2 - La conversione religiosa

2 La conversione religiosa

Come detto, Manzoni viene educato in istituti gestiti da religiosi cattolici, fautori di una dura disciplina, che gli suscita un insopprimibile disagio. Per reazione, in molti componimenti giovanili egli esprime un polemico rifiuto nei confronti dei metodi che ha subito, ma anche della dottrina cattolica in sé, in nome dei princìpi illuministici. La conversione non cancella questi orientamenti teorici, ma li reinterpreta nel segno della fede.

Manzoni è convinto che la parola evangelica contenga un messaggio rivoluzionario, in grado di dare un senso più profondo agli ideali di libertà, giustizia, uguaglianza promossi dai filosofi illuministi francesi. Il suo approdo al cattolicesimo si fonda sul tentativo di conciliare ragione e fede: è un “credo per capire”, che indaga i fatti della Storia e i comportamenti umani alla luce della fede, che in questo senso viene perciò elevata a strumento di conoscenza e giudizio.

La religiosità manzoniana non presenta concessioni al misticismo o direzioni irrazionalistiche, né assume mai aspetti pacificanti e consolatori, come in tanti intellettuali vicini al movimento romantico, e nemmeno si acquieta nella contemplazione, o nella rassegnazione in attesa di compensi ultraterreni. Al severo rigorismo morale con cui vive le sue convinzioni e a una certa venatura di pessimismo non sono estranei il modello del calvinismo, secondo il quale era stata educata la moglie Enrichetta, e soprattutto l’insegnamento dei direttori spirituali a cui Manzoni si affida, ovvero il padre Eustachio Degola a Parigi e il canonico Luigi Tosi a Milano, entrambi sensibili alle istanze del giansenismo.

Sebbene in molti l’abbiano ritenuto tale, lo scrittore milanese non è tuttavia giansenista in senso stretto, ovvero sul piano dogmatico e teologico, dove manifesta sempre il più ortodosso ossequio ai princìpi cattolici. In una lettera del 1828 indirizzata al padre Antonio Cesari, per esempio, scrive: «Non capisco come ella abbia potuto dubitare s’io riconosco nel Sommo Pontefice la qualità di vero Capo della Chiesa […]. Colla Chiesa dunque sono e voglio essere, in questo come in ogni altro oggetto di Fede; con la Chiesa voglio sentire, esplicitamente, dove conosco le sue decisioni; implicitamente, dove non le conosco: sono e voglio essere con la Chiesa, fin dove lo so, fin dove veggo, e oltre».

Tutto ciò non impedisce a Manzoni di guardare con occhio critico all’operato del Vaticano, quando non gli sembri in linea con i princìpi evangelici, a causa dell’infinita debolezza dell’animo umano, che dà luogo alla brama di potere. In questo atteggiamento e nella consapevolezza dei limiti e delle imperfezioni degli uomini, da cui deriva una visione fortemente pessimistica della Storia (evidente nelle tragedie), si riconoscono le tracce più significative lasciate nel suo animo dal giansenismo.

Sul piano politico tale impostazione si traduce nell’avversità al potere temporale del papa, visto come un ostacolo rispetto al vero compito della Chiesa, ossia l’azione nel campo della cura delle anime. Si tratta di una posizione condivisa da altri cattolici liberali, come Antonio Rosmini, con il quale alla metà del secolo Manzoni stabilisce un intenso scambio intellettuale.

Amareggiato dall’alleanza in chiave reazionaria fra “trono e altare” (cioè tra il potere politico e la Chiesa) che caratterizza la Restaurazione, in vecchiaia Manzoni approverà l’annessione all’Italia dello Stato pontificio e il trasferimento della capitale a Roma, suscitando l’ira dei cattolici intransigenti, contrari all’Unità d’Italia, e l’entusiasmo di quanti accettavano invece la celebre formula di Cavour: «Libera Chiesa in libero Stato».

intrecci FILOSOFIA

Il giansenismo e il potere della Grazia

Il giansenismo è un movimento teologico, religioso e politico, che prende nome da Giansenio (forma italianizzata del nome di Cornelius Otto Jansen, 1585-1638), teologo olandese, il cui trattato Augustinus fu condannato come eretico dall’Inquisizione nel 1641 per le teorie in esso contenute sulla Grazia e sul libero arbitrio, sul peccato universale e sulla redenzione.

Giansenio estremizzava l’idea di Agostino secondo cui l’individuo, dopo il peccato originale, non è più in grado di volere compiere il bene con le sole sue forze. La venuta di Cristo avrebbe dato all’umanità la possibilità di salvarsi, ma solo in quanto, dopo di essa, Dio concede la Grazia, senza la quale nessuno potrebbe compiere il bene. Al peccatore Dio non è tenuto a concedere la Grazia: questa è data soltanto a coloro che Dio, nella sua volontà imperscrutabile, ha predestinato, indipendentemente e prima di ogni previsione dei meriti. Tale predestinazione non è concessa neppure a tutti i battezzati, ma soltanto a coloro che Dio ha scelto. Senza la Grazia, l’essere umano non può volere e fare altro che male; con essa, invece, non può volere e fare altro che bene: questo forte accento sulla predestinazione ha fatto accostare il giansenismo al calvinismo. Altri suoi aspetti rilevanti sono il rigorismo morale e l’importanza fondamentale attribuita alla Bibbia e agli scritti dei Padri della Chiesa.

La diffusione in Francia

Il giansenismo, sviluppatosi inizialmente in Belgio e in Olanda, ebbe il suo centro nell’abbazia francese di Port-Royal, dove operarono il teologo Antoine Arnauld e il filosofo Blaise Pascal, e di lì si diffuse in tutto il paese, entrando in contrasto con il Papato e con la monarchia francese; le monache di Port-Royal furono disperse con la forza nel 1709 e l’abbazia distrutta nel 1712. Tuttavia il giansenismo rimase vitale per tutto il XVIII secolo come movimento politico e culturale oltre che religioso, contestando il primato papale e l’assolutismo monarchico, poiché si avvicinava all’opposizione parlamentare al re.

Il magnifico viaggio - volume 4
Il magnifico viaggio - volume 4
Il primo Ottocento