Specchi incantati - volume C

L EPOPEA DI GILGAMESH Analisi La prostrazione dell eroe Il colloquio tra Gilgamesh e il suo antenato immortale presenta un avvio pieno di interrogativi: Utanapishtim gli chiede motivo del suo stato di abbattimento fisico e morale, che traspare dalle guance emaciate e dalla faccia stanca, dallo sguardo assente e dall abbigliamento trasandato (vv. 213-218). L eroe replica con una serie di domande retoriche (vv. 220-226), affermando che è stata la morte dell amico Enkidu, descritto con il consueto linguaggio metaforico, a gettarlo in tale condizione miserevole, cui non sa vedere alternativa: Enkidu che io amo sopra ogni cosa, che ha condiviso con me ogni sorta di avventure, / ha seguito il destino dell umanità (vv. 234-235). Gilgamesh non riesce a capacitarsi della sua perdita, al punto che si rifiuta di seppellire l amico fino a che il corpo non mostra segni evidenti di putrefazione (vv. 236-238). L eroe esprime tutto il suo smarrimento di fronte alla necessaria finitezza della vita umana, facendosi carico della sorte dell amico, per lui incomprensibile: Enkidu, l amico mio che amo, è diventato argilla; / ed io non sono come lui? Non dovrò giacere pure io / e non alzarmi mai più per sempre (vv. 247-249). La ricerca della verità Proseguendo il suo discorso, Gilgamesh passa a presentare le tappe del lungo viaggio che ha compiuto alla ricerca di Utanapishtim, il lontano (v. 251), attraverso mari e paesi pericolosi, spesso a costo di privarsi del sonno e di essere maltrattato a causa del suo aspetto penoso (vv. 251-266). La fatica del viaggio, tuttavia, non è stata ricompensata né sul piano materiale né su quello conoscitivo: da un lato l eroe non ha ricevuto sollievo anzi, ha visto aumentare la sua sofferenza dall altro la sua domanda sul senso da dare alla vita e alla morte non ha trovato risposta. Le parole con cui Utanapishtim risponde a Gilgamesh trasmettono una certa severità: al discendente più giovane, infatti, rimprovera di aver dimenticato la dignità regale, trasformandosi in un vagabondo (vv. 268-278). Il monito di Utanapishtim Preparata dalla lunga serie di interrogativi di Gilgamesh e dal duro richiamo dell antenato alla sua condizione di figlio di immortale, giunge infine la verità di Utanapishtim: L umanità è recisa come canne in un canneto (v. 304). Alla fine del diluvio gli dèi hanno decretato per tutti gli uomini un destino mortale, senza differenza di sesso o ceto, sebbene nessuno si ponga il problema, veda o senta la faccia della morte. Con una similitudine di rara bellezza ed efficacia, che dimostra l alto valore poetico dell epopea mesopotamica, la vita umana è paragonata al volo delle libellule, che sorvolano il fiume / il loro sguardo si rivolge al sole, / e subito non c è più nulla (vv. 315-317). Emerge così con nitidezza il tema centrale dell opera, cioè la drammatica presa di coscienza di Gilgamesh e dell umanità stessa dell ineluttabilità della morte. Con queste parole che non lasciano adito a dubbi, peraltro, sembra rinnegata la condizione di eccezionalità dell eroe messa in rilievo poco prima. In realtà, la ricerca della vita eterna per il protagonista dell opera non finirà con questo episodio, ma richiederà ulteriori prove che ne incrementeranno la saggezza di eroe e di sovrano della Mesopotamia. Laboratorio sul testo COMPRENDERE 1. Che cosa chiede Utanapishtim a Gilgamesh? 2. Qual è la ragione della prostrazione dell eroe? Gilgamesh: la sorte del mio amico pesa su di me (v. 241)? a Che è appesantito dal trasporto del corpo dell amico. 3. L eroe presenta l amico defunto attingendo a un lessico particolare. Quale? Come sottolinea invece il rapporto di amicizia che lo lega a lui? b La difficoltà di seppellire Enkidu è un problema. 4. Che cosa significa la seguente affermazione di d Che non gli interessa il destino di Enkidu. c Che sente come propria la condizione dell a- mico. 51 80079D_48P1013_INTE_BAS@0051.pgs 17.12.2019 13:20

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Epica