CRITICI A CONFRONTO - Guido Davico Bonino e Alberto Dendi - Il giudizio di Goldoni su Mirandolina

CRITICI A CONFRONTO

Guido Davico Bonino e Alberto Dendi

Il giudizio di Goldoni su Mirandolina

Qual è l’atteggiamento di Goldoni nei confronti di Mirandolina? A tale proposito, i pareri dei critici divergono. Per Guido Davico Bonino (n. 1938) il rapporto dell’autore con la sua creatura è ambiguo, in quanto caratterizzato da un misto di attrazione e repulsione, fascino e fastidio. Alberto Dendi, invece, pur riconoscendo nella figura della locandiera anche la presenza di alcuni tratti negativi, ritiene che Goldoni abbia voluto ritrarre in lei un personaggio sostanzialmente positivo, con cui gli spettatori vengono spinti a solidarizzare: anzi, Mirandolina, con il suo buon gusto e il suo equilibrio, sarebbe addirittura un simbolo della nuova commedia riformata.

Guido Davico Bonino

[La locandiera] è una commedia sull’egoismo ed egotismo umano, che tenta ad ogni costo di affermare sé stesso, sopra e a spese degli altri.

Non c’è bisogno di scomodare Freud per capirlo: basta rileggere il testo senza i paraocchi della manualistica più pigra che si fece uno scrupolo di tessere l’elogio di Mirandolina come donna supremamente donna, mito dell’eterno femminino, adorabile seduttrice. Che Mirandolina seduca Ripafratta, è fuor di dubbio: ma il punto non è questo. La commedia non è l’apologia di una «regina di cuori», espressione di un «secolo in cui, come non mai, la donna fu signora e sovrana» (cito, a bella posta, un lettore accorto e di gusto sicuro come Attilio Momigliano). La locandiera è, semmai, l’impietosa (nonostante il ben noto «tono medio» goldoniano) radiografia di quattro esistenze alla ricerca di una loro identità. L’uno, un nobile decaduto e spiantato, un certo Forlipopoli, la cerca nella stizzosa difesa di un «decoro» ridotto a pura espressione verbale; l’altro, un tal Albafiorita, crede di trovarla nel potere portentoso del denaro, da aristocratico dell’ultim’ora, da parvenu benestante; un terzo, Ripafratta, si ostina a riconoscerla nella sua altezzosa misantropia, nella sua sdegnata salvatichezza; la quarta, Mirandolina, se la attribuisce, quasi per scommessa, come impareggiabile seduttrice. Ma quel gran dispendio di egoismo, quella caparbia esibizione egotica non soddisfa nessuno. Usciti di scena Albafiorita, Forlipopoli, Ripafratta entreranno in un’altra locanda per architettare un’analoga «fiera delle vanità»; rimasta sola in scena, Mirandolina, con quel suo marito-servo d’accatto, non ha altro compenso, per la sua funambolica esibizione, che una bella dose di sgomento, un’ombra di rimorso, l’assillo dell’amarezza. […]

Ora questa-piccolo-borghese, sia pure nello spazio di una dichiarata finzione scenica […], tiene a bada due nobili e mortifica un «cittadino»: e lo fa con parole, accenti e toni di una certa qual spregiudicata franchezza, a tratti sembra sfogare chissà quale sopito livore, in altri istanti s’abbandona ad un’ira che ha tutta l’aria di non essere finta, di essere, insomma, poco «recitata».

Non appariva, tutto questo, ad occhi indiscreti o ad orecchie prevenute un poco troppo audace? Non rischiava di far credere ad uno spettatore giunto (poniamo) da paesi lontani che quella Firenze-Venezia fosse una città uscita dai cardini, se i suoi equilibri di classe risultavano, almeno a teatro, così sbilanciati? Sono domande che dovette porsi anche Goldoni nel corso della stesura: e questo spiega la fondamentale ambiguità del suo rapporto con Mirandolina, quel misto di attrazione e repulsione, di fascino-fastidio di cui sono permeate, almeno nei primi due atti, tante battute della locandiera o che la riguardano: mentre nel terzo atto le ragioni della prudenza goldoniana sembrano addirittura prevalere, e la scrittura del drammaturgo, persino nel ductus, nelle scelte lessicali, pare voler marcare una certa presa di distanza dagli esiti ultimi del suo comportamento.

Non è una scelta coraggiosa, certo: ma anche questa ambiguità, questa distanziazione critica è un segno della modernità (nella contraddittorietà) di Goldoni.


(Carlo Goldoni, La locandiera, a cura di Guido Davico Bonino, Mondadori, Milano 1983)

Alberto Dendi

Mirandolina è la protagonista assoluta dell’opera a lei intitolata. La sua entrata in scena è rimandata dall’autore, che ne anticipa i tratti fondamentali attraverso le parole degli altri personaggi: la locandiera emerge così fin dall’inizio come una donna con doti particolari, affascinante non tanto (o non solo) perché bella, ma soprattutto perché dotata di finezza, sensibilità, intelligenza.

Ma Mirandolina è un personaggio ben più complesso, in cui convivono tratti positivi e tratti negativi, o almeno discutibili. Qualche critico ha sottolineato per esempio il fatto che la sua sfida al Cavaliere nasce da un atteggiamento puntiglioso ed egocentrico: essa disprezza gli innamorati, ma vuole che tutti si innamorino di lei. Anche il suo rapporto con Fabrizio è evidentemente squilibrato: non solo perché Mirandolina è la padrona e Fabrizio un semplice servitore, ma perché Mirandolina “gioca” con i sentimenti di Fabrizio, tenendolo in sospeso fino all’ultimo (anzi, facendolo quasi ingelosire) e rivelandosi insomma ben poco innamorata di lui (tanto che la sua proposta di matrimonio è formulata quasi come un ricatto: «o dammi la mano, o vattene al tuo paese»).

L’ambiguità (e la complessità) di Mirandolina sono ovviamente molto importanti per comprendere il significato profondo dell’opera. Goldoni, nella presentazione, in alcuni monologhi e nella battuta finale dell’opera, sembra sottolineare soprattutto gli aspetti negativi del personaggio, avallando l’interpretazione “moralistica” della commedia (secondo cui Mirandolina sarebbe un esempio negativo, proposto agli spettatori perché imparino a guardarsi dalle astuzie delle donne seduttrici). Ma è evidente che nel complesso Mirandolina è invece un personaggio largamente positivo, con cui lo spettatore (e il lettore) sono invitati a identificarsi. Essendo contrapposta a tre aristocratici, essa finisce anzi per incarnare i valori tipici della borghesia (l’intelligenza, lo spirito di intraprendenza, la dedizione al lavoro), valori in cui Goldoni senza dubbio crede, tanto da contrapporli, in tutta la sua opera, all’albagìa e alla superbia nobiliare.

Il personaggio di Mirandolina emerge tanto più positivo in quanto gli altri due personaggi femminili della commedia sono due attrici di basso livello, Ortensia e Dejanira. […]

È evidente che questa contrapposizione ha il valore di una dichiarazione di poetica: le popolane Ortensia e Dejanira, rozze e approssimative, che usano spesso un linguaggio gergale, potremmo dire che simboleggiano la commedia dell’arte; mentre Mirandolina, borghese, benestante, intelligente e di buon gusto, che agisce sulla base di un progetto attentamente elaborato e usa un italiano medio, vicino al parlato, ma sempre corretto, simboleggia la commedia riformata dello stesso Goldoni.


(Alberto Dendi [a cura di], La commedia di carattere, Signorelli, Milano 2000)

PER SCRIVERNE

Con quale delle due interpretazioni sei maggiormente d’accordo? Argomenta la tua risposta sulla base della lettura dei passi della commedia che abbiamo proposto e magari, possibilmente, dopo averla letta integralmente o averne visto una rappresentazione teatrale (alcune versioni, anche con regia televisiva, sono reperibili in Rete).

Il magnifico viaggio - volume 3
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