2 - Aristocrazia, borghesia, popolo: lo sguardo sulla società

2 Aristocrazia, borghesia, popolo: lo sguardo sulla società

L’atteggiamento di Goldoni in relazione al mondo che osserva e rappresenta non è mai dogmatico, e le sue commedie non propongono verità assolute o valori astratti. Sebbene egli non si collochi all’interno di un preciso movimento di idee, la sua visione del mondo è influenzata dalle istanze illuministiche e, pur senza porre in discussione il tradizionale assetto sociale, egli non rinuncerà mai alle posizioni di un cauto riformismo.

In un primo tempo Goldoni si propone soprattutto l’obiettivo di mettere in ridicolo una nobiltà retriva e parassitaria, guardando con simpatia alle figure del mercante e del borghese laborioso. Nella seconda fase della sua esperienza di riforma della commedia (quella che coincide con il lavoro presso il teatro San Luca, dal 1753-1754), invece, la sua opera si fa sempre più spesso denuncia dei difetti e dei vizi della borghesia, che egli vede radicarsi e dilagare. Cresce, di conseguenza, la simpatia e l’ammirazione nei confronti dei ceti popolari, senza peraltro che ciò induca Goldoni ad auspicare un sovvertimento dell’ordine sociale. In realtà, egli intende soprattutto mostrare al pubblico i comportamenti che scaturiscono dalla grettezza e dall’egoismo, promuovendo, attraverso l’ironia e il riso, una nuova moralità fondata sulla dignità, sulla giustizia e sulla ricerca del benessere individuale. Mancano invece analisi e teorizzazioni di natura psicologica o filosofica, così come è assente, nella rappresentazione del popolo, una denuncia delle difficili condizioni materiali che caratterizzano la vita dei ceti più umili.

L’esigenza di riformare la commedia dell’arte nasce anche da questo intento pedagogico. La scelta di Goldoni di scrivere le battute dei personaggi è dettata non soltanto dal desiderio di mondare il linguaggio dalle volgarità, né solo dalla volontà di rendere più realistiche le situazioni, ma anche dall’intenzione di attribuire alle commedie un ruolo formativo ed educativo. Il teatro, secondo Goldoni, deve sì offrire un’occasione di divertimento, ma anche costituire un’esperienza di maturazione, un veicolo di trasmissione di valori che l’autore deve rendere credibili e condivisibili, calandoli in una realtà quotidiana in cui il pubblico possa rispecchiarsi.

In che cosa consistono tali valori? Si tratta di princìpi ispirati alla moderazione e al rispetto delle regole della convivenza civile, auspicati mediante un atteggiamento edificante che addita la via della virtù e condanna il vizio con fermezza ma senza acrimonia: il teatro di Goldoni celebra così il lavoro, la famiglia, la lealtà, la solidarietà, la parsimonia, l’apertura al dialogo, la ricerca del progresso, la libertà dell’individuo all’interno di una comunità, mostrando quali storture siano provocate dalla mancanza di questi princìpi.

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3 Tra italiano e dialetto

Quando Goldoni inizia a scrivere per il teatro, si trova ad affrontare un nodo difficile quanto ineludibile: il problema della lingua. Egli mira a creare opere che raggiungano un pubblico socialmente e culturalmente vario, e siano comprensibili in buona parte d’Italia. Gli Stati italiani del tempo, tuttavia, non dispongono di una lingua davvero unitaria, se si esclude il toscano letterario, che ha però un carattere prevalentemente libresco, inadeguato a esprimere le mille sfaccettature della vita quotidiana. Le lingue utilizzate nella vita di tutti i giorni sono dunque i dialetti, che presentano una ricchezza e una duttilità straordinarie ma hanno potenzialità d’impiego limitate dal fattore geografico.

Per risolvere questo problema, Goldoni inventa un “italiano” che si serve di strumenti linguistici di diversa provenienza, approdando a un’originale miscela plurilinguistica costituita da un toscano “dialettizzato” da termini lombardi, venetismi, francesismi e forme colloquiali fiorentine.

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La lingua è, per Goldoni, soprattutto un mezzo di comunicazione, efficace se raggiunge un pubblico ampio. Per questa ragione, al fine di rendere chiari i discorsi dei suoi personaggi, Goldoni li fa interloquire con un linguaggio non letterario, caratterizzato da una sintassi semplice (i periodi sono sempre brevi), che privilegia la paratassi alla subordinazione; il lessico quotidiano e familiare, inoltre, è sempre coerente con l’ambiente di provenienza dei protagonisti della scena.

Intendendo ritrarre con naturalezza e realismo il mondo in cui gli spettatori si devono riconoscere, Goldoni mira insomma all’«imitazione delle persone che parlano più di quelle che scrivono». Rivendicando di essere un «poeta comico» e non un «accademico della Crusca», egli attinge il linguaggio direttamente dalle conversazioni che ascolta tra le persone, dai dialoghi tra uomini e donne, che riflettono le mentalità e gli orizzonti culturali delle diverse classi sociali.

Il ricorso al dialetto veneziano si spiega proprio in relazione a questo principio di verosimiglianza, che in alcuni casi porta Goldoni a sacrificare la fruibilità delle sue commedie da parte di un pubblico non veneziano per esaltare l’effetto realistico della lingua. Il dialetto veneziano è utilizzato sia in concomitanza con l’italiano, per caratterizzare i personaggi del popolo o le maschere più tradizionali (come Arlecchino), sia come lingua esclusiva di alcune commedie (I rusteghi, Sior Todero brontolon, Le baruffe chiozzotte).

Si tratta di una scelta meditata e non caricaturale, compiuta per dare forza e credibilità all’intento mimetico che la riforma goldoniana si propone. Il dialetto, infatti, esprime perfettamente la concretezza delle esperienze quotidiane, rende con immediatezza sentimenti e riflessioni, fa scaturire la comicità dalla semplicità e dall’istintività delle reazioni. Non a caso, Goldoni vi ricorre per rappresentare un’umanità popolare genuina e autentica, che egli descrive dall’interno, mettendone in luce vizi e virtù senza scadere in atteggiamenti parodistici o paternalistici.

Il magnifico viaggio - volume 3
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento