24 aprile 1936
L’autodistruttore è un tipo, insieme più disperato e utilitario. L’autodistruttore si
sforza di scoprire entro di sé ogni magagna, ogni viltà, e di favorire queste disposizioni
all’annullamento, ricercandole, inebriandosene, godendole. L’autod. è in definitiva
5 più sicuro di sé di ogni vincitore del passato; egli sa che il filo dell’attaccamento
all’indomani, al possibile, al prodigioso futuro, è un cavo più robusto – trattandosi
dell’ultimo strattone – che non so quale fede o integrità.
L’autodistr. è soprattutto un commediante e un padrone di sé. Egli non lascia
nessuna opportunità di sentirsi e di provarsi. È un ottimista. Spera ogni cosa dalla
10 vita, e si va accordando a rendere sotto le mani del caso futuro i suoni più acuti o
significativi.
L’autodistrutt. non può sopportare la solitudine.
Ma vive in un pericolo continuo; che lo sorprenda una smania di costruzione,
di sistemazione, un imperativo morale. Allora soffre senza remissione, e potrebbe
15 anche uccidersi.
15 gennaio 1938
Tu non sei nato olimpico e mai lo sarai: i tuoi sforzi sono inutili. Perché chi ha
ceduto una sola volta al tumulto, può sempre cedere un’altra. Problema d’ingegneria:
ogni ponte ha una portata di là dalla quale non regge. È questione di tempra.
20 La volontà è soltanto la tensione della propria tempra congenita. Non si può accrescerla
di un’oncia.
La tua salvezza – bel fioretto da offrirti a trent’anni – sta soltanto nella vigliaccheria,
nel ritirarsi nel guscio, nel non correre il rischio. Ma se il rischio ti cerca? E
quanto durerà il guscio?
25 Sappi quest’altra cosa: per tremende che siano state sinora le prove, sei fatto in
modo che domani saranno anche più gravi. A te succede che cresce soltanto, con gli
anni, la capacità di scatenarti, non quella di resistere. Perché il tuo guscio – oggi lo
vedi chiaro – è sempre andato assottigliandosi, persino materialmente. Sei malato
e disoccupato.
30 Come migliaia d’altri, del resto. «Neppur l’orgoglio di sentirmi solo»: eri un bel
pesce, e il peggio è che lo sei ancora. Sei mai stato altro che quel bambino?
30 ottobre 1940
II dolore non è affatto un privilegio, un segno di nobiltà, un ricordo di Dio. Il
dolore è una cosa bestiale e feroce, banale e gratuita, naturale come l’aria. È impalpabile,
35 sfugge a ogni presa e a ogni lotta; vive nel tempo, è la stessa cosa che il tempo;
se ha dei sussulti e degli urli, li ha soltanto per lasciar meglio indifeso chi soffre,
negli istanti che seguiranno, nei lunghi istanti in cui si riassapora lo strazio passato
e si aspetta il successivo. Questi sussulti non sono il dolore propriamente detto, sono
istanti di vitalità inventati dai nervi per far sentire la durata del dolore vero, la durata
40 tediosa, esasperante, infinita del tempo-dolore. Chi soffre è sempre in stato d’attesa
– attesa del sussulto e attesa del nuovo sussulto. Viene il momento che si
preferisce la crisi dell’urlo alla sua attesa. Viene il momento che si grida senza necessità,
pur di rompere la corrente del tempo, pur di sentire che accade qualcosa, che la
durata eterna del dolore bestiale si è un istante interrotta – sia pure per intensificarsi.
45 Qualche volta viene il sospetto che la morte – l’inferno – consisterà ancora del
fluire di un dolore senza sussulti, senza voce, senza istanti, tutto tempo e tutto eternità,
incessante come il fluire del sangue in un corpo che non morirà più.