T8 - Lettera sul Romanticismo

T8

Lettera sul Romanticismo

Lettera al marchese Cesare Taparelli d'Azeglio

Nel 1823 il marchese Cesare Taparelli d’Azeglio, padre di Massimo (il quale più tardi diverrà genero di Manzoni, sposandone la primogenita Giulia), pubblica La Pentecoste sulla rivista “Amico d’Italia”, che invia allo scrittore milanese, accompagnata da una lettera in cui predice al Romanticismo vita breve. Di lì a poco Manzoni gli risponde privatamente con la missiva nota come Lettera sul Romanticismo, in cui espone le proprie idee in merito alle polemiche tra Classicisti e Romantici. La lettera viene stampata nel 1846, contro la volontà dell’autore, che nel 1870 la rivedrà e pubblicherà nelle sue Opere varie. Qui si riprende il testo della prima e più incisiva stesura.

[…] Mi limiterò ad esporle quello che a me sembra il principio generale a cui si
possano ridurre tutti i sentimenti particolari sul positivo romantico.1 Il principio,
di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere
questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo,
5      il vero per soggetto e l’interessante per mezzo. Debba per conseguenza scegliere
gli argomenti2 pei quali la massa dei lettori ha o avrà, a misura che diverrà più
colta, una disposizione di curiosità e di affezione, nata da rapporti reali, a preferenza
degli argomenti, pei quali una classe sola di lettori ha una affezione nata
da abitudini scolastiche, e la moltitudine una riverenza non sentita né ragionata,
10    ma ricevuta ciecamente. E che in ogni argomento debba cercare di scoprire e di
esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia
e perpetua sorgente del bello: giacché e nell’uno e nell’altro ordine di cose, il falso
può bensì dilettare, ma questo diletto, questo interesse è distrutto dalla cognizione
del vero; è quindi temporario3 e accidentale. Il diletto mentale non è prodotto che
15    dall’assentimento4 ad una idea; l’interesse, dalla speranza di trovare in quella idea,
contemplandola, altri punti di assentimento, e di riposo: ora quando un nuovo e
vivo lume ci fa scoprire in quella idea il falso, e quindi l’impossibilità che la mente
vi riposi e vi si compiaccia, vi faccia scoperte, il diletto e l’interesse spariscono. Ma
il vero storico e il vero morale generano pure un diletto; e questo diletto è tanto
20    più vivo e tanto più stabile, quanto più la mente che gusta è avanzata nella cognizione
del vero: questo diletto adunque debbe la poesia e la letteratura proporsi di
far nascere.
[…]
Tale almeno è l’opinione ch’io ho fitta5 nella mente, e nella quale io mi rallegro,
perché questo sistema,6 non solo in alcune parti, come ho accennato più sopra,
25    ma nel suo complesso mi sembra avere una tendenza religiosa.
Questa tendenza era ella nelle intenzioni di quelli che l’hanno proposto, e di
quelli che l’hanno approvato? Sarebbe leggerezza l’affermarlo di tutti; perché in
molti scritti di teorie romantiche, anzi nella maggior parte, le idee letterarie non
sono espressamente subordinate alla religione. Sarebbe temerità7 il negarlo, anche
30    d’un solo; perché in nessuno di quegli scritti, almeno dei letti da me, la religione
è esclusa. Non abbiamo né i dati, né il diritto, né il bisogno di fare un tal giudizio:
una tale intenzione, certo desiderabile, certo non indifferente, non è però
necessaria per farci dare la preferenza a quel sistema. Basta che in effetto abbia
la tendenza che si è detta. Ora, il sistema romantico, emancipando la letteratura
35    dalle tradizioni etniche, disobbligandola,8 per così dire, da una morale voluttuosa,
superba, feroce, circoscritta al tempo, e improvvida anche in questa sfera,9
antisociale dove è patriottica, ed egoistica quando cessa d’essere ostile, tende certamente
a render meno difficile l’introdurre nella letteratura le idee e i sentimenti
che dovrebbero informare10 ogni discorso. E dall’altra parte, proponendo, anche
40    in termini generalissimi, il vero, l’utile, il buono, il ragionevole, concorre se non
altro con le parole, che non è poco, allo scopo della religione, non la contraddice
almeno, nei termini.

