Tua vivit imago - volume 3

L ET IMPERIALE d inverno , 1965) e Papiliones ( Le farfalle , 1985), un aggettivo, inaspectus ( non visto ), usato tra tutti i poeti latini antichi dal solo Stazio nella Tebaide (I, 50; IV, 428; VIII, 241), in passi di ambientazione cupa e tenebrosa. In Sacrum hiemale, in particolare, Bandini riferisce l aggettivo alle ali dei piccoli beati , i bambini innocenti uccisi nel corso dei secoli (dai tempi di Erode a quelli di Auschwitz): «Se qualcosa d insolito risuona nelle tenebre / noi li riconosciamo, sono loro che solcano / il cielo con ali invisibili [alis inaspectis]: sembrano / tremare gli astri di trasparente amore / e le lunghe notti brulicano di murmuri / come di primavera alberi pieni di fiori / e c inducono calme a sopportare / la nostra storia atroce e le sue lacrime . L Achilleide nel moderno melodramma Nel Medioevo l Achilleide, a causa della sua incompiutezza, non ebbe un successo paragonabile a quello della Tebaide. Grande fortuna ha avuto invece il racconto della giovinezza di Achille nel teatro moderno e in particolare nel melodramma: l opera più nota è l Achille in Sciro (1736) musicato da Antonio Caldara (1670 ca-1736) su libretto di Pietro Metastasio (1698-1782); commissionato a quest ultimo in occasione delle nozze tra i futuri imperatori asburgici Maria Teresa e Francesco 342 Stefano, il libretto è teso a conciliare, sin dalla scelta del soggetto, i due grandi temi dell amore e della ricerca della gloria, in modo appropriato all occasione. La fortuna delle Silvae Per un vero apprezzamento delle Silvae bisognerà aspettare l Umanesimo: sconosciuta durante il Medioevo, l opera venne infatti ritrovata soltanto nel 1417 dall umanista Poggio Bracciolini (1380-1459) in un manoscritto del monastero di San Gallo (in Svizzera). Successivamente con Angelo Poliziano (1454-1494) le Silvae diventano il modello di un vero e proprio genere letterario: quello della raccolta poetica che alterna argomenti e toni diversi, spesso intitolata proprio Sylvae (secondo la grafia medievale), come nel caso dello stesso Poliziano, che chiamò così quattro prolusioni ai suoi corsi universitari scritte in esametri latini, o del poeta inglese John Dryden (1631-1700), che scelse questo titolo per una raccolta di traduzioni di poeti latini pubblicata nel 1685. La tradizione proseguì per tutto il Settecento e l Ottocento, trovando uno degli esponenti più importanti e rappresentativi in Giosue Carducci (18351907). Pur non ricorrendo mai al titolo di selve , Carducci seguì Stazio nella scelta di far precedere a una raccolta poetica una prefazione in prosa, benché con una premessa che chiama paradossalmente in causa, come esempio negativo, lo stesso poeta delle Silvae: «Preludere in prosa a miei versi, confesso che non mi piace: primo, perché in arte è una sconcordanza, né degli antichi poeti lo fecero, ch io ricordi, se non alcuni delle età scadenti, Stazio ed Ausonio (Al lettore, 1871). Nel Novecento, Eugenio Montale (1896-1981) intitola Silvae la quinta sezione della raccolta La bufera e altro (1956): si tratta di undici liriche nelle quali il tema amoroso è declinato in una varietà di motivi, e proprio a questo si deve la scelta del titolo.

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Età imperiale