T4 - Il risveglio del giovin signore

T4

Il risveglio del giovin signore

Il Mattino, vv. 33-143

Al proemio dell’opera segue la descrizione del lungo sonno del giovin signore, che giace ancora pigramente fra le lenzuola mentre il resto del mondo è già da molto tempo attivo e laborioso. Il poeta ne descrive minutamente le occupazioni per evidenziare la vacuità della sua vita.


METRO Endecasillabi sciolti.

Sorge il Mattino in compagnìa dell’Alba

innanzi al Sol che di poi grande appare

35    su l’estremo orizzonte a render lieti

gli animali e le piante e i campi e l’onde.

Allora il buon villan sorge dal caro

letto cui la fedel sposa, e i minori

suoi figlioletti intepidìr la notte;

40    poi sul collo recando i sacri arnesi

che prima ritrovàr Cerere, e Pale,

va col bue lento innanzi al campo, e scuote

lungo il picciol sentier da’ curvi rami

il rugiadoso umor che, quasi gemma,

45    i nascenti del Sol raggi rifrange.

Allora sorge il Fabbro, e la sonante

officina riapre, e all’opre torna

l’altro dì non perfette, o se di chiave

ardua e ferrati ingegni all’inquieto

50    ricco l’arche assecura, o se d’argento

e d’oro incider vuol giojelli e vasi

per ornamento a nuove spose o a mense.

Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo,

qual istrice pungente, irti i capegli

55    al suon di mie parole? Ah non è questo,

Signore, il tuo mattin. Tu col cadente

sol non sedesti a parca mensa, e al lume

dell’incerto crepuscolo non gisti

jeri a corcarti in male agiate piume,

60    come dannato è a far l’umile vulgo.

A voi celeste prole, a voi concilio

di Semidei terreni altro concesse

Giove benigno: e con altr’arti e leggi

per novo calle a me convien guidarvi.

65    Tu tra le veglie, e le canore scene,

e il  patetico gioco oltre più assai

producesti la notte; e stanco alfine

in aureo cocchio, col fragor di calde

precipitose rote, e il calpestìo

70    di volanti corsier, lunge agitasti

il queto aere notturno, e le tenèbre

con fiaccole superbe intorno apristi,

siccome allor che il Siculo terreno

dall’uno all’altro mar rimbombar feo

75    Pluto col carro a cui splendeano innanzi

le tede de le Furie anguicrinite.

Così tornasti a la magion; ma quivi

a novi studj ti attendea la mensa

cui ricoprien pruriginosi cibi

80    e licor lieti di Francesi colli,

o d’Ispani, o di Toschi, o l’Ongarese

bottiglia a cui di verde edera Bacco

concedette corona; e disse: siedi

de le mense reina. Alfine il Sonno

85    ti sprimacciò le morbide coltrici

di propria mano, ove, te accolto, il fido

servo calò le seriche cortine:

e a te soavemente i lumi chiuse

il gallo che li suole aprire altrui.

90    Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi

non sciolga da’ papaveri tenaci

Mòrfeo prima, che già grande il giorno

tenti di penetrar fra gli spiragli

de le dorate imposte, e la parete

95    pingano a stento in alcun lato i raggi

del Sol ch’eccelso a te pende sul capo.

Or qui principio le leggiadre cure

denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo

sciorre il mio legno, e co’ precetti miei

100 te ad alte imprese ammaestrar cantando.

Già i valetti gentili udìr lo squillo

del vicino metal cui da lontano

scosse tua man col propagato moto;

e accorser pronti a spalancar gli opposti

105 schermi a la luce, e rigidi osservàro,

che con tua pena non osasse Febo

entrar diretto a saettarti i lumi.

Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia

alli origlieri i quai lenti gradando

110 all’omero ti fan molle sostegno.

Poi coll’indice destro, lieve lieve

sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua

quel che riman de la Cimmeria nebbia;

e de’ labbri formando un picciol arco,

115 dolce a vedersi, tacito sbadiglia.

O, se te in sì gentile atto mirasse

il duro capitan qualor tra l’armi,

sgangherando le labbra, innalza un grido

lacerator di ben costrutti orecchi,

120 onde a le squadre varj moti impone;

se te mirasse allor, certo vergogna

avria di sé più che Minerva il giorno

che, di flauto sonando, al fonte scorse

il turpe aspetto de le guance enfiate.

125 Ma già il ben pettinato entrar di novo

tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede

quale oggi più de le bevande usate

sorbir ti piaccia in preziosa tazza:

indiche merci son tazze e bevande;

130 scegli qual più desii. S’oggi ti giova

porger dolci allo stomaco fomenti,

sì che con legge il natural calore

v’arda temprato, e al digerir ti vaglia,

scegli ’l brun cioccolatte, onde tributo

135 ti dà il Guatimalese e il Caribbèo

c’ha di barbare penne avvolto il crine:

ma se nojosa ipocondrìa t’opprime,

o troppo intorno a le vezzose membra

adipe cresce, de’ tuoi labbri onora

140 la nettarea bevanda ove abbronzato

fuma, ed arde il legume a te d’Aleppo

giunto, e da Moca che di mille navi

popolata mai sempre insuperbisce.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Il brano è tutto giocato sul contrasto fra il pigro risveglio del giovin signore e la vita che già gli ferve intorno. La prima figura evocata è quella del contadino che si alza all’alba, si carica in spalla gli attrezzi e va verso i campi con il bue. Il prezioso dettaglio dei rami da cui cade la rugiada, scintillante come le gemme (vv. 44-45), e i richiami classici (per esempio alle dee Cerere e Pale, v. 41) sono elementi ancora tipici del gusto arcadico, grazie al quale l’autore manifesta la sua predilezione per la vita rurale rispetto a quella urbana.

Da quel gusto si discosta invece nettamente la figura del fabbro, il cui duro lavoro è ricondotto alla soddisfazione dei capricci della classe benestante. L’accenno al ricco inquieto per la paura dei ladri è per il poeta il modo di stigmatizzare i ceti abbienti e i loro privilegi, che essi sentono costantemente in pericolo. Un’analoga, feroce ironia è contenuta nella descrizione del terrore e della stizza che il giovin signore prova a sentir parlare di modesti operai e contadini. Egli inorridisce al semplice pensiero di doversi alzare all’alba e di svolgere un simile lavoro: i capelli gli si rizzano sul capo, in un’immagine comica che colpisce l’attenzione del lettore, infrangendo bruscamente l’idilliaca descrizione dei lavoratori operosi.

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Segue la rievocazione della notte che ha preceduto il tardo risveglio del nobile rampollo: con enfasi e profusione di immagini mitologiche viene delineata la vita mondana degli aristocratici, che include ricche cene notturne e un sonno che si protrae fino a giorno inoltrato.

È a questo punto che la sequenza del risveglio elenca le diverse fasi che scandiscono il difficile mattino del fatuo damerino, costretto alla faticosa impresa di alzarsi dal letto. L’effetto straniante, con il quale viene parodizzata la vacuità della sua esistenza, si manifesta ora con un elogio così iperbolico da evidenziare l’aspetto ridicolo: l’apertura attenta delle imposte da parte dei servitori permetterà infatti al rampollo di non essere offeso dalla luce filtrante dei raggi mattutini, preservandogli una delicata oscurità. Non osasse Febo / entrar diretto (vv. 106-107), intima il precettore, arrivando ad accusare nientemeno che il Sole, il divino Apollo della mitologia classica, di hybris, cioè di tracotanza, nell’ardire di mancare di rispetto a un dio in terra.

Allo stesso modo, l’atto finale, incentrato sulla scelta della bevanda da assaporare, suggella enfaticamente l’indecente squallore di un’esistenza infima. Il dilemma cioccolato-caffè è presentato infatti come una questione dirimente, della massima gravità: meglio il cioccolato, offerto dal lavoro di individui di civiltà lontane ma orgogliosi di rendere omaggio al giovin signore, o il caffè, più adatto a sollevare l’umore dei nobili settecenteschi, affetti dall’ipocondrìa (v. 137)?

Le scelte stilistiche

L’uso della mitologia risponde in Parini a diversi obiettivi. Il riferimento a Cerere e a Pale (v. 41) appare serio e quasi commosso, perché allude alla sacralità del lavoro nei campi, un valore in cui il poeta crede profondamente. Al contrario, i successivi rimandi alle divinità antiche, introdotti dall’assimilazione dei nobili a una celeste prole (v. 61) e a un concilio / di Semidei terreni (vv. 61-62), presentano un’evidente funzione ironica e sarcastica, risultando decisamente iperbolici rispetto al giovin signore con cui vengono posti in rapporto: la folle corsa della carrozza paragonata a quella del carro di Plutone che rapisce Proserpina, le fiaccole che illuminano il percorso accostate alle torce portate dalle Furie (vv. 73-76), il Sonno personificato che, con sollecitudine quasi paterna, prepara il letto del giovane (vv. 84-86) la sgradevolezza estetica di Minerva mentre suona il flauto (vv. 122-124) hanno un effetto satirico perché la sproporzione tra la solennità delle immagini e la banalità della vita e delle occupazioni del nobile non fanno che rendere ridicolo quest’ultimo.

