Tua vivit imago - volume 2

REPERTORIO METRICO suo impiego più consistente si abbia nelle composizioni liriche di Catullo e Orazio, come verso di chiusura della strofe saffica. Questo il suo schema: Endecasillabo falecio L endecasillabo falecio trae il suo nome dal poeta alessandrino Faleco (III secolo a.C.), che fu il primo a servirsene in sequenze di versi indipendenti, anche se si conosce un suo impiego in strofe, in unione soprattutto con gliconei e ferecratei, già a partire dalla lirica greca arcaica e dal teatro, sia tragico che comico. Nella letteratura latina, l endecasillabo falecio fu uno dei versi prediletti da Catullo, ma venne utilizzato spesso anche in età imperiale, in particolare nei componimenti d occasione di Stazio e negli epigrammi di Marziale. Come gli altri versi eolici, anch esso è caratterizzato dall isosillabismo (può essere formato sempre da undici sillabe) e dalla presenza, ad inizio verso, della base eolica: xx Endecasillabo saffico Questo verso fu uno dei versi preferiti dalla poetessa greca Saffo (VII-VI secolo a.C.), da cui trae il nome, ma conobbe un largo impiego anche in poeti successivi, sia greci che latini: se ne servono in particolare Catullo e Orazio nelle loro composizioni liriche, ma anche Stazio lo utilizza nelle sue poesie d occasione e ricorre persino nelle tragedie di Seneca. Utilizzato soprattutto in sistemi strofici (in particolare all interno della strofe saffica, composta da tre endecasillabi saffici e un adonio), come molti altri versi eolici è caratterizzato, oltre che dall isosillabismo, anche dalla presenza di un elemento coriambico: x Asclepiadeo maggiore Il nome dei versi asclepiadei deriva da quello del poeta ellenistico Asclepìade di Samo (III secolo a.C.), che forse se ne servì in maniera particolare, benché non ne fu certamente l inventore, dal momento che ricorrono anche nelle composizioni di diversi rappresentanti della lirica greca arcaica (Saffo, Alceo, Anacreonte). Alla base della formazione di questi versi c è un coriambo, che nell asclepiadeo maggiore si ripete per tre volte. Nella letteratura latina l asclepiadeo maggiore è usato da Catullo e da Orazio, non però in strofe come avevano fatto i lirici greci, ma soltanto in sequenze di versi indipendenti. 672 Lo schema del verso è il seguente: Asclepiadeo minore L asclepiadeo minore presenta la stessa struttura del maggiore, con l unica differenza che la base coriambica vi si ripete soltanto due volte, anziché tre. Utilizzato soprattutto da Orazio, sia come verso indipendente sia all interno di strofe, nella letteratura latina ricorre anche nelle sezioni liriche delle tragedie di Seneca. Questo lo schema del verso: Enneasillabo alcaico Impiegato esclusivamente all interno della strofe alcaica, questo verso prende il nome dal poeta lirico Alceo (VII-VI secolo a.C.) e si distingue dagli altri versi eolici per l assenza di un elemento coriambico. Il suo schema è il seguente: x Decasillabo alcaico Impiegato anch esso nella strofe alcaica come verso di chiusura, il decasillabo alcaico si distingue dall enneasillabo per la presenza della sequenza coriambica tipica dei versi eolici. Questo lo schema: Endecasillabo alcaico Caratterizzato dall isosillabismo e dalla presenza di una sequenza coriambica, anche l endecasillabo alcaico, come i due versi precedenti, non è usualmente impiegato come verso singolo e ricorre generalmente all interno della strofe alcaica. Questo lo schema del verso: x Strofi liriche Nelle composizioni liriche della poesia greca e latina i versi si trovano spesso raggruppati in unità metriche più ampie, le strofe. Costituite da sequenze di versi eolici, le strofe rappresentano in genere delle entità sintatticamente compiute e coerenti e possono a volte contemplare la presenza di enjambements tra un verso e l altro, a confermare la compattezza metrico-ritmica del loro insieme. Le strofe possono essere anche costituite da due o tre versi, ma quelle più ricorrenti nella poesia latina sono quelle composte da quattro versi. Strofe saffica Questa strofe prende il nome dalla poetessa greca Saffo, che fu, a quanto sembra, la prima a servirsene. Composta da tre endecasillabi saffici chiusi da un adonio, la strofe saffica a Roma venne spesso impiegata da Catullo, Orazio, Seneca e Stazio. Il suo schema è il seguente: x x x Strofe asclepiadea seconda Impiegata nella letteratura latina soltanto da Orazio, questa strofe è costituita da tre asclepiadei minori e un gliconeo, secondo il seguente schema: xx x Strofe asclepiadea terza Questa strofe è costituita da due asclepiadei minori, da un ferecrateo e da un gliconeo, e anch essa, come l asclepiadea seconda, ricorre nelle sole Odi oraziane. Questo il suo schema: xx xx x Strofe asclepiadea quarta Formata da due gliconei e due asclepiadei minori alternanti (si tratta, di fatto, di due distici formati da un gliconeo e un asclepiadeo minore), anche la strofe asclepiadea quarta è impiegata da Orazio nelle sue composizioni liriche. Lo schema è il seguente: xx xx x x Strofe alcaica La strofe alcaica trae il suo nome dal poeta lirico greco Alceo (VII-VI secolo a.C.), a cui se ne attribuì l invenzione, data la frequente ricorrenza di questa struttura nei frammenti pervenutici della sua opera. Nella letteratura latina fu impiegata in particolare da Orazio nelle Odi, ma si può trovare anche in altri poeti (una ricorrenza, per esempio, è anche in Stazio). Essa è strutturata da una sequenza di due endecasillabi alcaici, un enneasillabo alcaico e un decasillabo alcaico, come nel seguente schema: x x x

Tua vivit imago - volume 2
Tua vivit imago - volume 2
Età augustea