Il seguente brano è tratto da un saggio di Stefano Tomassini, che affronta la modalità democratica con cui Carlo Goldoni riscatta la vita dei ceti subalterni attraverso una lingua e un’invenzione teatrale capaci di smascherare ciò che prima di lui era stato nascosto: il volto.
Goldoni democratico (Stefano Tomassini)
PALESTRA DI SCRITTURA
Per meglio comprendere l’attuale popolarità dell’opera di Carlo Goldoni esiste
forse – in parallelo, volendo in controcanto, alla già meditata verifica della sua
modernità quale prossimità al tempo del nuovo, testimonianza anticipatrice dei
suoi segnali, – esiste, dunque, un «significato conduttore», come direbbe, con la
5 consueta precisione, Claude Lévi-Strauss.1 «Significato» spesso taciuto, se non
proprio per scaramanzia, almeno per l’evidente e così poco seducente aridità della sua
logica. Oppure invece, se riconosciuto, usato a freddo e nella sola parzialità dei
termini che vi sono accennati, come l’arma spuntata di un sistema di idee, prima
ancora che politico, storicamente disinnescato.
10 Si tratta in sostanza di un valore residuo, «ma di cui tutti gli altri sono una
trasposizione parziale o deformata»2: l’esperienza intuitiva di un’idea di democrazia
futura come affrancamento culturale, e come osservazione e riflessione della
differenza nell’incontro mimetico con l’altro.
Il peso di questo valore può essere riconosciuto all’opera in una istantanea
15 riflessione di Antonio Gramsci, proprio sulla resistente popolarità di Goldoni.
Recita così:
Perché il Goldoni è popolare anche oggi? Goldoni è quasi “unico” nella tradizione
letteraria italiana. I suoi atteggiamenti ideologici: democratico prima di aver letto
Rousseau3 e della Rivoluzione francese. Contenuto popolare delle sue commedie:
20 lingua popolare nella sua espressione, mordace critica dell’aristocrazia corrotta e
imputridita.
L’iniziale assunto interrogativo di Gramsci4 contiene già la sua replica perché
la copiosità5 dei riscontri, pur nella brevità dello schema e la sommarietà dell’abbozzo,
manifesta una fede analoga nell’avvenire delle parole. Perché le parole,
25 quando sono informate delle proprie prerogative politiche, sono capaci di ridurre
la distanza tra la creazione culturale e l’incontro mimetico con l’altro.
Cinque, dunque, sono i piani di riscontro per questa resistente popolarità con
i quali, dalla nota gramsciana, è possibile ripartire le categorie più consolidate del
gioco interpretativo, e provare a distribuire nuove carte:
30 a. la quasi “unicità” a dispetto della tradizione letteraria italiana: ciò conferma,
di Goldoni, una pacata ma ferma avversione per norme universalmente prescritte
e costrittive, oltre ogni logica del fare, e soprattutto del far bene, secondo il buon
senso di chi, potendo, vuol vivere del proprio mestiere ed è dunque attento al risultato
del botteghino, ma che è anche common sense6 di chi ha fede nella risoluzione
35 di ogni conflitto attraverso la civiltà del dialogo, non meno che nella libertà e
nel potere dell’immaginazione che la presiede; una logica, questa, che negli stessi
anni di Goldoni è espressamente predicata anche da Joseph Addison7 dai fogli del
quotidiano «The Spectator»;
b. democratico ante litteram: lungi dall’evocare quel moderatismo caro a maldestre
40 letture marxiste seriori,8 il teatro di Goldoni sembra rivendicare, secondo Gramsci,
una conoscenza dell’uomo che vuole il diritto, quando la tradizione teorica lo
riservava soltanto alle élite; tale rivendicazione matura con la graduale
trasformazione e conquista della scena, secondo le giuste parole di Ludovico Zorzi,9
di «personaggi corposi e vitali, tanto più insoliti quanto visibilmente estrapolati
45 dalla realtà circostante», la cui «apparizione dové sorprendere come uno stacco
traumatizzante»;
c. contenuto popolare: ossia, secondo un’ideologia del racconto elaborata dal basso,
non certo da contemplare con inopportuni sorrisi (come avvertito ancora dalla
critica di cui sopra), ma da articolare dialogicamente nel pieno processo mimetico
delle sue reali contraddizioni;
50 d. lingua espressiva popolare: a conferma anche per Gramsci della costruzione
di un’autonoma koinè per la prima volta generata, sulla scena teatrale italiana, da
esigenze di oralità e performatività; koinè come sappiamo collaudata da Goldoni
su di un ampio ventaglio di registri e vocabolari. Gianfranco Folena10 ha chiamato
questa lingua teatrale «fantasma scenico» forse anche perché, di fronte alla
55 moltitudine del parlato che rinuncia alla logica normata dello scritto, può prendere vita
soltanto (e mica poi tanto per dire) una drammaturgia di spettri: gli invisibili, i
subalterni, gli esclusi da ogni possibilità di agency.11 Perché la lingua, queste lingue,
sono esperienze di apertura, di raccolta, di conoscenza e di collaborazione, «condizione
nascente ed effimera», secondo ancora Folena, mai difesa identitaria né
60 tutela o appropriazione del tipico e del nativo;
e. critica feroce dell’aristocrazia: ossia, aggressiva e efficace assunzione di un punto
di vista anti aristocratico in un – occorre aggiungere – mobile e disponibilissimo
sistema linguistico, tanto che insieme ai «Parolai», ossia a quella «specie di
sapienti stucchevoli» pronti a far chiasso e a prendere subito le misure di scuola
65 alla lingua e allo stile dello scriver nuovo goldoniano, si aggiunse presto, con tracotanza,
«un gruppo rispettabile di molti Nobili dei due sessi, che gridano vendetta
contro Goldoni perché egli osa presentare sulla scena il Conte, il Marchese e la
Dama con dei caratteri che sollevò contro l’autore i suoi primi nemici nella nostra
città». Ma soprattutto sarà l’«essersi introdotto troppo liberamente nel santuario
70 della galanteria, e di averne svelato i misteri agli occhi profani del popolo», uno
dei più imperdonabili movimenti del suo teatro.12 Non si tratta solo di fenomeni
di costume messi a nudo, come in questo caso quello del cicisbeismo. Perché
nell’evidenza delle parole, il mistero dietro cui si rafforza l’autorità dell’istituzione,
politica, sociale o spirituale, non si trasforma, nella consapevolezza istruita
75 dell’occhio profano, in una effimera disillusione ma in un giudizio finale.
Stefano Tomassini, Carlo Goldoni e la democrazia del volto, “Mimesis Journal”, 1-2/2012
COMPRENSIONE E INTERPRETAZIONE
1 Riassumi la tesi di Tomassini in circa 10 righe.
2 Che cosa pensava Gramsci di Goldoni? Riassumi con parole tue il significato della citazione riportata.
3 Ti sembra che Tomassini concordi con il giudizio di Gramsci? Spiega perché.
4 Quali sono i valori sociali dell’opera goldoniana messi in luce dall’autore?
5 Come potresti sintetizzare l’idea di “democraticità” ravvisabile nel teatro di Goldoni? In che cosa consiste questa dimensione?
RIFLESSIONI E COMMENTO
Elabora un testo nel quale sviluppi le tue opinioni sulla questione affrontata nel brano critico e sulle riflessioni dell’autore, alla luce della personale esperienza di lettore delle commedie di Goldoni e sulla base di quanto hai studiato.
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento