Le prime opere

Le prime opere

Tra il 1586 e il 1606 Galileo scrive in volgare opere come La bilancetta, Breve instruzione all’architettura militare, Trattato di fortificazione, Le Mecaniche, Le operazioni del compasso geo­metrico et militare, nelle quali si alternano ricerche scientifiche e acquisizioni tecniche, teo­ria e pratica, speculazione e applicabilità.

La bilancetta

Particolarmente interessante è il breve trattato La bilancetta, scritto nel 1586, mai stampato durante la vita dello scienziato, ma circolante in forma manoscritta tra i suoi studenti e amici: l’autore vi presenta il progetto di una bilancia idrostatica per la determinazione della densità dei corpi, a testimonianza dei suoi primi interessi nelle scienze applicate. Il modello a cui il giovane scienziato si ispira è Archimede, una predilezione significativa, dal momento che il celebre matematico siracusano era solito partire dalla risoluzione di problemi pratici per poi arrivare a formulare conclusioni di carattere generale, proprio come avrebbe poi fatto lo stesso Galileo.

Sidereus nuncius (Messaggero celeste)

Nel 1610 Galileo dà alle stampe il Sidereus nuncius, un breve trattato in lingua latina con il quale intende dare notizia delle sue prime scoperte astronomiche fatte grazie all’uso del cannocchiale: i monti e i crateri della Luna, i quattro satelliti di Giove (che chiama pianeti medicei, in onore del granduca Cosimo II de’ Medici, a cui dedica anche il trattato stesso), le caratteristiche della Via Lattea, le nebulose di Orione e delle Pleiadi.

Tali scoperte minano alle fondamenta la tradizionale visione dell’universo: per esempio, secondo il sistema tolemaico era impossibile che esistessero corpi celesti ruotanti intorno a un pianeta che non fosse la Terra, ma la scoperta dei satelliti di Giove confuta palesemente questo assunto. Allo stesso modo, la vera natura della superficie lunare, irregolare e non uniforme, contraddice la teoria aristotelica secondo la quale i corpi celesti sarebbero fatti di etere, ossia di una materia perfetta, eterna, trasparente e incorruttibile. Le osservazioni galileiane mostrano inoltre quanto la Terra e gli altri corpi celesti siano simili tra loro, mentre la scienza tradizionale riteneva che il mondo terrestre e quello celeste fossero fatti di materie diverse e soggetti a leggi naturali differenti.
Il testo crea enorme scalpore nel mondo scientifico, religioso e culturale dell’epoca, suscitando anche l’interesse del grande matematico e astronomo tedesco Giovanni Keplero (Johannes Kepler, 1571-1630). La notorietà conferita a Galileo da questo libro fa sì che le sue teorie e il suo metodo d’indagine si diffondano in tutta la comunità scientifica, persino in Cina, dove il suo nome viene traslitterato in Chia-Li-Lueh. Al tempo stesso, si manifestano già polemiche e contrarietà da parte di studiosi e intellettuali non disposti a modificare le convinzioni sulle quali si fondava la loro concezione del mondo: alcuni filosofi aristotelici, come Cesare Cremonini (1550-1631), si rifiutano di guardare nel cannocchiale; altri, dopo averlo usato, lo ritengono uno strumento diabolico, capace di alterare la realtà.

Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono

Scritto nel 1612, è il primo testo con cui, dopo la pubblicazione del Sidereus nuncius, Galileo si difende dai sostenitori della tradizione scientifica. In quest’opera, scritta in volgare, egli sostiene l’infondatezza della posizione aristotelica secondo la quale sarebbe la forma dei vari corpi a determinarne il galleggiamento o l’affondamento.

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La scelta della lingua volgare e l’adozione della forma del dialogo, preferita a quella del trattato, mostrano la consapevolezza con la quale Galileo si propone di avvicinare la scienza agli «intendenti», cioè a quegli uomini «capaci di ragione, e desiderosi di saper il vero», non dotti né eruditi, e quindi non necessariamente conoscitori del latino, ma curiosi e provvisti di una qualche istruzione. Per raggiungere questo pubblico egli rinuncia al latino e ricorre a un registro comunicativo più semplice e meno formale di quello adottato tradizionalmente dalla trattatistica scientifica.

Il Saggiatore

Nel 1618 la comparsa di tre comete nei cieli d’Europa scatena il desiderio di interpretare il fenomeno. I primi studiosi a pronunciarsi sono i gesuiti del Collegio romano: tra questi, è reputata particolarmente autorevole la figura del matematico e astronomo Orazio Grassi, il quale, nella Disputatio astronomica de tribus cometis anni MDCXVIII (Disputa astronomica sulle tre comete dell’anno 1618), definisce le comete come veri e propri corpi celesti dotati di moto circolare. Per confutare le argomentazioni del gesuita, Galileo affida una replica prima al proprio allievo Mario Guiducci (Discorso delle comete); poi, dopo la pubblicazione di un altro testo di Grassi, la Libra astronomica ac philosophica (Bilancia astronomica e filosofica), edito sotto lo pseudonimo di Lotario Sarsi, decide di entrare nella disputa in prima persona con Il Saggiatore, opera pubblicata nel 1623 dall’Accademia dei Lincei.
Scritto in volgare e in forma di lettera rivolta al poeta Virginio Cesarini (1595-1624), membro dell’Accademia, il testo vuole essere, già dal titolo, una recisa smentita delle teo­rie dell’avversario, analizzate e respinte punto per punto: il “saggiatore”, infatti, è una bilancia da orefice, ben più precisa di quella cui fa riferimento Grassi con il termine libra, che in latino designa una bilancia di uso generico. Non meno provocatorio è l’impiego del volgare: l’inserimento nell’opera di alcuni passi in latino, ripresi dai testi di Grassi, e il ricorso a una lingua comprensibile anche al pubblico dei “non addetti ai lavori” vogliono sottolineare implicitamente la distanza tra un sapere ingessato in forme ormai obsolete e un nuovo metodo conoscitivo, espressione di una mentalità aperta e non più dogmatica.
Nello specifico, la tesi di Galileo in merito alla natura delle comete è errata (egli le ritiene infatti delle illusioni ottiche causate dai raggi solari), ma l’importanza dell’opera non sta nella sua valenza di testo cosmologico, bensì nella sua polemica metodologica. Lo scienziato, infatti, si scaglia contro la tradizione culturale del suo tempo, incline e a ricorrere persino a citazioni erudite e letterarie per accreditare tesi razionalmente infondate. La nuova scienza deve invece interpretare il “libro della Natura” con l’aiuto della matematica e della geometria, basandosi non su astratte elucubrazioni, ma su esperimenti e constatazioni empiriche (le «sensate esperienze»), che portino a conclusioni consequenziali (le «necessarie dimostrazioni»).

Il magnifico viaggio - volume 3
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento