FINESTRA SUL ’900 - Goldoni & Eduardo De Filippo - Vivere per il teatro

FINESTRA SUL ’900

Goldoni & Eduardo De Filippo

VIVERE PER IL TEATRO

Due rivoluzioni teatrali

Nel cuore del Novecento, il napoletano Eduardo De Filippo compie un’azione di riforma e di superamento della tradizione teatrale simile a quella realizzata due secoli prima da Goldoni. Alla metà del Settecento, l’autore veneziano rinnova a fondo la commedia dell’arte: ne conosce i trucchi, i tipi umani, la comicità, ormai sempre più banale e ripetitiva, per poi sottoporla a una radicale revisione, trasformando le maschere, approfondendo le psicologie dei personaggi e attribuendo alle commedie uno spessore realistico arricchito da precise implicazioni morali e ideologiche.

Anche De Filippo rivoluziona dall’interno un repertorio che padroneggia molto bene, in quanto figlio naturale di uno dei maestri della commedia napoletana di fine Ottocento, Eduardo Scarpetta. Proprio dal padre apprende una lezione che egli porterà alle estreme conseguenze, grazie alla strenua volontà di superare le gratuite volgarità delle opere buffe, delle farse e delle parodie – certo divertenti ma ormai logore – che mettevano in scena la miseria e la vivacità della plebe napoletana, soprattutto attraverso la maschera di Pulcinella.

Eduardo: un attore-autore

Contrariamente a Goldoni, Eduardo è, oltre che autore, anche attore. Anzi è lecito affermare che senza l’uno non sarebbe esistito l’altro: nessuno meglio di lui ha incarnato la teatralità in tutti gli aspetti, fondendo le capacità di scrittura, il talento nell’interpretazione, l’abilità nel mestiere della regia e dell’organizzazione scenica.

Alla fine di una lunghissima parabola creativa, la sua produzione annovera la bellezza di 55 commedie, molte delle quali diventate veri e propri classici del teatro novecentesco italiano e internazionale, anche per merito delle sue qualità di impresario e capocomico dotato di fiuto promozionale: basti pensare all’uso che egli ha fatto della televisione per diffondere le proprie opere presso un pubblico di massa, compreso quello non abituato a frequentare le sale teatrali.

Oggi possiamo dire che, nonostante il valore degli attori delle generazioni più giovani, nessuno sarà in grado di recitare le commedie di Eduardo come chi le ha scritte e ne ha incarnato con la voce, il viso e il corpo l’essenza più profonda; tuttavia non per questo esse hanno perso la validità e la forza del loro messaggio umano, scaturito da un’esistenza che si è appunto identificata completamente nell’espressione teatrale.

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Il destino sulla scena

Eduardo De Filippo nasce a Napoli nel 1900 e si ritrova bambino sulle scene insieme ai due fratelli, Titina e Peppino. Autodidatta, apprende precocemente i segreti della drammaturgia trascrivendo per la compagnia del padre i copioni delle sue farse e commedie. Dopo aver lavorato a lungo come attore nella compagnia del fratellastro Vincenzo Scarpetta, dà vita con i fratelli al “Teatro umoristico I De Filippo”, con cui, nel 1931, esordisce trionfalmente al teatro Kursaal di Napoli con la commedia Natale in casa Cupiello.

Negli anni Trenta Eduardo entra in contatto con Pirandello, del quale porta in scena alcune opere tradotte in dialetto napoletano: questa esperienza mette in crisi il sodalizio con Peppino, che è dotato di una più accentuata vocazione comica, e accresce il desiderio di Eduardo di trovare nuovi strumenti espressivi. Le opere scritte nell’immediato dopoguerra concretizzano questa ricerca: si tratta di capolavori come Napoli milionaria! (1945), Questi fantasmi (1946) e Filumena Marturano (1946), nei quali l’autore affronta temi diversi quali le condizioni della plebe napoletana, l’adulterio e i rapporti familiari, tra affetti, inganni e ipocrisie. Anche gli anni successivi regalano al pubblico altri testi memorabili, da Le voci di dentro (1948) a De Pretore Vincenzo (1957), da Il sindaco del rione Sanità (1962) a Gli esami non finiscono mai (1973). Intanto si susseguono riconoscimenti e premi in tutto il mondo fino alla nomina a senatore a vita, nel 1982. Eduardo muore a Roma nel 1984.

Il teatro e la vita

Come per Goldoni, anche per Eduardo il teatro costituisce lo strumento più efficace per osservare i comportamenti umani. Esso non va svilito a semplice occasione di intrattenimento o di evasione né tanto meno ridotto a una futile successione di trovate comiche fini a sé stesse: dietro l’umorismo delle commedie di De Filippo esiste sempre un risvolto conoscitivo; nella comicità del quotidiano si annida la complessità di una condizione esistenziale ora ipocrita, ora vacua, ora sofferente o malata. Le architetture verbali dei due autori immettono sulla scena una lingua diretta e vitale, sulla superficie della quale si depositano i tic, le ambiguità e le ambizioni di un’umanità variegata: le parole dei loro personaggi, che siano dialettali o in lingua italiana, sembrano prese di peso dalla vita, ma in realtà sono il frutto di una chimica sapiente, capace di rendere la finzione verità e di fare del veneziano, del chioggiano e del napoletano altrettanti linguaggi universali, con i quali affrontare problemi e trasmettere valori anch’essi universali.

Il dramma del Natale

Per il commediografo napoletano questi elementi sono visibili già nell’opera che possiamo considerare il suo primo capolavoro, Natale in casa Cupiello, portata in scena inizialmente nel 1931 come semplice sketch, ma poi trasformatasi nel corso degli anni in un copione impegnativo, strutturato in tre atti e venato da una certa amarezza. Il titolo può trarre in inganno: a prima vista sembrerebbe una spensierata celebrazione del Natale tradizionale napoletano. Non è così: si tratta infatti di un vero e proprio dramma familiare, che trae origine dalla decisione di Luca e della moglie Concetta di spingere la figlia Ninuccia a sposare, sia pure controvoglia, il benestante Nicola, nella speranza di migliorare la condizione economica della famiglia.

Eduardo mette in luce i desideri di una classe sociale, già osservata nelle più intime aspirazioni da Goldoni: quella borghesia ossessionata dall’idea di salire i gradini della società, con la conseguenza di vedere sconvolti costumi, abitudini e relazioni. In effetti, nella commedia di De Filippo, la forzatura dei due genitori finisce presto per ritorcersi contro la famiglia e la sua stabilità: Ninuccia si innamora di Vittorio, un amico del fratello Tommasino, e intreccia con lui un rapporto amoroso che sconvolge l’armonia e la serenità del nucleo familiare. Con tali presupposti, la festività natalizia si tramuta in una vera e propria passione, con Luca tenacemente attaccato al simbolo del presepe, metafora di un mondo pacificato nell’amore di cui tuttavia egli non può più godere nella realtà.

La scena che riportiamo è quella che apre la commedia. Assistiamo così al risveglio di Luca, Concetta e del figlio Tommasino, detto Nennillo, un ragazzo con la vocazione del ladruncolo, sempre coccolato dalla madre ma in perenne contrasto con il padre.

In casa Cupiello. Un letto matrimoniale e un altro più piccolo, per un solo posto. Comune1 in fondo a destra. Balcone a sinistra. Su di un tavolo, davanti al balcone, vi sarà un Presepe in fabbricazione, e tutto l’occorrente necessario per realizzarlo: cartapesta, pennelli, sugheri e un recipiente di latta con la colla Cervione.2 Tra il balcone e il lettino a un posto vi sarà un piccolo paravento con davanti un treppiede di ferro con bacinella, ed un secchio smaltato bianco; sul paravento è appoggiato un asciugamani. A ridosso della parete di destra un comò con sopra santi e immagini religiose d’ogni specie con davanti candele e lumini spenti. Sono le nove del mattino del 23 dicembre. Luca dorme nel letto matrimoniale; il posto della moglie Concetta, è in disordine come se la donna l’avesse lasciato da poco. Nel lettino piccolo dorme Tommasino (detto Nennillo).


CONCETTA (entra dalla destra con passo cauto; indossa una sottana di cotone bianco e ha s

ulle spalle uno scialletto di lana; ai piedi un paio di pantofole realizzate con un vecchio 

paio di scarpe del marito. Reca in mano una fumante tazza di caffè, e nell’altra 

una brocca d’acqua. Mezzo assonnata si avvicina al comò, posa la tazza, poi va a 

5      mettere la brocca accanto al lavabo; va al balcone ed apre le imposte; torna al comò, 

prende la tazza e l’appoggia sul comodino. Con tono di voce monotono, abitudinario, cerca 

di svegliare il marito) Lucarié, Lucarié… scétate3 songh’ ’e nnove!4 (dopo una 

piccola pausa torna alla carica) Lucarié, Lucarié… scétate songh’ ’e nnove. (Luca 

grugnisce e si rigira su se stesso, riprendendo sonno. La moglie insiste) Lucarié, Lucarié… 

10    scétate songh’ ’e nnove.

LUCA (svegliandosi di soprassalto) Ah! (farfuglia) songh’ ’e nnove.

CONCETTA Pigliate ’o ccafè. (Luca, pigro e insonnolito, fa un gesto come per prendere la 

tazza, ma il sonno lo vince di nuovo. Imperterrita, Concetta riprende il lamentoso 

ritornello, con un tono un un po’ più forte, mentre comincia a vestirsi davanti al comò

15    Lucarié, Lucarié… scétate songh’ ’e nnove!

LUCA (si siede in mezzo al letto e si toglie dalla testa, uno alla volta, due scialletti di lana 

e una sciarpa; poi guarda di sbieco la moglie) Ah songh’ ’e nnove? Già si sono fatte 

le nove! La sera sei privo di andare a letto5 che subito si fanno le nove del 

giorno appresso. Cuncé, fa freddo fuori?

20    CONCETTA Hai voglia! Si gela.

LUCA Io me ne so’ accorto, stanotte. Non potevo pigliare calimma6. Due maglie di 

lana, sciarpa, scialle… i pedalini ’e lana…7 te ricuorde,8 Cuncé, i pedalini ’e lana 

che compraste tu, ca diciste:9 “Sono di lana pura, aggi’avuto10 n’occasione” 

te ricuorde Cuncé? (Concetta continua a vestirsi senza raccogliere l’insinuazione del 

25    marito. Luca prende gli occhiali dal comodino e si mette a pulirli meticolosamente

Cuncé, te ne sei andata?

CONCETTA (infastidita) Sto ccà,11 Lucarié, sto ccà.

LUCA E rispondi, dai segni di vita.

CONCETTA Parla, parla: ti sento.

30    LUCA ’E pedalini ca compraste tu, che dicesti: “Sono di lana pura”… Cuncé, quella 

non è lana, t’hanno ’mbrugliata.12 Tengo i piedi gelati. E poi, la lana pura quando 

si lava si restringe… questi più si lavano più si allargano, si allungano… so’ 

addiventate ddoje bandiere. ’O ccafè Cuncé.

CONCETTA Sta sopra al comodino.

35    LUCA Ah, già. (prende la tazza dopo aver inforcato gli occhiali. Sbadiglia) Cuncé, fa freddo 

fuori?

CONCETTA Si, Lucarié, fa freddo. (spazientita) Fa freddo! E basta.

LUCA Eh… questo Natale si è presentato come comanda Iddio. Co’ tutti i sentimenti13 

si è presentato. (beve un sorso di caffè, e subito lo sputa) Che bella schifezza 

40    che hai fatto, Cuncé!

CONCETTA (risentita) E già, mo le facévemo ’a cioccolata! (alludendo al caffè) È nu poco 

lasco14 ma è tutto cafè.

LUCA Ma perché vuoi dare la colpa al caffè, che in questa tazza non c’è mai stato?

CONCETTA (mentre cerca in un cassetto qualcosa di personale: delle forcine, un pettine, un 

45    rocchetto di filo bianco) Ti sei svegliato spiritoso?

LUCA Non ti piglià collera15 Cuncé. Tu sei una donna di casa e sai fare tante cose. 

Per esempio, ’a frittata c’ ’a cipolla, come la fai tu non la sa fare nessuno. È una 

pasticceria. Ma ’o ccafè non è cosa per te.

CONCETTA (arrabbiata) E nun t’ ’o ppiglià…16 tu a chi vuoi affliggere.

50    LUCA Non lo sai fare e non lo vuoi fare, perché vuoi risparmiare. Col caffè non si 

risparmia. È pure la qualità scadente: questa puzza ’e scarrafone.17 (posa la tazza 

sul comodino) Concetta fa freddo fuori?

CONCETTA (arrabbiatissima) Si Lucarié, fa freddo assai: fa freddo! Ma che si’ surdo?

LUCA Cuncè, ma che t’avesse data na mazzata ncapa?18

55    CONCETTA Me l’he addimandato19 già tre volte; fa freddo.

LUCA Questo Natale si è presentato…

CONCETTA …Come comanda Iddio. Questo pure l’avete detto.

LUCA E questo pure l’abbiamo detto… (sbadiglia, si guarda intorno come per cercare 

qualche cosa che lo interessi, non sa nemmeno lui precisamente cosa. Poi realizza ad 

60    un tratto e come temendo una risposta spiacevole chiede allarmato) ’O Presepio…

addò stà20 ’o Presepio?

CONCETTA (esasperata) Là, là, nessuno te lo tocca.

LUCA (ammirando il suo lavoro) Quest’anno faccio il più bel presepio di tutti gli altri 

anni. Pastorella, ’o21 terzo piano, ha detto che lo fa pure lui il Presepio. Mi ha 

65    detto: “facciamo la gara”. Sta fresco… lo voglio far rimanere a bocca aperta. Ho 

fatto pure i disegni, i progetti. Voglio fare una cosa nuova: sopra ci metto tutte 

casette novecento… Concé, ’a colla l’hai squagliata?

CONCETTA (sgarbata) Lucarié, io adesso mi sono alzata. Se mi date il permesso di 

vestirmi per andare a fare la spesa, bene, e se no ci sediamo e ci mettiamo agli 

70    ordini di Lucariello. (siede e incrocia le braccia).

LUCA (aggressivo) Non l’hai squagliata ancora?

CONCETTA No.

LUCA E io aieressera che te dicette?22 “Domani mattina, appena ti svegli, prima di 

fare il caffè, squaglia la colla, perché se no non posso lavorare e il Presepio non 

75    è pronto per domani”.

CONCETTA (si alza di scatto, prende il barattolo della colla e si avvia per la sinistra) Ecco

pronto, andiamo a squagliare la colla, così stamattina mangiamo colla! Quando 

viene Natale è un castigo di Dio! (esce e si sente la sua voce che si allontana

Colla, pastori… puzza ’e pittura!

80    LUCA (gridando come per sopraffare gli apprezzamenti della moglie) Sei vecchia, ti sei fatta 

vecchia! (finalmente decide di alzarsi; scende dal letto, si avvicina alle sacre 

immagini sul comò, e facendo un piccolo inchino e sollevando lo sguardo mistico verso i 

santi, si fa il segno della croce; si avvicina poi alla sedia ai piedi del letto, prende i 

pantaloni lisi, e se li infila non senza difficoltà; poi torna verso il comodino, si mette in 

85    testa il berretto appeso alla testata del letto, tenta di bere il caffè, ma il cattivo sapore 

lo costringe a sputare il sorso; ancora tremante per il freddo, si rimbocca le maniche 

della camicia, sbadiglia e si avvia verso il lavabo; intona la stessa litania con cui 

Concetta ha svegliato lui, per svegliare il figlio Tommasino) Tummasì, Tummasì, scétate 

songh’ ’e nnove! (Tommasino non risponde) Io lo so che stai sveglio, è inutile 

90    che fai finta di dormire. (riempie la bacinella d’acqua, si insapona le mani e di tanto 

in tanto si rivolge ancora a Tommasino) Tommasì, scétate songh’ ’e nnove. E 

questo vuoi fare! Vedete se è possibile; nu cetrulo luongo luongo23 che dorme 

fino a quest’ora! Io, all’età tua, alle sette e mezza saltavo dal letto come un grillo 

per accompagnare mio padre che andava a lavorare. Lo accompagnavo fino 

95    alla porta, ci baciavo la mano… perché allora si baciava la mano al genitore… 

poi me ne tornavo e mi coricavo un’altra volta. (ora si insapona la faccia e si lava 

il viso abbondantemente. Non trova l’asciugamani e fa sforzi incredibili perché i 

rivoli dell’acqua non gli corrano per la schiena. Finalmente trova l’asciugamani e si 

asciuga il volto. Si rivolge al figlio con più autorità) Hai capito, svegliati? (visto che 

100 Tommasino non gli risponde, abbozza per quieto vivere) È meglio ca nun te dongo 

retta, se no ci facciamo la croce a prima matina.24

TOMMASINO (raggomitolato e sprofondato sotto le coperte, reclama) ’A zuppa ’e latte!

LUCA E questa è la sola cosa che pensi: ’a zuppa ’e latte, ’a cena, ’a culazione, ’o pranzo… 

alzati, ’a zuppa ’e latte te la vai a prendere in cucina perché non tieni i 

105 servitori.

TOMMASINO Se non me la portate dentro il letto non mi sòso.25

LUCA No, tu ti sosi, se no ti faccio andare a coricare all’ospedale.

CONCETTA (tornando col barattolo di colla fumante) ’A colla… (raggiunge il tavolo dov’è 

il presepe per collocarvi sopra il barattolo di colla) Io nun capisco che ’o faie a ffà, 

110 stu Presebbio. Na casa nguaiata, denare ca se ne vanno… e almeno venisse 

bbuono!

TOMMASINO (con aria volutamente distratta) Non 

viene neanche bene.

LUCA E già come se fosse la prima volta che lo 

115 faccio! Io sono stato il padre dei Presepi… 

venivano da me a chiedere consigli… mo 

viene lui e dice che non viene bene.

TOMMASINO (testardo) A me non mi piace.

LUCA questo lo dici perché vuoi fare il giovane 

120 moderno che non ci piace il Presepio… il 

superuomo. Il Presepio che è una cosa 

commovente, che piace a tutti quanti…

TOMMASINO (c.s.)26 A me non mi piace. Ma guardate 

un poco, mi deve piacere per forza?

125 LUCA (per ritorsione, scuote violentemente la spalliera 

del letto, intimando al figlio) Sùsete!27 

Hai capito sùsete?

TOMMASINO (dispettoso) ’A zuppa ’e latte!

CONCETTA (indifferente all’atteggiamento del 

130 marito, si rivolge dolcemente al figlio) Alzati, bello 

di mammà, alzati!

LUCA (a Concetta) Embè, si le porte ’a zuppa ’e 

latte dint’ ’o lietto ve mengo ’a coppa 

abbascio28 a tutte e due! (alludendo alla cattiva educazione che Concetta dà a 

135 Tommasino) Lo stai crescendo per la galera!

CONCETTA (conciliante) Quello mo si alza! (e con gesti mimici, curando di non farsi 

scorgere da Luca, invoglia Tommasino ad alzarsi; il dialogo muto tra Concetta e 

“Nennillo” viene sorpreso e interrotto da Luca).

LUCA È incominciato il telegrafo senza fili.

140 TOMMASINO (spudorato, insiste) ’A zuppa ’e latte!

LUCA (irritato) Embè, mo te mengo ’a colla nfaccia.

CONCETTA Alzati, bello ’e mammà. Ti lavi tanto bello, e mammà intanto ti prepara 

nu bello zuppone.

LUCA Niente affatto. ’O zuppone s’ ’o va a piglià in cucina. (a Tommasino) Che l’hai 

145 presa per una serva, a tua madre? Eh? Tua madre non serve! (ha indossato il 

gilè, la giacca e una sciarpa di lana al collo e ora inizia il suo lavoro al Presepe, 

incollando sugheri e inchiodando pezzi di legno. Dopo una piccola pausa chiede a sua 

moglie) Pasqualino29 si è alzato?

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La festa senza idillio

Le battute tra i personaggi fanno subito intendere allo spettatore l’atmosfera, tutt’altro che serena e pacificata, che regna in famiglia. Siamo nella mattina del 23 dicembre: Luca vuole preparare il presepe, e forse non è un caso che a casa Cupiello questo rito inizi con tanto ritardo, mentre l’ossequio alla tradizione vorrebbe che i preparativi per il Natale fossero avviati ben prima, di norma a partire dall’8 dicembre. È il segno di una già chiara inadeguatezza di fronte alla quotidianità? È il simbolo di una condizione definitiva di Luca, uomo fuori dal tempo e chiaramente anacronistico? Di sicuro chi si attende di assistere a un idillio familiare è presto deluso: Luca commenta amareggiato come la notte sia passata in fretta (Ah, songh’ e nnove? le nove del giorno appresso, rr. 17-19) e a poco vale la compensazione del presepe da allestire in giornata. La realtà, infatti, affiora subito con tutte le sue contraddizioni: il freddo incombe; lo stato economico della famiglia è tutt’altro che florido (come ci informa la didascalia, le pantofole di Concetta sono addirittura realizzate con un vecchio paio di scarpe del marito, rr. 2-3); il caffè, contrariamente alla tradizione napoletana, lascia molto a desiderare.

In un contesto simile, il repertorio edificante del teatro di fine Ottocento, popolato da maschere e macchiette, e vivacizzato da gag e lazzi, avrebbe presentato le classiche trovate infarcite di buoni sentimenti e del rassicurante lieto fine. La scrittura eduardiana va in un’altra direzione: quella di una comicità amara che, rifiutando la comicità farsesca, si interroga sulle sfaccettature tragiche dell’esistenza. Per questo anche l’istituto matrimoniale non è risparmiato da uno sguardo che evita la retorica: si capisce che i rapporti tra marito e moglie sono ormai usurati e che Concetta ha un carattere difficile, come mostra la sequenza di aggettivi che l’autore le riserva (infastidita, r. 27; spazientita, r. 37; arrabbiata, r. 49; arrabbiatissima, r. 53). Infine, l’indolenza del figlio che si rifiuta di alzarsi e pretende a zuppa e latte (r. 103) a letto sottolinea l’apatica stanchezza di un ambiente in cui anche la comunicazione è difficile: non a caso, Eduardo fa ripetere spesso frasi ed espressioni ai protagonisti.

L’amara consolazione del presepe

La psicologia dei personaggi e il realismo delle vicende raccontate da Goldoni trovano dunque in Eduardo un ulteriore approfondimento: nella scena che abbiamo riportato, in particolare, cogliamo il disperato attaccamento del povero Luca al presepe, unico rifugio nel quale può ancora far valere la propria autorità (Quest’anno faccio il più bel Presepio di tutti gli altri anni, rr. 63-64) e trovare un’illusoria distrazione dalle sofferenze della vita. Alla fine della commedia, mentre tutto intorno a lui precipiterà, a partire dall’unità familiare ormai disgregata, moribondo per un ictus che l’ha colpito quando ha scoperto l’adulterio della figlia, potrà almeno rallegrarsi con un’estrema, anche se penosa, consolazione. Il figlio Tommasino, infatti, gli dirà di apprezzare anche lui il presepe: il modo più efficace per recuperare un rapporto fino a quel momento inesistente e riconoscere la presenza di un legame autentico con la figura del padre.

Il magnifico viaggio - volume 3
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento