Un poeta vittima della retorica
Non è un’esagerazione affermare che a partire dalla seconda metà del Novecento il nome di Foscolo sia stato oggetto di svalutazione critica e in qualche caso di vera e propria rimozione. La sua immutata fortuna nella scuola e la simpatia che la sua opera e la sua immagine di personaggio romantico suscitano ancora presso molti studenti lo hanno salvato dall’oblio, ma non hanno impedito un certo discredito con cui buona parte della nostra cultura ha liquidato le icone del patrimonio risorgimentale e poi post-unitario, tra le quali Foscolo occupava senza dubbio un posto di primo piano.
Il fastidio per la retorica che ha investito, suo malgrado, l’autore dei Sepolcri ha prodotto caricature e giudizi liquidatori sul suo conto, spesso ingiusti se non grossolani. Da questo punto di vista, non c’è dubbio che ha nuociuto alla fortuna di Foscolo presso le ultime generazioni di letterati italiani non tanto la selva dei suoi detrattori, quanto quella dei suoi apologeti ottocenteschi, impegnatisi con eccessivo zelo a farne un monumento libresco alla magniloquenza patriottica.
Non è un caso che il letterato italiano degli ultimi decenni che con maggior vigore ne ha riconosciuto la lezione, Edoardo Sanguineti, sia anche quello che ne ha, per così dire, rovesciato l’immagine, trasformandolo da simbolo di una letteratura declamatoria e autoreferenziale in un simbolo anticonformistico di ribellione al proprio tempo.