Prova B - Luciano Bianciardi, Il traduttore

PROVA B PROVA B Il traduttore Luciano Bianciardi, L antimeridiano, I, Isbn, Milano 2005 Luciano Bianciardi (1922-1971) ha scritto alcuni importanti romanzi del Novecento, quali L integrazione (1960) e La vita agra (1962). Acuto osservatore del boom economico italiano e del suo impatto sul lavoro e sulla funzione dell intellettuale, è stato anche critico cinematografico, sportivo, televisivo, autore di antologie scolastiche nonché traduttore di molti libri. In questo brano riflette sul suo mestiere di traduttore e sul mestiere di traduttore in generale, con una scrittura di prodigiosa bellezza e un occhio provvisto di umanissima e malinconica ironia. 5 10 15 20 25 30 Non tutti forse pensano sempre alla fatica del traduttore, io invece ci penso perché oramai da quindici anni faccio soprattutto quel mestiere, traduco. Fino a oggi, più di cento libri, e non è detto che sia finita qui. Per tradurre bene occorrono tre cose: conoscere la lingua da cui si traduce, anzitutto. Non è necessario saperla parlare: conosco ottimi traduttori, dall inglese, che portati a Londra morirebbero di fame, perché non saprebbero farsi intendere nei ristoranti. E all opposto: persone che dell inglese conoscono e pronunciano perfettamente quel migliaio di parole occorrenti per una conversazione ordinaria, rimarrebbero basiti di fronte a un romanzo appena appena difficile. Occorre poi, seconda cosa, conoscere la lingua da cui si traduce, cioè l italiano. Le traduzioni, ha detto qualcuno, se vogliono essere belle, debbono essere infedeli. Perché? Proprio perché è cattivo traduttore quello che, volendo restare fedelissimo al testo, adopera alla fine un italiano contorto e striminzito, che infastidisce il lettore. Una certa dose di libertà occorre, se si vuol rendere in bell italiano un bello scritto straniero. Fedeltà allo spirito più che alla lettera. La terza cosa che occorre avere, per tradurre, è saper tradurre. Sembrerà un paradosso, ma non lo è. Conosco buoni scrittori italiani, capaci di leggere e comprendere correntemente un libro di Joyce, ma assolutamente incapaci di voltarlo in italiano. O che, perlomeno, penerebbero parecchio se ci si provassero. Il buon traduttore, se vuol lavorare in economia, deve avere una curvatura mentale particolarissima, per cui la frase straniera, mentre la legge, gli si rovescia subito nell equivalente frase italiana. Legge, per fare un esempio, let s shake hands e pensa diamoci la mano . Legge will you have a drink? e pensa vuoi bere qualcosa? . Sono esempi, come si vede, molto semplici. Le cose si complicano quando un personaggio di romanzi parla con l accento irlandese, e allora è un pasticcio cercare di trovare un equivalente dialettale italiano. Peggio che mai quando l autore straniero vuole che una sua macchietta, londinese, faccia il verso, malamente, a un irlandese, e cioè parli un dialetto non suo, sbagliando. Problema annoso del traduttore è voltare in italiano l inglese you . Gli inglesi, come si sa, usano soltanto il voi (il tu esiste solo poeticamente, quando ci si rivolge a Dio). Ora, questo voi inglese, con che cosa lo rendiamo nella nostra lingua? Il voi esiste anche in italiano, d accordo, ma è ormai molto poco usato. Noi preferiamo ormai rivolgerci al nostro prossimo con il lei o con il tu . In uno dei due pronomi andrà quindi tradotto il voi degli inglesi. Sì, d accordo, ma quale? E se risulta ve- 509

Specchi incantati - volume B
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Poesia e teatro