 >> pagina 309 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

La prima parte della Lettera sul Romanticismo, che abbiamo omesso, è dedicata a una serrata critica al vecchio repertorio del Classicismo, ormai in declino: «La mitologia non è morta certamente, ma la credo ferita mortalmente; tengo per fermo che Giove, Marte e Venere faranno la fine che hanno fatta Arlecchino, Brighella e Pantalone, che pure avevano molti e feroci, e taluni ingegnosi sostenitori». Manzoni critica il ricorso alla mitologia non solo per ragioni estetiche, ma anche perché lo ritiene dal punto di vista etico e religioso riprovevole. A suo parere «l’uso della favola è idolatria» e lo riconduce arbitrariamente ai tempi precedenti alla venuta di Cristo.

Il brano della Lettera qui riportato riassume i punti cruciali della poetica di Manzoni negli anni più attivi e fertili della sua carriera. In armonia tanto con l’eredità dell’Illuminismo milanese quanto con gli ideali cattolici maturati dopo la conversione, lo scrittore ritiene che la letteratura debba proporsi l’utile per iscopo (r. 4), ovvero svolgere una funzione civile e pedagogica, e non già ridursi a effimero passatempo. Al tempo stesso reputa necessario coinvolgere un pubblico più ampio della sola classe dei letterati, per mezzo di soggetti interessanti, senza temere di “sporcarsi le mani” con generi allora ritenuti squalificanti per i letterati d’élite, come il romanzo, al quale Manzoni si rivolge giusto in quegli anni, lavorando con impegno anche sul versante stilistico per rendere il suo lavoro accessibile a una vasta platea di lettori.

Ciononostante l’autore milanese non ammette infrazioni alla regola per cui le opere debbano avere il vero per soggetto (r. 5). Come scrive a Chauvet, «il falso può bensì trastullar la mente, ma non arricchirla, né elevarla», mentre il «vero» è «l’unica sorgente d’un diletto nobile e durevole». In altre parole, compito dello scrittore non è dare prova di immaginazione seducente, inventando dal nulla vicende inverosimili, ma attingere la propria materia dalla Storia, integrandola con il “vero poetico” che deriva dall’interpretazione della realtà alla luce del Vangelo. Solo così la letteratura potrà in definitiva rientrare fra le scienze morali.

Su questa via più tardi Manzoni si spingerà al punto di esprimere, nel discorso Del romanzo storico (1850), riserve sui componimenti «misti di storia e d’invenzione», e dunque implicitamente sul proprio romanzo. Coerentemente, nella versione rivista della Lettera sul Romanticismo che pubblicherà nel 1870 sottometterà al vero l’utile e l’interessante, riducendoli a meri corollari.

 >> pagina 310 

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

Fai la parafrasi del brano seguente: Tale almeno è l’opinione ch’io ho fitta nella mente, e nella quale io mi rallegro, perché questo sistema, non solo in alcune parti, come ho accennato più sopra, ma nel suo complesso mi sembra avere una tendenza religiosa (rr. 23-25).

Analizzare

Spiega in che modo, per Manzoni, il sistema romantico prepara il terreno per introdurre in letteratura le idee religiose.

Interpretare

Manzoni ritiene che la letteratura debba aprirsi a un nuovo pubblico. Chiarisci meglio questo punto, facendo riferimento al dibattito delle idee in epoca romantica.

SVILUPPARE IL LESSICO

4 Traccia uno schema del primo paragrafo (rr. 1-22) individuando tesi e argomentazioni dell’autore; individua i connettivi testuali ed analizzane la funzione.

scrivere per...

argomentare

Da quale libro o altra opera artistica (per esempio film, canzone) ti è capitato di ricavare degli insegnamenti morali che ti siano stati utili nella vita reale? Raccontalo in un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe.

Il magnifico viaggio - volume 4
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Il primo Ottocento