Ugo Foscolo

I GRANDI TEMI

1 La delusione politica

La riflessione politica è una dimensione centrale nell’opera foscoliana: il poeta passa dagli entusiasmi giovanili a una fase di delusione e di disimpegno. Come tanti giovani italiani suoi contemporanei, anche Foscolo vede in Napoleone un eroe liberatore: quando il generale corso, ammantato di un alone mitologico e semidivino nell’immaginazione di molti, cala in Italia alla guida dell’esercito francese, il poeta imbraccia subito le armi e si arruola volontario nel corpo dei Cacciatori a cavallo. È stata da poco creata la Repubblica cisalpina (1796) e l’anno seguente viene deposto il governo oligarchico veneziano per essere sostituito dalla Repubblica veneta. Foscolo torna nella sua città resa “libera”, prendendo parte al governo provvisorio: risalgono a questo periodo le prime poesie, civili e politiche, le odi Ai novelli repubblicani e A Bonaparte liberatore.

L’entusiasmo è però destinato a trasformarsi ben presto in disillusione: con il trattato di Campoformio (1797), infatti, Napoleone cede Venezia agli austriaci, tanto che Foscolo lo chiamerà spregiativamente «mercante di popoli». Le grandi speranze di cambiamento cadono dunque dinanzi a una realtà politica dominata dal compromesso e dall’interesse.

Da questo momento Foscolo non nasconde la propria ostilità al dispotismo di Napoleone, ma non rinuncia a legarsi ai gruppi giacobini più attivi e a combattere per i francesi, in una posizione che si potrebbe definire di “collaborazione critica”. Come si spiega questa apparente contraddizione? La risposta sta nella volontà del poeta di evitare l’emarginazione, nella convinzione che l’individualismo elitario, tipico per esempio di un letterato come Alfieri, conduca a una posizione radicale ma inerte e ininfluente.

Il distacco totale dalla politica appare a Foscolo tanto impossibile quanto improduttivo: egli si impegna così, pur nella delusione profonda, nell’azione concreta, combatte nell’esercito e non solo sulle pagine dei giornali, cerca in tutti i modi di rendere i suoi ideali realtà fattive. Nel 1799 invia al generale Championnet, al comando dell’esercito francese in Italia, un Discorso su la Italia, in cui promuove il sogno dell’indipendenza nazionale; nello stesso anno fa ripubblicare l’ode A Bonaparte liberatore con una dedica in forma di lettera, indirizzata al grande generale, mettendolo in guardia dalla superbia e dalla tracotanza, dall’arroganza del potente che si trasforma in tiranno.

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Nel corso della sua attività di patriota militante e di scrittore impegnato, Foscolo riflette sul divenire storico, sui suoi miraggi e inganni, fino a verificare come gli ideali di giustizia e libertà in cui crede escano sconfitti dallo scontro con l’effettiva realtà politica. Nel drammatico impatto con le ciniche leggi del potere, si sbriciolano definitivamente tutte le illusioni: il romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis nasce da questa consapevolezza.

Tale approdo, che trasforma un giovane ribelle in severo giudice del proprio tempo, trova nella scrittura del romanzo epistolare uno specchio fedele e una sorta di “diario di idee” che segue le tappe di un progressivo distacco dagli entusiasmi rivoluzionari e si conclude con una lacerante frantumazione interiore: Jacopo non si uccide per amore come Werther, protagonista del romanzo di Goethe, ma perché la sua personalità, così ricca di speranze e di valori altissimi, si è disgregata.

2 L’io lirico

La dimensione riflessiva in Foscolo è onnipresente; si traduce in meditazione, approfondimento psicologico incessante, ascolto dell’io profondo, tentativo continuo di definizione di sé che arriva fino all’autocelebrazione. Una parte rilevante della sua produzione costituisce infatti l’espressione della propria soggettività, descrivendo gli impulsi che la determinano: i sonetti, in particolare, si configurano come un vero «libro dell’io» (Palumbo), nel quale anche la Storia, nella sua dimensione pubblica e collettiva, sembra restare in secondo piano, come una realtà esterna di cui il poeta registra soprattutto le conseguenze sul piano dell’interiorità. Così sotto la lente d’ingrandimento non va tanto il conflitto con il mondo (il «reo tempo» del sonetto Alla sera) quanto i suoi riflessi sul sentimento individuale, sulle speranze o sui dolori privati.

Nelle sue opere poetiche l’io lirico foscoliano scopre la funzione dell’autobiografia come vera e propria avventura esistenziale, da esprimere in un’opera che intreccia inevitabilmente vita e arte, motivi della tradizione letteraria e reinterpretazione personale. Allo stesso tempo però la sua scrittura rifiuta il realismo: la poesia non deve in alcun modo essere “copia del reale”, bensì dominio dell’immaginazione e specchio dell’ideale (concetto che diventerà esplicito nel poema Le Grazie).

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È il poeta stesso a descrivere, nel saggio Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, il potenziale inesauribile dell’immaginazione umana: «La fantasia, traendo dai secreti della memoria le larve [fantasmi] degli oggetti, e rianimandole con le passioni del cuore, abbellisce le cose che si sono ammirate ed amate; rappresenta piaceri perduti che si sospirano [si rimpiangono]; offre alla speranza, alla previdenza i beni e i mali trasparenti nell’avvenire; […] e quasi per compensare l’umano genere dei destini che lo condannano servo perpetuo ai prestigi dell’opinione ed alla clava della forza, crea le deità del bello, del vero, del giusto, e le adora; crea le grazie, e le accarezza; elude le leggi della morte, e la interroga e interpreta il suo freddo silenzio; precorre le ali del tempo, e al fuggitivo attimo presente congiunge lo spazio di secoli e secoli ed aspira all’eternità; sdegna la terra».

Questo “sdegnare la terra” indica nel contempo il disprezzo per la mediocrità della condizione mortale e l’aspirazione dell’artista a trascendere le costrizioni dell’esistenza contingente, e quindi a superare il semplice rispecchiamento mimetico di un “reale” piatto e banale. Contro l’incombere della notte e dell’oblio che avvolge gli anni e l’esistenza delle cose e delle persone, all’uomo non resta che affidarsi all’unica forma d’azione capace di lasciare la memoria dell’io: come Foscolo scrive nell’ultimo dei suoi sonetti (Che stai? Già il secol l’orma ultima lascia ), l’«arte» e la «fama» che dipende dalle «libere carte» sono gli unici obiettivi a cui egli affida la propria esistenza e il ricordo di sé.

Il magnifico viaggio - volume 4
Il magnifico viaggio - volume 4
Il primo Ottocento