T13 - Renzo nel tumulto di Milano

T13

Renzo nel tumulto di Milano

I promessi sposi, cap. 13

Renzo, entrato a Milano, trova la città in rivolta per l’aumento del prezzo del pane. Risucchiato dal «vortice», assiste alla devastazione dei forni e all’assedio alla casa del vicario di provvisione, cioè il funzionario incaricato del vettovagliamento della città, che il popolo ritiene responsabile della situazione. In preda a una rabbia incontrollabile, la folla cerca di scardinare il portone del palazzo mentre il vicario, terrorizzato, si rifugia nel solaio. Per sua fortuna di lì a poco giungerà il gran cancelliere Ferrer in persona a metterlo in salvo nella sua carrozza, promettendo ai rivoltosi un rapido e severo processo.

Renzo, questa volta, si trovava nel forte1 del tumulto, non già portatovi dalla piena,
ma cacciatovisi deliberatamente. A quella prima proposta di sangue,2 aveva
sentito il suo rimescolarsi tutto: in quanto al saccheggio, non avrebbe saputo dire
se fosse bene o male in quel caso; ma l’idea dell’omicidio gli cagionò un orrore
5      pretto3 e immediato. E quantunque, per quella funesta docilità degli animi appassionati
all’affermare appassionato di molti, fosse persuasissimo che il vicario era
la cagion principale della fame, il nemico de’ poveri, pure, avendo, al primo moversi
della turba, sentita a caso qualche parola che indicava la volontà di fare ogni
sforzo per salvarlo, s’era subito proposto d’aiutare anche lui un’opera tale; e, con
10    quest’intenzione, s’era cacciato, quasi fino a quella porta, che veniva travagliata4
in cento modi. Chi con ciottoli picchiava su’ chiodi della serratura, per isconficcarla;
altri, con pali e scarpelli e martelli, cercavano di lavorar più in regola: altri
poi, con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l’unghie, non
avendo altro, scalcinavano e sgretolavano il muro, e s’ingegnavano di levare i mattoni,
15    e fare una breccia. Quelli che non potevano aiutare, facevan coraggio con gli
urli; ma nello stesso tempo, con lo star lì a pigiare, impicciavan di più il lavoro già
impicciato dalla gara disordinata de’ lavoranti: giacché, per grazia del cielo, accade
talvolta anche nel male quella cosa troppo frequente nel bene, che i fautori più
ardenti divengano un impedimento.
20    I magistrati ch’ebbero i primi l’avviso di quel che accadeva, spediron subito a
chieder soccorso al comandante del castello, che allora si diceva di porta Giovia;5
il quale mandò alcuni soldati. Ma, tra l’avviso, e l’ordine, e il radunarsi, e il mettersi
in cammino, e il cammino, essi arrivarono che la casa era già cinta di vasto
assedio; e fecero alto6 lontano da quella, all’estremità della folla. L’ufiziale che li
25    comandava, non sapeva che partito prendere. Lì non era altro che una, lasciatemi
dire, accozzaglia di gente varia d’età e di sesso, che stava a vedere. All’intimazioni
che gli venivan fatte, di sbandarsi, e di dar luogo,7 rispondevano con un cupo e
lungo mormorìo; nessuno si moveva. Far fuoco sopra quella ciurma, pareva all’ufiziale
cosa non solo crudele, ma piena di pericolo; cosa che, offendendo i meno
30    terribili, avrebbe irritato i molti violenti: e del resto, non aveva una tale istruzione.8
Aprire quella prima folla, rovesciarla a destra e a sinistra, e andare avanti a
portar la guerra a chi la faceva,9 sarebbe stata la meglio;10 ma riuscirvi, lì stava il
punto. Chi sapeva se i soldati avrebber potuto avanzarsi uniti e ordinati? Che se,
in vece di romper la folla, si fossero sparpagliati loro tra quella, si sarebber trovati
35    a sua discrezione, dopo averla aizzata. L’irresolutezza11 del comandante e l’immobilità
de’ soldati parve, a diritto o a torto, paura. La gente che si trovavan12 vicino a
loro, si contentavano di guardargli in viso, con un’aria, come si dice, di me n’impipo;13
quelli ch’erano un po’ più lontani, non se ne stavano di14 provocarli, con
visacci e con grida di scherno; più in là, pochi sapevano o si curavano che ci fossero;
40    i guastatori seguitavano a smurare,15 senz’altro pensiero che di riuscir presto
nell’impresa; gli spettatori non cessavano d’animarla con gli urli.
Spiccava tra questi, ed era lui stesso spettacolo, un vecchio mal vissuto, che,
spalancando due occhi affossati e infocati, contraendo le grinze a un sogghigno di
compiacenza diabolica, con le mani alzate sopra una canizie vituperosa,16 agitava
45    in aria un martello, una corda, quattro gran chiodi, con che diceva di volere attaccare
il vicario a un battente della sua porta, ammazzato che fosse.
«Oibò! vergogna!», scappò fuori Renzo, inorridito a quelle parole, alla vista
di tant’altri visi che davan segno d’approvarle, e incoraggito17 dal vederne degli
altri, sui quali, benché muti, traspariva lo stesso orrore del quale era compreso
50    lui. «Vergogna! Vogliam noi rubare il mestiere al boia? assassinare un cristiano?
Come volete che Dio ci dia del pane, se facciamo di queste atrocità? Ci manderà
de’ fulmini, e non del pane!».
«Ah cane! ah traditor della patria!», gridò, voltandosi a Renzo, con un viso da
indemoniato, un di coloro che avevan potuto sentire tra il frastono quelle sante
55    parole. «Aspetta, aspetta! È un servitore del vicario, travestito da contadino: è una
spia: dàlli, dàlli!». Cento voci si spargono all’intorno. «Cos’è? dov’è? chi è? Un servitore
del vicario. Una spia. Il vicario travestito da contadino, che scappa. Dov’è?
dov’è? dàlli, dàlli!».
Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe sparire; alcuni suoi vicini
60    lo prendono in mezzo; e con alte e diverse grida cercano di confondere quelle
voci nemiche e omicide. Ma ciò che più di tutto lo servì fu un «largo, largo», che
si sentì gridar lì vicino: «largo! è qui l’aiuto: largo, ohe!».
Cos’era? Era una lunga scala a mano,18 che alcuni portavano, per appoggiarla alla
casa, e entrarci da una finestra. Ma per buona sorte, quel mezzo, che avrebbe resa la
65    cosa facile, non era facile esso a mettere in opera. I portatori, all’una e all’altra cima,
e di qua e di là della macchina,19 urtati, scompigliati, divisi dalla calca, andavano a
onde: uno, con la testa tra due scalini, e gli staggi20 sulle spalle, oppresso come sotto
un giogo scosso, mugghiava;21 un altro veniva staccato dal carico con una spinta; la
scala abbandonata picchiava spalle, braccia, costole: pensate cosa dovevan dire coloro
70    de’ quali erano.22 Altri sollevano con le mani il peso morto, vi si caccian sotto,
se lo mettono addosso, gridando: «animo! andiamo!». La macchina fatale s’avanza
balzelloni, e serpeggiando. Arrivò a tempo a distrarre e a disordinare i nemici di
Renzo, il quale profittò della confusione nata nella confusione; e, quatto quatto sul
principio, poi giocando di gomita a più non posso, s’allontanò da quel luogo, dove
75    non c’era buon’aria per lui, con l’intenzione anche d’uscire, più presto che potesse,
dal tumulto, e d’andar davvero a trovare o a aspettare il padre Bonaventura.23

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

In precedenza (cap. 12) Renzo ha assistito al saccheggio dei forni milanesi, dinanzi al quale il buon senso contadino gli ha dettato una semplice riflessione: «Se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane? Ne’ pozzi?». Ora l’atmosfera si fa più cupa, e la perplessità si tramuta in repulsione: l’idea dell’omicidio gli cagionò un orrore pretto e immediato (rr. 4-5). Pur essendo convinto anch’egli che la colpa della carestia vada attribuita al vicario, ritiene intollerabile ogni spargimento di sangue. Quando dunque si prospetta l’ipotesi del linciaggio, il giovane interviene a fin di bene, per impedire che quella idea sciagurata venga messa in atto. La sintonia con le idee dell’autore è in questo caso perfetta. Per l’episodio probabilmente Manzoni attinse a un traumatico ricordo personale, ovvero al brutale assassinio del ministro napoleonico Giuseppe Prina, linciato dalla folla durante il tumulto del 1814 a pochi passi dalla sua abitazione di via Morone.

La situazione precipita, e la forza pubblica non sa come regolarsi nei confronti della folla inferocita. Dal ringhioso mormorìo che essa emette in risposta all’intimazione di disperdersi (rr. 26-28) emerge l’atroce proposito di un vecchio mal vissuto (r. 42). Manzoni, che ricava questa figura da una fonte storica (il trattato De peste di Giuseppe Ripamonti, 1640), ne fa l’emblema della malvagità assetata di violenza. A questo scopo gli conferisce tratti infernali, degni del Caronte dantesco: gli occhi affossati e infocati (r. 43), le grinze (r. 43), il sogghigno di compiacenza diabolica (rr. 43-44), addirittura la volontà di crocifiggere il cadavere del vicario alla porta della sua abitazione. A lui si oppone Renzo, con uno di quegli slanci ingenui e generosi che lo caratterizzano. Basta però una sua frase mirata a calmare gli animi a farlo diventare un bersaglio della folla esaltata: «Aspetta, aspetta! È un servitore del vicario […] una spia. […] Dov’è? dov’è? dàlli, dàlli!» (rr. 55-58). A salvarlo dall’ira dei più esagitati non è tanto l’aiuto dei vicini d’accordo con lui, quanto la confusione scaturita dall’arrivo di una scala per dare l’assalto alla casa.

Le scelte stilistiche

L’impeto febbrile e disordinato della calca è abilmente mimato dall’accumulo nel medesimo periodo degli strumenti con cui essa cerca di aprire una breccia nella casa del vicario: con ciottoli […] con pali e scarpelli e martelli […] con pietre, con coltelli spuntati, con chiodi, con bastoni, con l’unghie (rr. 11-13). All’inverso, la lentezza dei soccorsi è restituita a livello sintattico da una fitta successione di virgole: tra l’avviso, e l’ordine, e il radunarsi, e il mettersi in cammino, e il cammino (rr. 22-23).

Il culmine della tensione è raggiunto tramite una sequenza di frasi spezzate che si sovrappongono una all’altra, trasformando in men che non si dica l’incauto Renzo in servitore del vicario, in una spia, nel vicario stesso travestito da contadino. Per adeguare il ritmo narrativo alla scena movimentata, il narratore adotta il presente storico: Renzo ammutolisce, diventa piccino piccino, vorrebbe sparire (r. 59). I termini utilizzati per definire la folla (turba, accozzaglia, calca ecc.) e la similitudine che la accosta a una bestia (come sotto un giogo scosso, mugghiava, rr. 67-68) lasciano intuire il giudizio negativo di Manzoni.

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VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

Perché i soldati non intervengono per interrompere l’assalto alla casa del vicario?


A che cosa Renzo deve la salvezza?

Analizzare

Nell’espressione non c’era buon’aria per lui (r. 75) quale figura retorica riconosci?


a Metafora.


b Anafora.


c Iperbole.


d Litote.


Qual è l’opinione di Renzo riguardo al saccheggio dei forni?

Interpretare

A quali ragioni personali si deve la diffidenza di Manzoni nei confronti della folla?


Individua gli interventi ironici del narratore e spiega la loro funzione espressiva.

scrivere per...

argomentare

Riguardo alla folla lo scrittore inglese Thomas Browne (1605-1682) ha scritto: «Quella mostruosità molteplice che, presa un pezzo alla volta, sembra uomini, ragionevoli creature di Dio; ma, confusa insieme, fa una sola grande belva, un mostro tremendo». Come ti poni nei confronti di questa affermazione? Scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe.

raccontare

Immagina di vivere una situazione analoga a quella di Renzo, in mezzo a una folla aggressiva o incontrollabile. Quali sono le tue reazioni, i tuoi pensieri? Raccontalo in un testo di circa 20 righe.

T14

La fuga di Renzo

I promessi sposi, cap. 17

Dopo essersi trovato in mezzo alla rivolta milanese per il rincaro del pane, Renzo cena all’osteria della Luna piena in compagnia di uno sconosciuto, che lo fa bere sino a ubriacarsi e poi lo pianta in asso. L’oste gli dà una stanza, dove al mattino il giovane si trova circondato da due birri e un notaio, venuti ad arrestarlo: lo sconosciuto era infatti un agente in incognito, incaricato di identificare i sediziosi. Appellandosi alla folla, ostile alla forza pubblica, Renzo per strada riesce a fuggire. Esce precipitosamente da Milano e si dirige a est, con l’intenzione di raggiungere il Bergamasco (allora sotto il dominio di Venezia) e rifugiarsi presso il cugino Bortolo. Cercando di non dare nell’occhio punta verso l’Adda, nella speranza di trovare una barca per attraversare il fiume. Ma intanto è scesa la notte, e il giovane è sempre più stanco, avvilito, angosciato da un ambiente che gli pare sinistro e ostile.

