INTRECCI ARTE - Immaginare e studiare il mondo

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Immaginare e studiare il mondo

Dall’antichità a Galileo

La ricezione umanistica dell’opera di Tolomeo

Il successo dell’opera di Tolomeo – il sistema di rappresentazione dell’universo sviluppato in Grecia nel secondo secolo – è testimoniato dalle numerose edizioni della sua opera e soprattutto dalle piante che, ancora nel Quattrocento, usano gli studi dell’astronomo greco per la realizzazione di una cartografia della terra.

Alla fine del Trecento, l’umanista Jacopo Angeli da Scarperia tradusse in latino il testo della Geografia, e tra il 1455 e il 1462 questa versione fu copiata a Firenze, nell’ambito dell’interesse toscano per l’osservazione del mondo e la sua rappresentazione. Il manoscritto, di grandi dimensioni, appartenne per diverse generazioni alla famiglia Medici ed era corredato da 27 tavole attribui­te a Pietro del Massaio (1424 - ante 1496), pittore e miniatore, attivo in numerose botteghe fiorentine per lavori di impegno artigianale, come le dorature di mobili e oggetti. L’artista disegna la mappa del mondo allora conosciuto, secondo la proiezione descritta da Tolomeo, con il globo terreste raffigurato in piano e con la griglia di meridiani e paralleli che mantiene le proporzioni tra le terre e le distanze tra i luoghi. Se l’Europa è disegnata con precisione, i confini dell’Asia orientale e dell’Africa meridionale sono indistinti, a configurare la classica Ecumene, ossia la porzione di terre emerse tipica dell’impostazione tolemaica.

I viaggi per mare e le misurazioni

Fin dall’antichità, gli strumenti utilizzati per misurare le posizioni degli astri sono chiamati, con un termine greco, astrolabi: si tratta di strumenti molto diversi tra loro, usati sia per la proiezione e lo studio delle stelle sia per la navigazione in mare aperto. L’astrolabio piano era uno strumento versatile che permetteva di eseguire rapidamente calcoli astronomici complessi; inventato probabilmente in Grecia o in Egitto, lo strumento fu perfezionato dagli arabi, e l’astronomo della moschea se ne serviva per localizzare la Mecca per la preghiera. Nella forma, è simile all’astrolabio nautico, usato non nel calcolo astronomico, ma per misurare la distanza zenitale del Sole o di una stella – in particolare della Polare – nel momento del transito al meridiano. In questo modo, conoscendo la distanza dall’equatore celeste dell’astro osservato in quel dato giorno, il navigatore era in grado di calcolare la latitudine e quindi la posizione della nave.

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I nuovi strumenti di Galileo

Tra il 1609 e il 1610 Galileo compie numerose osservazioni scientifiche utilizzando le proprietà ottiche delle lenti e degli specchi concavi e convessi: è proprio la combinazione di lenti e specchi alla base della costruzione del telescopio, che aveva una lente obiettiva convessa e una lente oculare concava e produceva immagini dritte (e non capovolte, come nel cannocchiale di Keplero e in quello di Newton) ma con un campo visivo estremamente ridotto. Il telescopio del 1610 è lo stesso di cui lo scienziato parlava in una lettera a Cosimo II, Granduca di Toscana, promettendogli in dono strumenti esteticamente raffinati e perfetti per le osservazioni astronomiche: in questo caso il tubo è rivestito di pelle rossa, decorato a foglia d’oro con motivi di estrema eleganza.

Apparteneva invece a un cannocchiale d’uso comune la lente obiettiva ancora oggi conservata a Firenze, attraverso cui Galileo osservò per primo nel 1610 i satelliti di Giove, che battezzò “Pianeti Medicei”. Per onorare il legame con la famiglia, la lente del cannocchiale col quale fu compiuta la scoperta fu donata da Galileo al Granduca Ferdinando II: nel 1677 la famiglia Medici commissionò all’intagliatore Vittorio Crosten la cornice montata su legno d’ebano, nella quale la lente – rotta per una precedente caduta accidentale – è oggi inserita, cimelio non solo delle scoperte dello scienziato pisano, ma anche del suo legame con la famiglia granducale.

Il magnifico viaggio - volume 3
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento