Pagine di realtà - I grandi del passato: i monumenti celebrativi e la “cancel culture”

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I grandi del passato: i monumenti celebrativi e la “cancel culture”

In un discusso articolo pubblicato sul “New York Times”, una studiosa di origine haitiana, Marlene L. Daut, si è spinta a definire Napoleone Bonaparte «il più grande tiranno, una icona della supremazia bianca». E così anche il più celebre degli imperatori è finito sotto i riflettori della cosiddetta “cancel culture”, una forma moderna di ostracismo che boicotta e colpevolizza importanti personaggi del passato, storico e culturale, in quanto promotori di idee, fatti o espressioni ritenuti offensivi o in contrasto con la sensibilità e i valori diffusi nella società contemporanea. Un orientamento, questo, che ha fatto breccia anche in Italia e che si è tradotto, in forme provocatorie, con l’imbrattamento di statue dedicate a figure della politica e della cultura oggi reputate controverse. Su queste azioni ragionano due psicologi e psicanalisti italiani, Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi, che invitano ad assumere una posizione critica nei confronti dei grandi del passato piuttosto che schierarsi tra un bisogno di commemorazione agiografica e un insensato furore iconoclasta.

“«In mancanza di persone eccezionali», recita una vecchia battuta, «in futuro i monumenti avranno solo cavalli». Davvero amiamo le statue commemorative? Non sono molto meglio un bel discobolo, una Venere di Milo, una madre coraggio o persino il dito teso di Cattelan?1 […]. Ci piace così tanto mettere gli uomini (alle donne capita molto più raramente, guarda un po’) sul piedistallo?

E passi per i grandi artisti, ma quando le statue sono di statisti, politici o, peggio, militari, le perplessità aumentano. Perché con le statue si corre il rischio di reificare2 la parte idealizzata e dimenticare quella rimossa.

Mettiamola così: prima di erigere (il verbo ci sembra appropriato) una statua, pensiamoci bene e documentiamoci sull’umano che vogliamo rendere immortale. Raramente sarà privo di ombre, anche se si chiama Montanelli o addirittura Churchill.3 Insomma, una volta eretta, la statua, anziché alla memoria, rischia di essere un monumento alla scissione: riflettori puntati sul bene, e le ombre dimenticate.

Ma esistono umani che non sono un miscuglio di bene e di male?

Sappiamo però che la maturità psichica – che dovrebbe comprendere la capacità di elaborare la nostra storia – ha molto a che fare con la capacità di integrare i diversi elementi del conflitto. Nei termini della psicologia junghiana:4 conoscere, comprendere e integrare l’Ombra (la parte più nascosta della personalità). E dunque anziché costruire eroi di bronzo, non è più interessante continuare a esplorare la complessità umana? A esplorare il conflitto tra le parti nobili, gli errori, le sviste e le meschinità (pensiamo ai discussi profili di Céline, Heidegger o dello stesso Jung,5 per esempio), piuttosto che risolvere velocemente il discorso e innalzare la statua? E se proprio vogliamo la statua, che sia garantita la certezza del genio (nel permanere del mistero della sua vita privata). Per dire, Dante, Shakespeare, Marie Curie. Le nostre città, invece, brulicano di statue su cui i piccioni dicono quel che pensiamo. Ci sono gli incommemorabili (schiavisti, dittatori, politici carichi d’ombra), gli pseudocommemorabili (nel dubbio lasceremmo riposare lo scalpello) e i sicuramente commemorabili (i geni e i santi: sono pochi, ma se li incontriamo passeggiando in un parco li guardiamo con ammirazione e affetto). […]

Le statue celebrative portano con sé molti problemi. Da una parte, come abbiamo visto, la reificazione di vite non proprio celebrabili, dall’altra, all’opposto, l’iconoclastia, cioè l’eliminazione da parte dei “vincitori” delle immagini celebrate nella cultura dei “vinti”. Dall’alba dei tempi, la damnatio memoriae è uno strumento di prevaricazione e cancellazione fondamentalista, come nel caso dei magnifici Buddha di Bamiyan, distrutti dai Talebani nel 2001. L’iconoclasta promuove la tabula rasa e rifiuta la storia per riscriverla a proprio piacimento, lasciando così ferite incurabili.

Un insegnamento dello psicanalista Thomas Ogden ci aiuta a trovare una prospettiva storica e al tempo stesso personale che può risultare utile contro i rischi della rimozione (fisica e psichica) delle statue. Secondo Ogden, l’obiettivo del lavoro analitico non è quello di “uccidere” metaforicamente i propri genitori, quanto di trasformarli, “migliorandoli”, in aspetti di noi stessi. Dovremmo riuscire a integrare nella nostra identità una versione dei nostri genitori (e dei personaggi storici del passato) che comprenda la «concezione di chi avrebbero potuto diventare e non sono riusciti a diventare per via delle limitazioni delle loro personalità e delle circostanze di vita». E allora forse anche nel caso di cattivi (o cattivissimi) maestri, più che schierarci tra bisogno di commemorazione agiografica e furore iconoclasta, dovremmo prima di tutto assumerci la responsabilità di essere migliori di loro, valorizzando così la lezione della storia.”


(Vittorio Lingiardi, Guido Giovanardi, La rimozione delle statue, “Il Sole 24 Ore”, 26 giugno 2020)

leggi e comprendi

1 A quali reazioni opposte possono indurre le statue?


2 Secondo il giudizio dello psicanalista Ogden, qual è il modo migliore di rapportarsi con i personaggi del passato?

Rifletti, scrivi, sostieni

3 Uno dei massimi sociologi italiani, Luca Ricolfi, considera la “cancel culture” e le sue manifestazioni come una “mutazione” del politicamente corretto, ovvero di quell’atteggiamento improntato a un doveroso rispetto delle diverse identità di gruppi, minoranze e soggetti diversi ma talvolta sconfinante nel conformismo e nella limitazione della libertà d’espressione. «A causa della “cancel culture”» scrive Ricolfi «tutta l’arte e la letteratura, compresa quella del passato, andrebbe giudicata con i nostri attuali parametri etici, e censurata o distrutta ogniqualvolta vi si trovano espressioni, immagini, o segni potenzialmente capaci di turbare la sensibilità di qualcuno». In tal modo «le statue dei grandi personaggi del passato vengono distrutte o imbrattate. I dipinti di Paul Gauguin vengono censurati perché il pittore aveva sposato una minorenne. Il finale della Carmen di Bizet viene capovolto, perché nel finale la protagonista viene uccisa da don José, e noi non ce la sentiamo di mettere in scena un femminicidio». Anche negli Stati Uniti, dove questo fenomeno si è affermato, non sono mancate le voci discordi: mentre perfino la Disney si è scusata perché Dumbo e Peter Pan contengono «rappresentazioni negative o insulti verso persone o culture», molti accademici, scrittori e filosofi hanno manifestato pubblicamente la propria contrarietà a una tendenza che essi considerano ingiusta e figlia di inaccettabili semplificazioni. Raccogli informazioni sul dibattito che si è acceso sull’argomento, poi confrontati con i compagni e le compagne esprimendo la tua opinione.r Pan contengono «rappresentazioni negative o insulti verso persone o culture», molti accademici, scrittori e filosofi hanno manifestato pubblicamente la propria contrarietà a una tendenza che essi considerano ingiusta e figlia di inaccettabili semplificazioni. Raccogli informazioni sul dibattito che si è acceso sull’argomento, poi confrontati con i compagni e le compagne esprimendo la tua opinione.

Il magnifico viaggio - volume 4
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Il primo Ottocento