Nel capitolo qui proposto, dal secondo libro del trattato, Alfieri analizza i due modi principali con cui un regime tirannico può essere abbattuto: l’uso della forza da parte di un uomo di «forte sentire» e la degenerazione del tiranno stesso, il quale, comportandosi in modo sempre più scellerato, finisce per esasperare gli animi fino alla rottura dell’equilibrio su cui si reggeva il suo potere.
T4 - Come si possa rimediare alla tirannide
T4
Come si possa rimediare alla tirannide
Della tirannide, libro II, cap. 7
La volontà, o la opinione di tutti o dei più, mantiene sola la ▶ tirannide: la volontà
e l’opinione di tutti o dei più, può sola veramente distruggerla. Ma, se nelle nostre
tirannidi l’universale non ha idea d’altro governo, come si può egli arrivare ad
infondere in tutti, o nei più, questo nuovo pensiero di libertà?1 Risponderò, piangendo,2
5 che mezzo brevemente efficace a produr tale effetto, nessuno ve ne ha; e che ne’
paesi dove la tirannide da molte generazioni ha preso radice, moltissime ve ne vuole
prima che la lenta opinion la disvelga.3
E già mi avveggo, che in grazia di questa fatal verità, mi perdonano i tiranni
europei tutto ciò che finora intorno ad essi mi è occorso di ragionare.4 Ma, per
10 moderare alquanto questa loro non meno stolta che inumanissima gioja, osserverò;
che ancorché non vi siano efficaci e pronti rimedj contro la tirannide, ve ne sono
molti tuttavia ed uno principalissimo, rapidissimo, ed infallibile, contra i tiranni.5
Stanno i rimedj contro al tiranno in mano d’ogni qualunque più oscuro privato:6
ma i più efficaci e brevi e certi7 rimedj contra la tirannide, stanno (chi ’l crederebbe?)
15 in mano dello stesso tiranno: e mi spiego. Un animo feroce e libero,8 allor quando è
privatamente oltraggiato, o quando gli oltraggi fatti all’universale vivissimamente il
colpiscono, può da sé solo in un istante e con tutta certezza efficacemente rimediare
al tiranno, col ferro:9 e, se molti di questi animi allignassero nelle tirannidi, ben presto
anco la moltitudine stessa cangierebbe il pensiero,10 e si verrebbe così a rimediare ad
20 un tempo stesso alla tirannide. Ma, siccome gli animi di una tal tempra sono cosa
rarissima, e principalmente in questi scellerati governi;11 e siccome lo spegnere12 il
solo tiranno null’altro opera per lo più, che accrescere la tirannide;13 io sono costretto,
fremendo, a scrivere qui una durissima verità; ed è, che nella crudeltà stessa, nelle
continue ingiustizie, nelle rapine, e nelle atroci disonestà del tiranno, sta posto14 il più breve,
25 il più efficace, il più certo rimedio contra la tirannide. Quanto più reo e scellerato è
il tiranno, quanto più oltre spinge manifestamente l’abuso dell’abusiva sua illimitata
autorità; tanto più lascia egli luogo a sperare, che la moltitudine finalmente si risenta;
e che ascolti ed intenda e s’infiammi del vero; e ponga quindi solennemente fine per
sempre a un così feroce e sragionevol15 governo. È da considerarsi, che la moltitudine
30 rarissimamente si persuade della possibilità di quel male che ella stessa provato non
abbia, e lungamente provato:16 quindi gli uomini volgari la tirannide non reputano
per un mostruoso governo, finché uno o più successivi mostri imperanti non ne han
fatto loro funesta ed innegabile prova con mostruosi eccessi inauditi.
Se in verun conto mai17 un buon cittadino potesse divenire ministro d’un tiranno,
35 ed avesse fermato in sé stesso il sublime pensiero di sagrificare la propria vita, e di più
anche la propria fama, per sicuramente ed in breve tempo spegnere la tirannide, costui
non avrebbe altro migliore né più certo mezzo, che di consigliare in tal modo il tiranno,
di secondare e perfino talmente instigare la sua tirannesca natura, che abbandonandosi
egli ad ogni più atroce eccesso rendesse ad un tempo del pari la sua persona e
40 la sua autorità odiosissima e insopportabile a tutti. E dico io espressamente queste tre
parole; La sua persona, la sua autorità, e a tutti; perché ogni eccesso privato del tiranno
non nuocerebbe se non a lui stesso; ma ogni pubblico eccesso, aggiuntosi ai privati,
egualmente a furore movendo l’universale e gl’individui, nuocerebbe ugualmente alla
tirannide ed al tiranno; e li potrebbe quindi ad un tempo stesso interamente entrambi
45 distruggere.18 Questo infame ed atrocissimo mezzo (che io primo il conosco per tale)19
indubitabilmente pure sarebbe, come sempre lo è stato, il solo efficace e brevissimo
mezzo ad una impresa così importante e difficile. Inorridito ho nel dirlo; ma vie più20
inorridisco in pensare quai siano questi governi, ne’ quali se un uomo buono operar
pur volesse colla maggior certezza e brevità il sommo bene di tutti, si troverebbe
50 costretto a farsi prima egli stesso scellerato ed infame, ovvero a desistersi dall’altramente
ineseguibile impresa. Quindi è, che un tal uomo non si può mai ritrovare; e che
questo sopraccennato rapido effetto dell’abuso della tirannide non si può aspettare
se non per via di un ministro scellerato davvero. Ma questi, non volendo perdere del
proprio altro che la fama (che già per lo più mai non ebbe); e volendo egli assolutamente
55 conservare la usurpata autorità, le prede, e la vita; questi lascierà bensì diventare
il tiranno crudele e reo quanto è necessario per fare infelicissimi i sudditi, ma non mai
a quell’eccesso che si bisognerebbe per tutti destargli a furore e a vendetta.21
Da ciò proviene, che in questo mansuetissimo secolo cotanto si è assottigliata22
l’arte del tiranneggiare, ed ella (come ho dimostrato nel primo libro) si appoggia su
60 tante e così ben velate e varie e saldissime basi, che non eccedendo i tiranni, o
rarissimamente eccedendo i modi coll’universale, e non gli eccedendo quasiché mai
co’ privati, se non sotto un qualche velo di apparente legalità, la tirannide si è come
assicurata in eterno.
Or ecco, ch’io già mi sento dintorno gridare: «Ma, essendo queste tirannidi
65 moderate e soffribili, perché con tanto calore ed astio svelarle e perseguirle?». Perché non
sempre le più crudeli ingiurie son quelle che offendono più crudelmente; perché si
debbono misurare i mali dalla loro grandezza e dai loro effetti, più che dalla lor forza;
perché, in somma, colui che ti cava ogni giorno poche oncie23 di sangue ti uccide a
lungo andare ugualmente che colui che ad un tratto ti svena, ma ti fa stentare assai
70 più. Tutte le facoltà dell’animo nostro intorpidite; tutti i diritti dell’uomo menomati o
ritolti;24 tutte le magnanime volontà impedite o deviate dal vero; e mille e mille altre
simili continue offese, che troppo lungo e pomposo declamatore parrei, se qui ad una
ad una annoverarle volessi; ove la vita vera dell’uomo consista nell’anima e
nell’intelletto, il vivere in tal modo tremando, non è egli un continuo morire? E che rileva25
75 all’uomo, che nato si sente al pensare e all’operare altamente, di conservare tremante
la vita del corpo, gli averi, e l’altre sue cose (e queste né anco sicure) per poi perdere,
senza speranza di riacquistarli giammai, tutti, assolutamente tutti, i più nobili e veri
pregi dell’anima?
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
La riflessione politica di Alfieri è radicale quanto utopica: egli aborre il dispotismo con tutto sé stesso, ma non approda alla proposta di un sistema politico alternativo; non ragiona sulle possibili vie che la politica potrebbe perseguire per costruire un sistema di governo nuovo né, tanto meno, è animato da uno spirito di riforma che possa correggere e migliorare lo stato presente delle cose. Walter Binni ha osservato in proposito che Alfieri non solo «si distacca dalle più comuni posizioni del riformismo illuministico, ma le combatte apertamente, distrugge l’ideale settecentesco del dispotismo illuminato e del “buon principe” […] preferendo le tirannidi estreme a quelle moderate».
Alfieri è infuocato da un’idea distruttiva, vagheggiata però in termini piuttosto astratti. Per abbattere la tirannide non si può fare affidamento sull’universale (r. 3), cioè sul popolo, sulla moltitudine, sempre dipinta come cieca, sorda e destinata a subire in eterno l’oppressione del potere; la speranza è semmai riposta nelle mani di pochi individui dotati di un animo feroce e libero (r. 15), capaci di eliminare fisicamente il tiranno. Ma si tratta di una soluzione illusoria: un nuovo tiranno, reso ancor più crudele dalla paura di perdere il potere e la vita, sostituirebbe il primo.
La vera soluzione sta allora nell’azione degli stessi tiranni che, divenendo irragionevoli e sfrenati nel loro esercizio del potere, possono portare il popolo all’esasperazione e alla rivolta. Per argomentare questi passaggi del suo pensiero, Alfieri presenta delle situazioni ipotetiche e paradossali: solo un buon cittadino (r. 34) che si facesse ministro di un tiranno potrebbe spingere costui all’eccesso; ma una tale figura di uomo buono (r. 48) non esiste, perché si troverebbe costretto a farsi prima egli stesso scellerato ed infame (rr. 49-50); d’altra parte, un ministro scellerato davvero (r. 53) non spingerebbe il tiranno alla rovina, sapendo che la fine del despota sarebbe anche la sua. Questi paradossi sono funzionali al rigore dell’argomentazione, e mostrano come i punti di riferimento dell’analisi politica alfieriana siano il razionalismo classico e la spregiudicatezza di Machiavelli, mentre la sua sfiducia verso il popolo è indice di un pessimismo che ha le proprie radici culturali nel pensiero reazionario. Il risultato di questa concezione è l’individuazione della più grande minaccia nel dispotismo illuminato e nella tirannide moderata, ossia in quei governi, allora diffusi in Europa, che mascherano e attenuano le forme esteriori dell’autorità, assicurandosi, proprio in virtù di questa mancanza di gesti estremi, una lunga durata.
Le scelte stilistiche
La scrittura trattatistica di Alfieri è carica di tensione, finalizzata com’è a persuadere e a scaldare l’animo dei lettori. In questo passo, come in altri brani della stessa opera, essa si sviluppa con un tono incalzante, accompagnata da un uso insistito del polisindeto (La volontà, o la opinione di tutti o dei più, mantiene sola la tirannide: la volontà e l’opinione di tutti o dei più, può sola veramente distruggerla, rr. 1-2) che conferisce al testo un ritmo sostenuto. Il procedere del discorso è quello tipico delle dimostrazioni: il ritmo rallenta quando l’autore vuole puntualizzare meglio le sue tesi; si trovano allora anche delucidazioni e domande retoriche, con un frequente uso dei due punti. Il lessico è di facile comprensione; qualche difficoltà nella lettura può invece essere generata dall’alto numero di inversioni e dalla preferenza per un ordine sintattico non lineare (mezzo brevemente efficace a produr tale effetto, nessuno ve ne ha, r. 5). Quest’ultima caratteristica formale risponde da un lato alla ricerca di uno stile oratorio alto, che ha i suoi modelli nella prosa latina, dall’altro alla tendenza alla concisione e alla concentrazione espressiva tipica anche delle tragedie.
VERSO LE COMPETENZE
Comprendere
1 In che modo, secondo Alfieri, può essere abbattuto un regime tirannico?
2 Perché l’autore preferisce una tirannide estrema e violenta a una moderata?
Analizzare
3 Trova nel testo alcuni esempi di sintassi non lineare (anastrofi, iperbati, asimmetrie).
interpretare
4 A quale secolo si riferisce l’espressione mansuetissimo secolo (r. 58)? E perché viene definito mansuetissimo?
Dibattito in classe
5 Nel passo che hai letto, Alfieri giustifica l’uso della forza e della violenza quando lo scopo è l’abbattimento di un tiranno: sei d’accordo con lui o ritieni che bisognerebbe tentare prima altre strade? Discutine con la classe.
Educazione CIVICA – Spunti di realtà
Tra i casi più recenti di tirannie rovesciate si possono annoverare gli eventi delle cosiddette “primavere arabe” del 2010 e 2011.
• Svolgi una ricerca sull’argomento e illustra il fenomeno, evidenziandone gli aspetti positivi ma anche le conseguenze negative, in un testo espositivo-argomentativo di circa 30 righe.
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento