Il carme viene scritto dal poeta ventenne, verso la fine del 1805, a consolazione della madre, che da poco aveva perso il compagno, il ricco nobiluomo milanese Carlo Imbonati, con il quale conviveva a Parigi da una decina d’anni. Pur senza averlo conosciuto personalmente, Manzoni fa di Imbonati un supremo modello di virtù laica: a lui si rivolge per ottenere consigli sul cammino da percorrere, sebbene all’epoca fosse ancora in vita il padre ufficiale, che l’aveva instradato in collegi religiosi, verso i quali egli mostra in altra parte del componimento un fiero disprezzo. Tutto ciò, dopo la conversione, indurrà Manzoni a rifiutare questi versi, così come gli altri componimenti giovanili di stampo classicista.
T1 - In morte di Carlo Imbonati
T1
In morte di Carlo Imbonati
Vv. 165-215
165 «Or dimmi, e non ti gravi,
se di te vero udii che la divina
de le Muse armonia poco curasti».
Sorrise alquanto, e rispondea: «qualunque
di chiaro esempio, o di veraci carte
170 giovasse altrui, fu da me sempre avuto
in onor sommo. E venerando il nome
fummi di lui, che ne le reggie primo
l’orma stampò dell’italo coturno:
e l’aureo manto lacerato ai grandi,
175 mostrò lor piaghe, e vendicò gli umìli;
e di quel, che sul plettro immacolato
cantò per me: Torna a fiorir la rosa.
Cui, di maestro a me poi fatto amico,
con reverente affetto ammirai sempre
180 scola e palestra di virtù. Ma sdegno
mi fero i mille, che tu vedi un tanto
nome usurparsi, e portar seco in Pindo
l’immondizia del trivio e l’arroganza,
e i vizj lor; che di perduta fama
185 vedi, e di morto ingegno, un vergognoso
far di lodi mercato e di strapazzi.
Stolti! Non ombra di possente amico,
né lodator comprati avea quel sommo
d’occhi cieco, e divin raggio di mente,
190 che per la Grecia mendicò cantando.
Solo d’Ascra venian le fide amiche
esulando con esso, e la mal certa
con le destre vocali orma reggendo:
cui poi, tolto a la terra, Argo ad Atene,
195 e Rodi a Smirna cittadin contende:
e patria ei non conosce altra che il cielo.
Ma voi, gran tempo ai mal lordati fogli
sopravissuti, oscura e disonesta
canizie attende». E tacque; e scosso il capo,
200 e sporto il labbro, amaramente il torse,
com’uom cui cosa appare ond’egli ha schifo.
Gioja il suo dir mi porse, e non ignota
bile destommi; e replicai: «deh! vogli
la via segnarmi, onde toccar la cima
205 io possa, o far che, s’io cadrò su l’erta,
dicasi almen: “su l’orma propria ei giace”».
«Sentir», riprese, «e meditar: di poco
esser contento: da la ▶ meta mai
non torcer gli occhi: conservar la mano
210 pura e la mente: de le umane cose
tanto sperimentar, quanto ti basti
per non curarle: non ti far mai servo:
non far tregua coi vili: il santo Vero
mai non tradir: né proferir mai verbo,
215 che plauda al vizio, o la virtù derida».
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
L’espediente del dialogo con i defunti – prima che nella Divina Commedia – ricorre in celebri passi di Omero e Virgilio. Viene più volte sfruttato nel Settecento in ambito classicistico e preromantico (per esempio da Vincenzo Monti), in genere al centro di una visione onirica, movimentata appunto dallo scambio di battute tra chi scrive e l’anima che gli appare in sogno. È ciò che accade nel carme manzoniano, in cui Imbonati si manifesta nottetempo al poeta, che per reverenza si trattiene dall’abbracciarlo. Inizia allora la conversazione nella quale, al deludente bilancio dell’educazione ricevuta da Manzoni in istituti religiosi, Imbonati contrappone – nel passo qui riportato – un programma per il futuro, al quale segue il risveglio del poeta in lacrime.
Carlo Imbonati è chiamato dall’autore a denunciare la corruzione dei tempi: il suo profilo di giusto solitario, disgustato dal mondo che ha appena abbandonato, deve molto alla suggestione dell’opera di Vittorio Alfieri, allora venerato dai giovani letterati, come testimoniano i versi che Foscolo gli dedica nei Sepolcri. Simile è anche la reverenza con cui lo stesso Foscolo e Manzoni guardano al magistero di Parini, sebbene qui Manzoni si distacchi dal gusto dell’orrido notturno, di matrice preromantica, presente nei passi foscoliani sulla sepoltura dello stesso Parini (▶ T11, p. 111).
Imbonati ebbe come precettore, scola e palestra di virtù (v. 180), proprio Parini, che gli dedicò l’ode L’educazione, il cui incipit è citato al v. 177 (Torna a fiorir la rosa). Agli occhi di Manzoni egli è dunque erede del rigore morale tipico della migliore intellettualità lombarda: un «giovin signore» che ha saputo fare tesoro degli insegnamenti ricevuti, ed è perciò degno d’emulazione da parte sua, nobile scrittore alle prime armi, nipote del marchese Cesare Beccaria.
La via indicata da Imbonati è quella che contraddistinguerà, prima ancora che la carriera letteraria, tutta la vita di Manzoni: impegno, riserbo, riflessione, disprezzo di ogni servilismo. Il defunto interlocutore afferma di non avere disprezzato la poesia in quanto tale, come sostenevano voci malevole, ma chi la esercita senza tener conto del rapporto strettissimo che deve legarla all’utile morale e al santo Vero (v. 213). Questa rivendicazione della necessaria azione pedagogica della letteratura fa di Imbonati una “controfigura” dell’autore, e avvicina il suo testamento morale a un documento di poetica.
Le scelte stilistiche
Come si è visto, i precetti di Imbonati non riguardano l’eleganza formale ma la coscienza dei doveri propri di un intellettuale all’altezza dei tempi. Tuttavia la scrittura del carme appare molto elaborata, in accordo con i dettami del Classicismo, nell’ambito del quale Manzoni aveva sviluppato la sua vocazione poetica. Troviamo dunque richiami al patrimonio letterario, mitologico e geografico greco, a cominciare dai toponimi: il monte Pindo e le città o località di Argo, Ascra, Atene, Rodi, Smirna. I riferimenti sono spesso indiretti ed espressi tramite perifrasi nobilitanti, con frequenti iperbati: non Omero, dunque, ma quel sommo d’occhi cieco (vv. 188-189); non le Muse ma d’Ascra […] le fide amiche (v. 191); non la poesia, ma la divina de le Muse armonia (vv. 166-167).
Il tono, solenne e impostato, si giova di forme verbali auliche (come il perfetto sincopato mi fero) e latinismi (veraci, aureo, trivio). Anche l’impianto retorico è molto elaborato, con il ricorso alla sineddoche (plettro immacolato per la poesia, v. 176; canizie per la vecchiaia, v. 199) e al chiasmo (plauda al vizio, o la virtù derida, v. 215). Solo di rado la frase presenta l’ordine naturale soggetto-verbo-complemento oggetto; più spesso Manzoni predilige costruzioni sintattiche complesse e latineggianti, influenzate dall’esempio di Parini, che dunque è un punto di riferimento anche su questo versante. Lo conferma la scelta, sul piano della metrica, degli endecasillabi sciolti già utilizzati nel Giorno, con studiate alternanze ritmiche.
VERSO LE COMPETENZE
Comprendere
1 Riassumi i consigli di Imbonati a Manzoni.
2 Quali scrittori loda Imbonati? Per quali motivi?
3 A chi viene profetizzata una oscura e disonesta canizie (vv. 198-199)?
Analizzare
4 Far di lodi mercato e di strapazzi (v. 186): di quale figura retorica si tratta?
Interpretare
5 La concezione di poesia di Manzoni emerge, nei discorsi di Imbonati, sia per via negativa (ciò che non deve essere), sia con esempi e insegnamenti positivi. Tenendo conto di entrambi gli aspetti, descrivi la posizione dell’autore.
6 Sentir […] e meditar (v. 207): partendo dal significato letterale dei due termini, spiega il senso che attribuisce a essi invece Imbonati.
scrivere per...
raccontare
7 Immagina che ti appaia in sogno una figura di riferimento per darti consigli relativi alla tua vita. Chi sceglieresti? Come e dove ambienteresti l’apparizione? Quali consigli ti darebbe? Scrivi un testo narrativo di circa 30 righe.
Dibattito in classe
8 Rileggi i vv. 207-215: che cosa pensi dei consigli e dei valori messi in bocca a Carlo Imbonati? Ti sembrano validi anche oggi? Discutine in classe.
Il magnifico viaggio - volume 4
Il primo Ottocento