Don Chisciotte
La trama
Nel presentare il contenuto dell’opera conviene tenere distinte le due parti (rispettivamente di 52 e 74 capitoli), che a giudizio di alcuni studiosi potrebbero essere lette addirittura come due romanzi diversi.
«In un borgo della Mancia, il cui nome non mi viene in mente, non molto tempo fa viveva un cavaliere di quelli con la lancia nella rastrelliera, un vecchio scudo, un ronzino magro e un levriero corridore». Così comincia il romanzo di Cervantes, che ha per protagonista Alonso Quijano: un hidalgo (esponente della piccola nobiltà) di mezz’età, un signorotto di campagna squattrinato e appassionato di romanzi cavallereschi, quelli che parlano di eroi senza macchia e senza paura, come Lancillotto, Orlando e Amadigi, di cui sogna di rinverdire le gesta.
Sprofondato gradualmente in uno stato di follia, indossate le armi arrugginite appartenute ai suoi antenati, decide di diventare cavaliere con il nome di don Chisciotte della Mancia e rivivere gli antichi ideali per conquistare gloria immortale. Secondo il modello cavalleresco, don Chisciotte intende infatti difendere i valori più nobili: giustizia, pace, protezione degli oppressi. Ribattezza così il suo vecchio e malandato cavallo con il nome Ronzinante, sceglie come sua dama una contadina cui assegna il nome di Dulcinea del Toboso e inizia a girovagare per la Mancia in cerca di avventure.
Nel suo delirio, don Chisciotte scambia un’osteria per un castello, si fa nominare cavaliere dall’oste e affronta imprese che risultano sempre fallimentari, come quando pretende che alcuni mercanti rendano omaggio a Dulcinea, con il risultato di ricevere una sonora bastonata. Viene allora riportato a casa, dove il curato e il barbiere, dopo averlo messo a letto, cercano di ricondurlo alla ragione bruciando o nascondendo tutti i libri di cavalleria, di cui si è “imbottito” la testa e che sono la causa della sua follia. Tuttavia, una volta ripresosi, il nostro eroe decide di ripartire, portando con sé Sancho Panza, un contadino del paese che nomina suo scudiero e al quale promette enormi fortune e addirittura un’isola da governare.
Don Chisciotte lotta contro i mulini a vento confusi con giganti, cade vittima di mulattieri, osti, pastori, galeotti che crede valorosi cavalieri oppure pericolosi nemici. La prima parte del romanzo termina con il ritorno a casa del cavaliere, un risultato che Sancho riesce a ottenere grazie all’aiuto del curato, del barbiere e della nipote.
Nella seconda parte del romanzo, dopo un breve periodo di riposo, don Chisciotte e Sancho Panza ripartono. Seguono così nuove imprese alle quali Sancho partecipa con entusiasmo, impaziente di ottenere il comando dell’isola che gli è stata promessa. I due giungono in un castello dove il duca e la sua sposa, uditene le comiche gesta, si divertono alle loro spalle.
Ripreso il cammino, arrivano a Barcellona e vi incontrano il Cavaliere della Bianca Luna, che è in realtà un amico di don Chisciotte intenzionato a riportarlo a casa. Per riuscirvi, questi sfida a duello l’hidalgo e lo sconfigge, ordinandogli quindi di tornare al suo paese. Don Chisciotte, fedele alle regole della cavalleria, obbedisce.
Rientrato a casa, si ammala per le fatiche e per la delusione della sconfitta. Dopo sei giorni di febbre, improvvisamente ritrova la ragione, rinnega tutti gli ideali cavallereschi, riprende il nome di Alonso, si confessa, fa testamento e muore.

Il contesto, i personaggi, i temi
Il Don Chisciotte è una delle più alte espressioni del cosiddetto Siglo de oro (Secolo d’oro), ovvero il periodo (ca 1500-1680) di massimo splendore della Spagna sotto il profilo culturale, che vede una straordinaria produzione letteraria di vario genere, dalla letteratura cavalleresca al romanzo picaresco, dalla poesia al teatro di grandi autori come Lope de Vega (1562-1635) e Calderón de la Barca (1600-1681).
Alla fioritura culturale fa però riscontro il declino inarrestabile di un’intera società: il contesto in cui viene scritta l’opera di Cervantes e in cui si muovono i suoi protagonisti è infatti la Spagna reduce dalla sconfitta (1588), che la sua Invencible Armada (Invincibile Armata) ha subito a opera dell’Inghilterra.
Il divertimento che suscita la pazzia di don Chisciotte e il sorriso triste che i suoi fallimenti provocano nel lettore nascono dal carattere velleitario dei suoi propositi: i nobili ideali del passato che egli vagheggia di ripristinare (raddrizzare i torti e difendere la virtù) non sono più attuali nella società del Seicento in cui si muove, e la sua smania di bontà e di generosità viene a scontrarsi con il grigiore e la mediocrità di un tempo avverso.
I sogni di grandezza del cavaliere sono però bilanciati dal buon senso di Sancho Panza, che interviene a correggere le fantasticherie del padrone con una salutare dose di ragionevolezza, la quale non lo distoglie tuttavia dal seguirlo nei suoi folli vagabondaggi. Le differenze tra i due sono visibili da subito sul piano fisico: l’hidalgo è alto, spettrale e cavalca imperioso un cavallo; Sancho è un omino piccolo e tozzo in groppa a un asino. Ma l’opposizione si coglie anche nell’eloquio: al linguaggio altisonante e forbito del cavaliere, di tono letterario, si oppone quello colloquiale di Sancho, infarcito di proverbi e strafalcioni.
Tale contrasto svela la complessa ambiguità propria sia della letteratura sia del mondo reale, colta da diversi punti di osservazione: quello della pazzia e dell’idealismo di don Chisciotte e quello della saggezza e della furbizia contadina di Sancho, a cui si sommano gli sguardi degli altri personaggi che i due incontrano lungo la strada. Così la realtà si rivela ricca di sfaccettature e ogni punto di vista scopre una possibile verità, all’interno di un irriducibile relativismo.
In tal modo, dietro le improbabili avventure della coppia, si può cogliere il significato più profondo del romanzo nel conflitto permanente tra letteratura e vita, tra i miraggi utopici dell’immaginazione e la ferrea concretezza della quotidianità, tra la diversità e la cosiddetta “normalità”. È la lezione di chi, pur vivendo la condizione del disagio e del disadattamento (e qui è forte il richiamo alla travagliata biografia dell’autore), non rinuncia al sogno di un’esistenza eroica e generosa, facendosi scudo di questa sua “differenza” e vivendola con orgoglio sino alla fine.
Certamente Cervantes non condivide le grottesche fantasticherie di don Chisciotte e con lucido disincanto mostra come il reale sia ben diverso da quello percepito dal suo cavaliere attraverso lo specchio deformante della follia. Da questo contrasto trae origine la comicità: tutti intorno allo stralunato gentiluomo della Mancia, compreso il lettore, vedono ciò che lui non riesce a vedere. Ma, dopo le prime avventure, l’elemento parodistico lascia il posto a una più profonda riflessione esistenziale, al disinganno che nasce dallo scontro tra la realtà e lo slancio ideale verso la realizzazione di un progetto di esistenza sentito come la parte più autentica di sé stessi.
Le novità dello stile
Autore moderno nei contenuti, Cervantes non lo è di meno nella forma. A rendere complesse la lettura e la comprensione degli autori del Cinque-Seicento sono spesso la lingua, lo stile, certe modalità retoriche preziose, un insieme di scelte che conferiscono ai testi una patina arcaica. Con Cervantes tutto ciò non accade: la prosa del Don Chisciotte è essenziale, il discorso sempre rigoroso, scarno, concreto, nonostante sia interrotto da continui inserti e digressioni che alterano il racconto lineare degli eventi. Gli ispanisti evidenziano nella sua lingua un uso acuto e attento del lessico, e anche in traduzione si possono apprezzare gli umori ironici, sottili e sfumati, e il costante riserbo che impedisce l’effusione sentimentale e la declamazione oratoria.
All’interno del romanzo possiamo identificare diversi piani narrativi e i rispettivi narratori. Nel Prologo Cervantes afferma di essere, più che il padre del romanzo, il suo «patrigno». Nel nono capitolo della prima parte, infatti, parodiando i romanzi cavallereschi, i cui autori simulavano di ispirarsi a fonti inventate, dichiara di essersi rifatto al manoscritto di Cide Hamete Benengeli, un autore arabo. Costui sarebbe quindi il primo narratore del Don Chisciotte e lo scrittore stesso, che si rifarebbe al manoscritto, il secondo narratore. A loro si deve aggiungere il traduttore a cui lo scrittore, nella finzione, affida il manoscritto.
Nella seconda parte del romanzo si parla spesso di un libro sulle avventure di don Chisciotte, che fa infuriare il cavaliere, e che viene sfruttato per polemizzare con Alonso Fernández de Avellaneda, l’autore di una seconda parte non autorizzata del romanzo. Entra così in azione lo stratagemma del “libro nel libro”, in un continuo gioco di rimandi.

La fortuna del romanzo e le sue interpretazioni
Il romanzo ha incontrato subito un enorme successo e da allora non ha mai smesso di affascinare i lettori, diventando un classico della letteratura mondiale. Mentre in origine gli studiosi hanno evidenziato soprattutto l’ingegnosa concezione del romanzo, a partire dal Novecento la critica ha messo in luce la vasta cultura dell’autore, il suo interesse ad affrontare importanti discussioni teoriche sulla natura dell’invenzione letteraria o sui concetti di meraviglioso e verosimile, nonché l’approfondita conoscenza dei diversi generi letterari.
Questo nuovo orientamento non solo ha permesso di cogliere meglio la complessità e la ricchezza del Don Chisciotte, ma ha anche attirato l’attenzione sulle altre opere di Cervantes, prima ingiustamente trascurate. Cervantes è infatti un innovatore: nelle sue novelle, per esempio, si cimenta con un genere letterario affermato, che aveva alle spalle una lunga tradizione e godeva del favore del pubblico, ma lo affronta introducendo motivi, temi e strutture derivati da altre forme narrative; e quindi lo complica, lo arricchisce, ne rovescia i presupposti, fino a creare qualcosa di nuovo, unico per originalità.
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Sin dalla pubblicazione, il Don Chisciotte ha suscitato interpretazioni contrastanti: i contemporanei di Cervantes lo giudicarono un libro comico nel quale la polemica con i romanzi cavallereschi, le folli gesta e le sonore sconfitte del cavaliere provocano il riso. Gli Illuministi ne sottolinearono il valore morale, lodando i tratti esemplari e virtuosi del protagonista; i Romantici lo lessero come un testo tragico e inventarono il mito di don Chisciotte difensore dell’ideale, esaltando la forza dell’immaginazione capace di opporsi alla deludente realtà concreta.
Sulla scia del Romanticismo, agli inizi del Novecento, scrittori come Miguel de Unamuno (1864-1936) e José Ortega y Gasset (1883-1955) hanno individuato in don Chisciotte l’incarnazione della Spagna e di alcuni suoi caratteri nazionali. Il primo ha posto l’accento sulla profonda saggezza che, al di là dell’apparenza, si nasconde in ogni gesto del cavaliere: la saggezza propria non degli uomini comuni, ma dei sognatori, degli uomini di fede. Egli impersona i desideri, la sorte e il mondo interiore dei grandi creatori, artisti, pensatori, profeti, che scrutano al di là di ciò che sembra, oltre la superficie, e per questo sono ritenuti pazzi dai loro contemporanei. Ortega y Gasset vede invece nell’eroe di Cervantes il simbolo dell’uomo moderno, naufrago in un mondo che non riconosce più, vagabondo in terra, alla ricerca di un senso universale da dare all’esistenza, come un «nuovo Ulisse». Egli costituisce inoltre il primo di una serie di personaggi incapaci di distinguere tra fantasia letteraria e realtà, portati a confondere la propria vita con quella degli eroi romanzeschi. In tal senso avrà molti eredi, di cui la più celebre è Madame Bovary (protagonista dell’omonimo romanzo pubblicato nel 1857 dallo scrittore francese Gustave Flaubert).
Il magnifico viaggio - volume 3
Il Seicento e il Settecento