La denuncia dei vizi di un’intera classe sociale (è significativo, in tal senso, che al v. 61 si passi temporaneamente dalla seconda persona singolare alla seconda plurale) non è in contrasto con la base classicistica della poesia pariniana. L’adesione alle tesi illuministiche e la dimensione di impegno civile che l’autore attribuisce al proprio lavoro vanno di pari passo con la sua ricerca di uno stile elevato e del decoro formale tipico dei classici latini su cui Parini si era formato.

Qui, per esempio, lo stile del passo è sostenuto, oltre che da un lessico prezioso e aulico, ricco di latinismi (convien, 64; producesti, v. 67; tede, v. 76; anguicrinite, v. 76, e così via), anche dal ricorso a una cospicua serie di figure retoriche. Si trovano artifici fonosimbolici, come la fitta successione di accenti e di parole brevi (quasi tutte di due sillabe) del v. 42, va col bue lento innanzi al campo, e scuote, con cui il poeta «fa quasi sentire la cadenza dei tardi passi del bue» (Pinelli); o come i «cadenzati effetti sonori» (Ferroni) del v. 74, dall’uno all’altro mar rimbombar feo, che riproducono il rimbombo del carro di Plutone. Si trovano anafore (Allora, vv. 37 e 46, a sottolineare l’accordo tra la vita dei lavoratori e i ritmi della natura; A voi […] a voi, v. 61, con un chiaro valore ironico nei confronti di quella celeste prole e di quel concilio / di Semidei rappresentati dall’oziosa nobiltà settecentesca). Compaiono, ancora, numerosi enjambement (come quello tra i vv. 49 e 50, inquieto / ricco, che introduce un ulteriore motivo di critica sociale); ipallagi (i nascenti del Sol raggi, v. 45; al lume / dell’incerto crepuscolo, vv. 57-58; di barbare penne, v. 136); sineddochi (male agiate piume, v. 59); metonimie (papaveri tenaci, v. 91; il mio legno, v. 99); metafore (la stessa espressione sciorre il mio legno, v. 99, metal, v. 102, che assimila la poesia alla navigazione). Sul piano sintattico, infine, si trovano i consueti, numerosissimi iperbati, che contribuiscono a innalzare il tono dell’opera.

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VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 Che cosa succede nel “mondo comune” quando sorge il sole?


2 Perché il giovin signore inorridisce alle parole del suo precettore?


3 Come ha trascorso la serata e la notte precedenti il giovane nobile?

Analizzare

4 I modi di vita antichi e “naturali” sono spesso posti da Parini in contrasto con quelli del suo tempo. Quali sono i primi e i secondi in questo brano? In che modo tale contrapposizione si lega a quella tra popolo e nobiltà?


5 La poesia pariniana tende spesso a nobilitare aspetti banali e prosaici del quotidiano. In questo brano, dove si nota un simile approccio?


6 Spiega il significato delle ipallagi, delle sineddochi e delle metonimie segnalate nell’analisi.


7 Rintraccia nel testo tre esempi di iperbato.

Interpretare

8 Quale atteggiamento ha l’istitutore nei confronti del suo allievo? È severo o lassista? Motiva la tua risposta facendo opportuni riferimenti al testo.


9 Perché Parini rappresenta in toni ameni il lavoro dei campi? Rispondi facendo riferimento a quanto hai studiato sull’autore.

scrivere per...

raccontare

10 Scrivi un testo narrativo di circa 40 righe, di contenuto reale o di invenzione, improntato a tua scelta a un tono serio, umoristico o tragicomico, dal titolo Quel giorno in cui sono rimasto a letto fino a tardi.

Dibattito in classe

11 Ancora oggi l’abitudine di andare a letto molto tardi per poi svegliarsi a giorno fatto è spesso additata come disdicevole: perché, secondo te? Lo è davvero, a tuo giudizio? Discutine con la classe.

Un’aristocratica colazione

Il veneziano Pietro Longhi (1701-1785) è il massimo cronista della vita privata dell’alta società del tempo. Nelle sue tele, solitamente di piccole dimensioni, egli raffigura, senza alcun intento politico o celebrativo, aristocratici che si muovono nelle loro ricche dimore, intenti alle occupazioni e agli svaghi più vari: lezioni di danza, concerti, o, come in questo caso, eleganti colazioni. I dipinti di Longhi ebbero un notevole successo tra l’aristocrazia veneziana, e il pittore continuò a lungo a replicare le stesse formule compositive e le medesime scelte stilistiche. Nella Cioccolata del mattino, una dama, ancora a letto, riceve la colazione, una cioccolata in tazza, bevanda molto apprezzata nelle corti italiane sia per i banchetti sia per il risveglio di nobili e dame.

Il magnifico viaggio - volume 3
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Il Seicento e il Settecento