Cammina, cammina; arrivò dove la campagna coltivata moriva in una sodaglia1
sparsa di felci e di scope.2 Gli parve, se non indizio, almeno un certo qual argomento3
di fiume vicino, e s’inoltrò per quella,4 seguendo un sentiero che l’attraversava.
Fatti pochi passi, si fermò ad ascoltare; ma ancora invano. La noia5 del
5      viaggio veniva accresciuta dalla salvatichezza del luogo, da quel non veder più né
un gelso, né una vite, né altri segni di coltura6 umana, che prima pareva quasi che
gli facessero una mezza compagnia. Ciò non ostante andò avanti; e siccome nella
sua mente cominciavano a suscitarsi7 certe immagini, certe apparizioni, lasciatevi
in serbo8 dalle novelle sentite raccontar da bambino, così, per discacciarle, o per
10    acquietarle, recitava, camminando, dell’▶ orazioni per i morti.
A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di marruche.9
Seguitando10 a andare avanti, e allungando il passo, con più impazienza che voglia,
cominciò a veder tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre
per lo stesso sentiero, s’accorse d’entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo11 a
15    inoltrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia andò avanti; ma più che s’inoltrava, più il
ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio.12 Gli alberi che vedeva in lontananza,
gli rappresentavan13 figure strane, deformi, mostruose; l’annoiava14 l’ombra delle
cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna;
lo stesso scrosciar15 delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva
20    per il suo orecchio un non so che d’odioso. Le gambe provavano come una smania,
un impulso di corsa, e nello stesso tempo pareva che durassero fatica a regger la persona.
Sentiva la brezza notturna batter più rigida e maligna sulla fronte e sulle gote;
se la sentiva scorrer tra i panni e le carni, e raggrinzarle, e penetrar più acuta nelle
ossa rotte dalla stanchezza, e spegnervi quell’ultimo rimasuglio di vigore. A un certo
25    punto, quell’uggia,16 quell’orrore indefinito con cui l’animo combatteva da qualche
tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse.17 Era per perdersi affatto;18 ma atterrito,
più che d’ogni altra cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti,19 e gli
comandò che reggesse.20 Così rinfrancato un momento, si fermò su due piedi a
deliberare; risolveva d’uscir subito di lì per la strada già fatta, d’andar diritto all’ultimo
30    paese per cui era passato, di tornar tra gli uomini, e di cercare un ricovero,21
anche all’osteria. E stando così fermo, sospeso il fruscìo de’ piedi nel fogliame, tutto
tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo
d’acqua corrente. Sta in orecchi;22 n’è certo; esclama: – è l’Adda! – Fu il ritrovamento
d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il
35    polso,23 sentì il sangue scorrer libero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia
de’ pensieri, e svanire in gran parte quell’incertezza e gravità delle cose; e non esitò
a internarsi24 sempre più nel bosco, dietro all’amico rumore.
Arrivò in pochi momenti all’estremità del piano, sull’orlo d’una riva profonda;
e guardando in giù tra le macchie che tutta la rivestivano, vide l’acqua luccicare e
40    correre. Alzando poi lo sguardo, vide il vasto piano dell’altra riva, sparso di paesi,
e al di là i colli, e sur uno di quelli una gran macchia biancastra, che gli parve dover
essere una città, Bergamo sicuramente. Scese un po’ sul pendìo, e, separando
e diramando,25 con le mani e con le braccia, il prunaio, guardò giù, se qualche
barchetta si movesse nel fiume, ascoltò se sentisse batter de’ remi; ma non vide
45    né sentì nulla. Se fosse stato qualcosa di meno dell’Adda, Renzo scendeva subito,
per tentarne il guado; ma sapeva bene che l’Adda non era fiume da trattarsi così
in confidenza.26
Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo, sul partito da prendere.
Arrampicarsi sur una pianta, e star lì a aspettar l’aurora, per forse sei ore che poteva
50    ancora indugiare, con quella brezza, con quella brina, vestito così, c’era più che
non bisognasse27 per intirizzir davvero. Passeggiare innanzi e indietro, tutto quel
tempo, oltre che sarebbe stato poco efficace aiuto contro il rigore del sereno,28 era
un richieder troppo da quelle povere gambe, che già avevano fatto più del loro
dovere. Gli venne in mente d’aver veduto, in uno de’ campi più vicini alla sodaglia,
55    una di quelle capanne coperte di paglia, costrutte29 di tronchi e di rami, intonacati
poi con la mota,30 dove i contadini del milanese usan, l’estate, depositar la raccolta,
e ripararsi la notte a guardarla: nell’altre stagioni, rimangono abbandonate. La
disegnò subito per suo albergo;31 si rimise sul sentiero, ripassò il bosco, le macchie,
la sodaglia; e andò verso la capanna. Un usciaccio intarlato e sconnesso, era rabbattuto,32
60    senza chiave né catenaccio; Renzo l’aprì, entrò; vide sospeso per aria, e
sostenuto da ritorte di rami, un graticcio, a foggia d’hamac;33 ma non si curò34 di
salirvi. Vide in terra un po’ di paglia; e pensò che, anche lì, una dormitina sarebbe
ben saporita.35
Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato,
65    vi s’inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di tutta l’assistenza che aveva
avuta da essa, in quella terribile giornata. Disse poi le sue solite divozioni;36 e per
di più, chiese perdono a Domeneddio37 di non averle dette la sera avanti; anzi, per
dir le sue parole, d’essere andato a dormire come un cane, e peggio. “E per questo,
– soggiunse poi tra sé; appoggiando le mani sulla paglia, e d’inginocchioni mettendosi
70    a giacere: – per questo, m’è toccata, la mattina, quella bella svegliata”.38
Raccolse poi tutta la paglia che rimaneva all’intorno, e se l’accomodò addosso,
facendosene, alla meglio, una specie di coperta, per temperare il freddo, che anche
là dentro si faceva sentir molto bene; e vi si rannicchiò sotto, con l’intenzione di
dormire un bel sonno, parendogli d’averlo comprato anche più caro del dovere.
75    Ma appena ebbe chiusi gli occhi, cominciò nella sua memoria o nella sua fantasia
(il luogo preciso non ve lo saprei dire), cominciò, dico, un andare e venire
di gente, così affollato, così incessante, che addio sonno. Il mercante,39 il notaio, i
birri, lo spadaio, l’oste, Ferrer,40 il vicario, la brigata dell’osteria, tutta quella turba41
delle strade, poi don Abbondio, poi don Rodrigo: tutta gente con cui Renzo aveva
80    che dire.

