GLI SPUNTI DELLA CRITICA - Matteo Palumbo - Poesia e teoria

GLI SPUNTI DELLA CRITICA

Matteo Palumbo

Poesia e teoria

In tutta la sua opera, apparentemente eterogenea, Foscolo rimane fedele a una stessa concezione della poesia, secondo un programma teorico che è alla base delle sue scelte tematiche e stilistiche. Sull’importanza di questa elaborazione concettuale si sofferma lo studioso Matteo Palumbo (n. 1946), che ragiona in queste pagine sul ruolo che Foscolo assegna alla poesia nella Storia della civiltà umana.

Esiste in Foscolo una fedeltà costante all’idea di poesia, come egli la intende e la applica. Nelle prime riflessioni del 1803 sull’arte ai tempi di Lucrezio, o nelle note che accompagnano la traduzione della Chioma di Berenice, negli appunti sulla ragione poetica delle Grazie o nella lettera a Monsieur Guillon o nell’orazione inaugurale del 1809 intorno all’Origine e ufficio della letteratura, quando fu richiamato a ricoprire a Pavia la cattedra di Eloquenza, si può verificare un modo invariabile di concepire il genere lirico: distinto da ogni altra forma estetica per i contenuti, per le qualità formali, e, insieme, per le tecniche espositive. Tra il 1803 e gli anni dell’esilio londinese, non vi è in sostanza rottura in alcuna concezione della poesia istituzionalmente votata a celebrare numi ed eroi, e intesa, perciò, come lirica sublime, che riscopre nella prima origine, remota e favolosa, la traccia di quello che sembra un intramontabile destino. Seguendo analiticamente il percorso che Foscolo compie nei suoi principali scritti teorici, si tratterà, perciò, di ritrovare in ognuna delle singole tappe le affinità con il programma generale, e di riconoscere nelle distinte argomentazioni il permanere di un’uguale esigenza, a cui, nei tempi diversi, il poeta si adegua.

La storia dei ragionamenti che Foscolo, in qualità di critico, compie intorno alla poesia si identifica, per un altro verso, con la storia della poesia stessa di Foscolo, osservata dal punto di vista di colui che, per varie ragioni, riflette sul linguaggio e sul fine del proprio lavoro. La speculazione è, in altre parole, indissociabile dall’esercizio individuale, a cui si accompagna in un rapporto costante. Infatti, proprio lo sfondo concettuale, che Foscolo disegna come critico, è la premessa per intendere le ragioni di scelte stilistiche o tematiche ben coerenti, con cui egli cerca, nella pratica del lavoro de poète,1 il rispetto di quell’idea. Se è sempre indissociabile in ogni autore il legame tra elaborazione teorica e attuazione pratica, in Foscolo questa connessione è ancora più solida e operativa. Non solo perché in lui l’intelligenza critica è pari alla grandezza del poeta, ma anche perché la stesura dei suoi principali testi si nutre di testi esplicativi, che costituiscono un contributo essenziale alla conoscenza delle opere a cui si riferiscono. Così, alla composizione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis si unisce la Notizia bibliografica, mentre ai Sepolcri si aggiunge la lettera a Monsieur Guillon e alle Grazie, invece, la Dissertation del 1822 e gli Appunti sulla ragion poetica del carme. Lirica e discorso sulla lirica stanno, dunque, insieme. Sono parti di uno stesso progetto, che collaborano a edificare in modo congiunto. Questo progetto ha per scopo l’affermazione del ruolo altissimo che la poesia lirica ha negli annali della storia degli uomini: un ruolo che coinvolge le radici stesse della civiltà e le leggi della sua saldezza. […]

Il primo dato da cui partire è la precisa e lucida coscienza che Foscolo dimostra della differenza tra generi letterari e dei loro rispettivi domini. Nel 1803 egli si dedica a un complesso lavoro su Lucrezio, rimasto frammentario, alla traduzione e al commento della Chioma di Berenice, e, contemporaneamente, scrive le poche, ma cruciali pagine, che prendono il nome di Saggio di novelle di Luigi Sanvitale. Nei testi che riguardano Lucrezio e Callimaco, Foscolo si preoccupa di definire, in termini storici e filosofici, la genesi della poesia e il suo fondamento antropologico.

Rispetto alla natura del romanzo […] altro è il fondamento della poesia. Con ferma coerenza, durante il corso degli anni, Foscolo non ribadisce che le medesime tesi. In un breve saggio, scritto nel 1811, che ha per oggetto propriamente Della poesia lirica, egli riassume nel modo più sintetico la sua posizione, già illustrata e articolata nei frammenti lucreziani e, soprattutto, nel Discorso quarto della Chioma di Berenice […]:

la poesia lirica canta con entusiasmo le lodi de’ numi e degli eroi. La religione ed i fasti delle nazioni furono i primi ad ottenere per mezzo della poesia lirica monumenti perpetui della letteratura; da che questa poesia emanò non tanto dalle tarde istituzioni sociali, quanto dall’entusiasmo naturale alla mente dell’uomo, e non frenabile quasi quand’è mosso da forti e perpetue passioni. Finché gli uomini non avevano se non se il canto, tutta la loro storia e le loro leggi religiose e politiche doveano necessariamente trovarsi nella tradizione delle loro canzoni.

Poesia, dunque, che si identifica con la celebrazione di «numi» e di «eroi»: «teologica» e «legislatrice», come l’aveva già definita nella Chioma di Berenice, perché, attraverso il racconto di antichi miti, diventa memoria e custode dei principi della politica e della morale. In questo senso, proprio nel canto e nei suoi contenuti, e cioè «nella tradizione delle canzoni», si ritrovano le leggi eterne che stanno alla base della comunità umana. Rispettando la sua genesi, la lirica, che fa «divorzio» dalla cronaca, si inscrive in un orizzonte più ampio, aperto su scenari senza limiti. Si inscrive in un tempo di lunga durata, che ingloba e trascende la materia dell’attualità. Essa appartiene, infatti, a un mondo di verità universali e definitive, che restano intatte nel movimento dei secoli e nella mutazione dei regni. Nelle sue favole allegoriche si conserva il fondamento assoluto dell’humanitas: i valori, in altre parole, che costituiscono il patrimonio di ogni possibile civiltà, passata, presente e futura.

Questa idea di poesia, sublime e monumentale, non può che prendere vita in un corpo adeguato, che di quell’idea rappresenti il giusto correlativo. I suoi predicati sono invariabilmente riconosciuti in elementi tali che possano produrre, con la loro simultanea azione, effetti istantanei sull’immaginazione dei lettori. Ha perciò bisogno del «mirabile» e del «passionato»,2 «perché ha d’uopo di percuotere le menti col meraviglioso, ed il cuore con le passioni». A conferma di un progetto coerente a una concezione organicamente civile della poesia, Foscolo chiarisce, in un passo della Chioma di Berenice, che «questo mirabile non è, come gl’incantamenti de’ romanzieri, vòto di effetto; ma fa più salde le fondamenta dello stato». Non è, in altre parole, un ornamento secondario, ma costituisce il codice strutturale della poesia: la sua sostanza e il suo linguaggio. […]

La lirica, per Foscolo, non può essere che celebrazione di «eroi politici», giacché «la poesia deve per istituto cantare memorabili storie, incliti fatti ed eroi, accendere gli animi al valore, gli uomini alla civiltà, le città all’indipendenza, gl’ingegni al vero e al bello». Questo programma coincide con l’origine e con il destino della letteratura nel senso più alto del termine. Essa rappresenta allegoricamente le idee e le ritrova materializzate nei miti antichi e nella conoscenza che questi portano con sé. Naturalmente un tale mandato non può compiersi che attraverso una lingua adeguata: solenne come i contenuti a cui si riferisce. Per Foscolo, così, proprio la lingua e la parola si pongono come garanti della permanenza delle favole nel tempo, contribuendo, in modo decisivo, alla loro immortalità.


(Matteo Palumbo, Foscolo, Il Mulino, Bologna 2010)

COMPRENDERE IL PENSIERO CRITICO

1 Secondo Palumbo elaborazione teorica e pratica poetica sono indissociabili in Foscolo: come mai?


2 Quali sono le tappe della speculazione foscoliana sulla poesia?

Il magnifico viaggio - volume 4
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Il primo Ottocento