambio della Lombardia.

Il protagonista della narrazione cede all’idea della morte. La sua prima lettera è firmata a ottobre, a differenza del maggio primaverile in cui si apre il romanzo I dolori del giovane Werther: mentre l’eroe goethiano si avvicinava gradualmente alla soluzione estrema, Ortis ha già deciso, piegato dal destino avverso. Tutte le vicende che seguiranno, fino al suicidio, non faranno che ritardare una scelta già compiuta nel momento stesso in cui egli capisce che la sua lotta è stata vana. L’implacabile sentenza con cui si apre la lettera (Il sacrificio della patria nostra è consumato, r. 1) suggella «con l’eco funeraria di un linguaggio biblico il senso irrimediabile di una catastrofe, in cui la vicenda è immediatamente immersa» (Palumbo).

 >> pagina 67 

Le scelte stilistiche

La varietà di registri stilistici dell’opera si nota già nelle diverse intonazioni dell’avviso Al lettore di Lorenzo Alderani e della prima lettera di Jacopo. L’appello iniziale ha le caratteristiche di un’epigrafe antica, il suo stile è misurato, grave, anche enfatico ma composto.

La voce di Ortis risuona, invece, immediatamente riconoscibile, nel succedersi oratorio e febbrile dei brevi periodi: la scrittura è nervosa, la punteggiatura fitta, abbondano gli aggettivi possessivi e l’uso dei pronomi personali per rimarcare il coinvolgimento emotivo (nostra/e, mio/a; ci, mi, io, tu), il ritmo è incalzante, spezzato e concitato (Il sacrificio […] è consumato; tutto è perduto; non ci resterà che, rr. 1-2); le idee si aggiungono l’una all’altra con lapidaria sentenziosità, creando nel discorso un effetto di ridondanza, riprese e brusche interruzioni.

La distanza dall’archetipo goethiano anche su questo versante è evidente: mentre il romanzo di Werther è condotto tutto sul piano della quotidianità, l’Ortis insegue da subito un livello di solenne eccezionalità, insistendo su quella ricerca del patetico e del sublime che risuonerà, come vedremo, anche nei sonetti e che meglio si presta secondo l’autore a esprimere l’inquietudine e l’angoscia dell’uomo solo e perseguitato dal destino.

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

Per quale ragione Lorenzo Alderani ha deciso di pubblicare le lettere dell’amico?


Riassumi il contenuto della prima lettera di Jacopo in circa 5 righe.


Quali espressioni soprattutto conferiscono alla lettera il suo tono drammatico ed enfatico?

Analizzare

Individua le allocuzioni dirette di Jacopo all’interlocutore.


Quali effetti ottengono i periodi brevi e asciutti scritti da Jacopo?


Il lessico è connotato in senso negativo. Individua i campi semantici prevalenti e indica, per ciascuno di essi, alcuni termini significativi.

Interpretare

Quale significato si può attribuire al continuo passaggio dalla prima persona singolare alla prima plurale?


Nello stile della prima lettera si manifestano già alcuni tratti dell’indole e della psicologia di Jacopo. Indica quali, facendo opportuni riferimenti al testo.


Quali aspetti tipici dell’eroe romantico affiorano dalla prima lettera del protagonista?

scrivere per...

raccontare

10 Adottando uno stile il più possibile vicino a quello foscoliano, scrivi una lettera di circa 20 righe a un amico su una questione di ordine civile, politico o di attualità che ti sta particolarmente a cuore.

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

La politica costituisce per il giovane Jacopo (e per Foscolo stesso) non una semplice passione, ma una vera e propria ragione di vita. Lo spirito patriottico, l’attaccamento alla propria nazione e il desiderio di vederla finalmente liberata dal dominio straniero determinano infatti scelte di campo ben precise e richiedono grandi sacrifici.


• Al giorno d’oggi, invece, sembra che i giovani siano indifferenti, o quasi, agli eventi e al dibattito della politica. Condividi questa impressione? Qual è il tuo personale rapporto con la politica? Discutine in classe.

Il magnifico viaggio - volume 4
Il magnifico viaggio - volume 4
Il primo Ottocento