Tre sole immagini gli si presentavano non accompagnate da alcuna memoria
amara, nette42 d’ogni sospetto, amabili in tutto; e due principalmente, molto differenti
al certo, ma strettamente legate nel cuore del giovine: una treccia nera e una
barba bianca.43 Ma anche la consolazione che provava nel fermare sopra di esse
85    il pensiero, era tutt’altro che pretta44 e tranquilla. Pensando al buon frate, sentiva
più vivamente la vergogna delle proprie scappate, della turpe intemperanza, del
bel caso che aveva fatto de’ paterni consigli di lui;45 e contemplando l’immagine
di Lucia! non ci proveremo a dire ciò che sentisse: il lettore conosce le circostanze;
se lo figuri. E quella povera Agnese, come l’avrebbe potuta dimenticare? Quell’Agnese,
90    che l’aveva scelto, che l’aveva già considerato come una cosa sola con la sua
unica figlia, e prima di ricever da lui il titolo di madre, n’aveva preso il linguaggio
e il cuore, e dimostrata co’ fatti la premura. Ma era un dolore di più, e non il meno
pungente, quel pensiero, che, in grazia46 appunto di così amorevoli intenzioni, di
tanto bene che voleva a lui, la povera donna si trovava ora snidata,47 quasi raminga,
95    incerta dell’avvenire, e raccoglieva guai e travagli da quelle cose appunto da cui aveva
sperato il riposo e la giocondità degli ultimi suoi anni. Che notte, povero Renzo!
Quella che doveva esser la quinta delle sue nozze!48 Che stanza! Che letto matrimoniale!
E dopo qual giornata! E per arrivare a qual domani, a qual serie di giorni!
“Quel che Dio vuole,49 – rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: – quel che
100 Dio vuole. Lui sa quel che fa: c’è anche per noi. Vada tutto in isconto de’ miei peccati.
Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!”
Tra questi pensieri, e disperando ormai d’attaccar sonno, e facendosegli il freddo
sentir sempre più, a segno50 ch’era costretto ogni tanto a tremare e a battere i denti,
sospirava la venuta del giorno, e misurava con impazienza il lento scorrer dell’ore.
105 Dico misurava, perché, ogni mezz’ora, sentiva in quel vasto silenzio, rimbombare i
tocchi d’un orologio: m’immagino che dovesse esser quello di Trezzo.51 E la prima
volta che gli ferì gli orecchi quello scocco,52 così inaspettato, senza che potesse avere
alcuna idea del luogo donde53 venisse, gli fece un senso misterioso e solenne,54 come
d’un avvertimento che venisse da persona non vista, con una voce sconosciuta.
110 Quando finalmente quel martello55 ebbe battuto undici tocchi,56 ch’era l’ora
disegnata57 da Renzo per levarsi, s’alzò mezzo intirizzito, si mise inginocchioni,
disse, e con più fervore del solito, le divozioni della mattina, si rizzò, si stirò in
lungo e in largo, scosse la vita e le spalle, come per mettere insieme tutte le membra,
che ognuno pareva che facesse da sé,58 soffiò in una mano, poi nell’altra, se
115 le stropicciò, aprì l’uscio della capanna; e, per la prima cosa, diede un’occhiata in
qua e in là, per veder se c’era nessuno. E non vedendo nessuno, cercò con l’occhio
il sentiero della sera avanti; lo riconobbe subito, e prese per quello.

Il cielo prometteva una bella giornata: la luna, in un canto, pallida e senza raggio,
pure spiccava nel campo immenso d’un bigio ceruleo,59 che, giù giù verso l’oriente,
120 s’andava sfumando leggermente in un giallo roseo. Più giù, all’orizzonte, si stendevano,
a lunghe falde60 ineguali, poche nuvole, tra l’azzurro e il bruno, le più basse
orlate al di sotto d’una striscia quasi di fuoco, che di mano in mano si faceva più
viva e tagliente: da mezzogiorno,61 altre nuvole ravvolte insieme, leggieri62 e soffici,
per dir così, s’andavan lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia,
125 così bello quand’è bello, così splendido, così in pace. Se Renzo si fosse trovato
lì andando a spasso, certo avrebbe guardato in su, e ammirato quell’albeggiare
così diverso da quello ch’era solito vedere ne’ suoi monti; ma badava alla sua strada,
e camminava a passi lunghi, per riscaldarsi, e per arrivar presto. Passa i campi, passa
la sodaglia, passa le macchie, attraversa il bosco, guardando in qua e in là, e ridendo
130 e vergognandosi nello stesso tempo, del ribrezzo che vi aveva provato poche ore
prima; è sul ciglio della riva, guarda giù; e, di tra63 i rami, vede una barchetta di pescatore,
che veniva adagio, contr’acqua,64 radendo quella sponda. Scende subito per
la più corta,65 tra i pruni; è sulla riva; dà una voce leggiera leggiera66 al pescatore; e,
con l’intenzione di far come se chiedesse un servizio di poca importanza, ma, senza
135 avvedersene, in una maniera mezzo supplichevole, gli accenna che approdi. Il pescatore
gira uno sguardo lungo la riva, guarda attentamente lungo l’acqua che viene,
si volta a guardare indietro, lungo l’acqua che va, e poi dirizza la prora67 verso Renzo,
e approda. Renzo che stava sull’orlo della riva, quasi con un piede nell’acqua,
afferra la punta del battello, ci salta dentro, e dice: «Mi fareste il servizio, col pagare,
140 di tragittarmi68 di là?» Il pescatore l’aveva indovinato, e già voltava da quella parte.
Renzo, vedendo sul fondo della barca un altro remo, si china, e l’afferra.
«Adagio, adagio,» disse il padrone; ma nel veder poi con che garbo il giovine
aveva preso lo strumento,69 e si disponeva a maneggiarlo, «ah, ah,» riprese: «siete
del mestiere.»
145«Un pochino», rispose Renzo, e ci si mise con un vigore e con una maestria, più
che da dilettante. E senza mai rallentare, dava ogni tanto un’occhiata ombrosa70
alla riva da cui s’allontanavano, e poi una impaziente a quella dov’eran rivolti, e
si coceva di non poterci andar per la più corta;71 ché la corrente era, in quel luogo,
troppo rapida, per tagliarla direttamente; e la barca, parte rompendo, parte secondando
150 il filo dell’acqua, doveva fare un tragitto diagonale. Come accade in tutti gli
affari un po’ imbrogliati, che le difficoltà alla prima si presentino all’ingrosso,72 e
nell’eseguire poi, vengan fuori per minuto,73 Renzo, ora che l’Adda era, si può dir,
passata, gli dava fastidio il non saper di certo se lì essa fosse confine, o se, superato
quell’ostacolo, gliene rimanesse un altro da superare. Onde,74 chiamato il pescatore,
155 e accennando col capo quella macchia biancastra che aveva veduta la notte
avanti, e che allora gli appariva ben più distinta, disse: «È Bergamo, quel paese?»
«La città di Bergamo», rispose il pescatore.
«E quella riva lì, è bergamasca?»
«Terra di san Marco».75
160«Viva san Marco!» esclamò Renzo. Il pescatore non disse nulla.
Toccano finalmente quella riva; Renzo vi si slancia; ringrazia Dio tra sé, e poi
con la bocca il barcaiolo; mette le mani in tasca, tira fuori una berlinga,76 che,
attese77 le circostanze, non fu un piccolo sproprio,78 e la porge al galantuomo; il
quale, data ancora una occhiata alla riva milanese, e al fiume di sopra e di sotto,
165 stese la mano, prese la mancia, la ripose, poi strinse le labbra, e per di più ci mise
il dito in croce,79 accompagnando quel gesto con un’occhiata espressiva; e disse
poi: «buon viaggio», e tornò indietro.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Renzo avanza solo, intimorito dal buio, dai luoghi sconosciuti, dalla solitudine, dal rabbioso latrare dei cani. Quella dell’eroe che di notte si inoltra nel bosco è una situazione tipica delle fiabe, a cui riportano anche la formula iniziale (Cammina, cammina, r. 1) e le fantasticherie alle quali si abbandona, suscitate dalle novelle sentite raccontar da bambino (r. 9). Come Dante all’inizio della Divina Commedia, anche Renzo si ritrova in una selva oscura, reale e insieme proiezione degli errori commessi e del suo stato d’animo pervaso d’angoscia. Man mano che procede nella vegetazione selvatica – così diversa dall’ordinata campagna coltivata, cui è abituato – sente crescere l’inquietudine. Gli alberi che prendono ai suoi occhi forme mostruose, l’ombra delle cime (rr. 17-18) mosse dal vento, lo scrosciar delle foglie secche (r. 19) sotto i suoi piedi, tutto lo urta e lo spaventa. La fredda brezza novembrina penetra sotto i panni e lo intirizzisce, levandogli le ultime forze.

Manzoni evita di inscenare piogge e tempeste, così care al gusto degli scrittori romantici: il suo eroe non è un personaggio d’eccezione che deve fronteggiare eventi straordinari, ma un paesano spaurito e sfiancato da eventi più grandi di lui nei quali si è trovato coinvolto. A un passo dal crollare, è tentato dall’idea di rinunciare e tornare indietro per cercare rifugio all’osteria, con il rischio di venire scoperto e catturato.

Quando la suspense tocca il vertice, ecco che finalmente Renzo sente un rumore, un mormorìo, un mormorìo d’acqua corrente. Sta in orecchi; n’è certo; esclama:è l’Adda (rr. 32-33): la tanto sospirata voce del fiume, nel quale ritrova un amico, un fratello, un salvatore (r. 34). In poco più di una riga, il narratore inanella così tre climax: se i primi due accompagnano la presa di coscienza, il terzo sottolinea il prorompere dell’esultanza, che aumenta alla vista delle acque che l’hanno visto crescere, poco più a nord. Dalla sponda del fiume Renzo vede all’orizzonte una gran macchia biancastra (r. 41), nella quale identifica Bergamo.

Rinfrancato, il giovane ritrova il coraggio e il sangue freddo. Si rende conto che tentare un guado solitario, di notte, sarebbe un’impresa temeraria. Arrampicarsi su una pianta o passeggiare innanzi e indietro (r. 51) sino all’alba stroncherebbe il suo fisico già provato. Decide allora di cercare ricovero in una di quelle capanne coperte di paglia (r. 55) costruite dai contadini della zona, per poi cercare di attraversare il fiume il giorno successivo. Renzo ha messo da parte il carattere impetuoso, adottando una decisione di buon senso in una situazione ardua. Il suo processo di maturazione conosce in questa notte una tappa cruciale

Le scelte stilistiche

Giunto nella capanna, Renzo ringrazia la Provvidenza per avergli fatto trovare un giaciglio, prega e chiede perdono per la condotta sconsiderata tenuta il giorno precedente. Raduna un po’ di paglia e vi si stende: ma quando chiude gli occhi non riesce ad addormentarsi. A impedirlo, insieme alla stanchezza, è l’assalto delle emozioni, che scatenano nella sua mente un instancabile andare e venire di gente (rr. 76-77).

Il lettore odierno ha l’impressione di un film, del quale si riavvolga la pellicola: i pensieri di Renzo vanno a ritroso, dalla recente sosta nell’osteria di Gorgonzola ai tumulti del giorno prima, e di qui al matrimonio fallito. Gli unici conforti, fra tante amarezze, sono dati dal ricordo di Lucia e fra Cristoforo, evocati per sineddoche: una treccia nera e una barba bianca (rr. 83-84). Lo visita infine l’immagine di Agnese, anch’ella strappata alla propria casa, recandogli un altro dolore pungente. Il discorso nel frattempo scivola dall’indiretto all’indiretto libero (Che notte, povero Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle sue nozze! Che stanza! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata!, rr. 96-98) e di qui al discorso diretto, con il quale Renzo chiude il suo esame di coscienza, proclamando la sua assoluta fiducia nel Signore (– quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa, rr. 99-100), che certo non vorrà fare tanto patire una creatura innocente come Lucia: una convinzione rimarcata dall’epanalessi (un pezzo, un pezzo, un pezzo, r. 101).

Al gelo, nel dormiveglia, Renzo sente passare le ore, misurate dai rintocchi di un vicino campanile. All’approssimarsi dell’alba decide di uscire dalla capanna. Qui Manzoni propone uno dei più suggestivi squarci paesaggistici del romanzo, caratterizzato da un finissimo gioco di tinte pastello: la luna pallida su uno sfondo bigio ceruleo (r. 119), che a oriente si fa giallo roseo (r. 120), le nuvole all’orizzonte tra l’azzurro e il bruno (r. 121), orlate dalla striscia fiammeggiante del sole che sorge, infine altre nubi illuminate da mille colori senza nome (r. 124). Sono questi gli elementi di cui si compone il quadro di quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace (rr. 124-125): dove, insieme alla felicissima tautologia (divenuta proverbiale), va sottolineato il riferimento finale alla serenità, che appartiene anche al personaggio in scena. Paesaggio e stato d’animo ancora una volta si correlano perfettamente. Purtroppo, però, Renzo non ha né il tempo né la voglia di fermarsi ad ammirare l’incantevole alba autunnale. Ha freddo, fame e fretta di attraversare il fiume: impresa nella quale riesce grazie al fortunoso incontro con un pescatore in barca.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Quali tra i seguenti ambienti attraversa Renzo durante la sua fuga verso l’Adda?


a Campi.


b Palude.


c Bosco.


d Risaie.


e Macchia.


f Orti.


2 Perché Renzo non riesce a dormire?


3 Perché il pescatore, dopo aver traghettato Renzo, fa il segno del silenzio?

ANALIZZARE

4 Come cambia lo stato d’animo di Renzo quando si accorge di essere vicino all’Adda?


5 In quali passi emergono la religiosità di Renzo e la sua fiducia nella Provvidenza?


6 Quali elementi indicano l’impazienza di Renzo di arrivare, finalmente, nella Bergamasca?

INTERPRETARE

7 L’episodio della fuga verso l’Adda segna un punto importante nel percorso di maturazione di Renzo: perché? Rispondi con precisi riferimenti al testo.

scrivere per...

argomentare

8 Durante il cammino verso l’Adda, Renzo è turbato dai rumori, dalle ombre e dai ricordi di racconti fiabeschi: quanto e come la superstizione popolare è ancora oggi presente e condiziona le azioni e i comportamenti delle persone? Argomenta la tua risposta in un testo di circa 40 righe.

Il magnifico viaggio - volume 4
Il magnifico viaggio - volume 4
Il primo Ottocento