La passione di una vita: il teatro
Alla morte del padre, nel 1731, Goldoni si laurea in Giurisprudenza a Padova e inizia a esercitare la professione di avvocato, prima a Venezia, poi a Milano, a Crema e in diverse altre città dell’Italia settentrionale.
Nel 1733 conosce il genovese Giuseppe Imer, direttore di una compagnia che si esibisce in uno spettacolo teatrale cui egli assiste all’Arena di Verona; Imer, apprezzando molto una sua tragicommedia scritta nei mesi precedenti, Belisario, gli commissiona degli intermezzi, brevi composizioni comiche accompagnate da musica e rappresentate tra un atto e l’altro di tragedie e melodrammi. Goldoni inizia così a scrivere opere di carattere vario per il teatro e si procura immediati consensi da parte del pubblico e degli addetti ai lavori.
Seguendo Imer in diverse località d’Italia, Goldoni comincia a essere noto negli ambienti teatrali. Dopo varie avventure galanti e alcune travagliate esperienze amorose giunge a Genova, dove conosce e sposa Nicoletta Connio, figlia di un notaio del collegio cittadino: «Sposai», scriverà nell’autobiografia, «una giovane donna, saggia, onesta e affascinante, che mi risarcì di tutti i brutti tiri che mi avevano giocato le donne e mi riconciliò col gentil sesso».
Senza rinunciare all’attività forense e ricoprendo, senza compensi, la carica di console di Genova presso la Repubblica veneziana, tra il 1737 e il 1741 Goldoni dirige il teatro San Giovanni Crisostomo, a Venezia. In questo periodo può dedicarsi alla scrittura, dando inizio, con Momolo cortesan (1738) e, più tardi, con La donna di garbo (1743), a una radicale riforma della commedia. Nel 1745, però, dovendo far fronte a ingenti debiti dovuti a una truffa subita dal fratello, è costretto a trasferirsi a Pisa per esercitare a tempo pieno l’avvocatura.
In Toscana, grazie alle relazioni intessute dopo l’ingresso nella sezione locale dell’Accademia dell’Arcadia, si procura una buona clientela: «Lavoravo giorno e notte, avevo più cause di quante ne potessi sostenere», ricorda. Nonostante il gravoso impegno professionale, comunque, egli coglie l’occasione offertagli da Antonio Sacchi, famoso attore del tempo e celebrato interprete di Arlecchino, che lo esorta a comporre una commedia tagliata su misura su di lui: scrivendo di notte, nel 1745 Goldoni porta a termine ▶ Arlecchino servitore di due padroni, che riscuote grande successo al teatro San Samuele di Venezia.
Nel 1747, a Livorno, avviene un incontro decisivo per la sua carriera: il capocomico Girolamo Medebach gli propone di tornare a Venezia per lavorare con lui. Goldoni accetta: lascia definitivamente l’avvocatura e firma con l’impresario un contratto di durata quadriennale, in cui si impegna a fornire otto commedie all’anno da mettere in scena al teatro Sant’Angelo. Tra il 1748 e il 1749 vengono rappresentate, tra le altre, La vedova scaltra (1748), La putta onorata (1748), La famiglia dell’antiquario (1749).
Non mancano momenti di crisi, dovuti ad alcuni insuccessi e alla concorrenza di altri autori, primo fra tutti Pietro Chiari (1712-1785), che è al servizio di un altro teatro veneziano, il San Samuele. Goldoni riesce tuttavia a mantenere il suo pubblico, nella stagione 1750-1751, annunciando la composizione di ben sedici nuove commedie, alcune delle quali costituiranno i più importanti frutti della sua arte: Il teatro comico, La bottega del caffè, I pettegolezzi delle donne.
Intanto, però, malgrado la soddisfazione degli spettatori, si incrinano i rapporti con Medebach, che non solo esclude Goldoni dai guadagni di questa produzione supplementare, ma si oppone anche alla pubblicazione delle commedie da parte dell’autore, ritenendosene il proprietario e autorizzandone la prima edizione a stampa presso l’editore veneziano Giuseppe Bettinelli, nel 1750.
Scaduto l’impegno con Medebach, nel 1753 Goldoni stipula un contratto con il nobile Antonio Vendramin, proprietario del teatro San Luca, impegnandosi anche in questo caso a scrivere otto commedie all’anno, a condizioni più favorevoli quanto a libertà d’azione e compensi, ma meno soddisfacenti per la qualità della compagnia. Per attirarsi i favori del pubblico, l’autore compone anche alcune commedie di ambientazione esotica, che rispondono a una moda del momento.
Le gratificazioni ottenute in vari teatri d’Italia sono periodicamente turbate dalla depressione che perseguita Goldoni da quando è ragazzo: «Per natura ero allegro, ma, fin dall’infanzia, andavo soggetto a certi vapori ipocondriaci e malinconici che offuscavano il mio spirito». Aver riunito nella propria casa la madre, il fratello vedovo e i nipoti non allevia le sue sofferenze: «I miei vapori mi attaccarono più violentemente del solito. La nuova famiglia che ospitavo in casa mia mi rendeva indispensabile più che mai la salute, e la paura di perderla accresceva il mio male. I miei attacchi erano fisici oltre che psicologici; a volte un’eccessiva esaltazione mi scaldava la mente, a volte l’apprensione mi disturbava l’equilibrio fisico; lo spirito è così strettamente legato al corpo che, senza la ragione, la quale è propria dell’anima immortale, noi non saremmo altro che macchine».
La sua opera continua comunque a essere apprezzata. Nel 1756 è insignito dal duca di Parma del titolo di marchese di Felino e gli vengono commissionate tre commedie, grazie alle quali ottiene anche una pensione annua. Più tardi, a Roma, viene accolto con molti onori presso la curia pontificia ed è ricevuto in udienza da papa Clemente XIII.
Nel 1756, mentre si accende la contesa con Carlo Gozzi (1720-1806), un altro tenace avversario della sua riforma e artefice di favole teatrali fantasiose in cui sopravvivono alcune caratteristiche della commedia dell’arte, Goldoni mette in scena a Venezia Il campiello, commedia in versi di ambientazione veneziana, cui seguono altri capolavori, come I rusteghi (1760) e Le baruffe chiozzotte (1762).