Tua vivit imago - volume 2

L ET DI AUGUSTO 25 8. signum contra quoad longissime conspectum oculi ferebant animo finivit; tum lituo in laevam manum translato, dextra in caput Numae imposita, precatus ita est: 9. «Iuppiter pater, si est fas hunc Numam Pompilium cuius ego caput teneo regem Romae esse, ut tu signa nobis certa adclarassis inter eos fines quod feci . Tum pere git verbis auspicia quae mitti vellet. 10. Quibus missis declaratus rex Numa de templo descendit. 8. signum precatus ita est signum animo finivit: determinò con la mente un punto (signum) davanti a sé (contra) dove (quoad) gli occhi (oculi) più lontano possibile (longissime) potevano portare lo sguardo (conspectum ferebant) . li tuo translato: ablativo assoluto ( passato il lituo nella mano sinistra ), come anche il successivo dextra imposita. 9. Iuppiter pater vellet Iuppiter pa ter: nota la ripetizione, dal momento che già Iuppiter (che vale Iovis pater, padre Giove ) conteneva il sostantivo pater. fas: il sostantivo, indeclinabile, è centrale nella concezione religiosa dei Romani; indica la legge divina, contrapposta a ius, la legge umana, e di conseguenza quanto è conforme a essa. regem esse: proposizione infinitiva dipendente da si est fas. ut feci: possa tu mostrare a noi segni certi entro quei confini che ho tracciato ; ut equivale a utinam; adclarassis è forma arcaica per adclarave ris (vale adclares, possa tu mostrare ): questo vistoso arcaismo evidenzia ancora di più la solennità rituale della scena narrata da Livio. Tum vellet: allora indicò con le parole gli auspici che voleva fossero inviati . 10. Quibus missis descendit Quibus missis: nesso relativo riferito agli auspici, è un ablativo assoluto con valore temporale e causale. declaratus: participio congiunto con Numa e rex, complemento predicativo del soggetto. de templo: la preposizione è ripetuta anche in descendit (perfetto). Il significato di templum non corrisponde completamente all italiano tempio e indica qui piuttosto lo spazio sacro delimitato. La parola latina deriva da un protoitalico *temalom, che rimonta, come il greco tèmno, alla radice indoeuropea *tem, che significa tagliare, separare . Analisi del testo La controparte di Romolo Numa Pompilio e Romolo sono posti a confronto, come due figure speculari: quest ultimo è il vigoroso conquistatore semidivino; l altro rappresenta invece l ordinatore, il sovrano che, ottenendo «una città nuova, fondata con la forza e con le armi, si avvia a fondarla nuovamente (de integro conde re) con il diritto delle leggi e con gli istituti (moribus) (Ab Urbe condita I, 19, 1). Numa appare nelle fonti antiche anzitutto come un sovrano devotissimo al culto degli dèi, che proprio della pratica religiosa fa un mezzo per rabbonire i feroci Romani; a lui si ascrivono anche la divisione dell anno in dodici mesi e la creazione di alcuni importanti sacerdozi (i Salii, le Vestali e i Flàmini). Ma Numa è soprattutto il garante della pace: è sempre Livio che nota (Ab Urbe condita I, 21, 6) come Roma sia stata accresciuta da entrambi i sovrani, ma dal primo con la guerra e dal secondo con la pace. In Numa è presente il desiderio fondamentale della conservazione e della stabilità; e in questo senso vanno le sue paure, che cioè nella città ci sarebbero stati «sovrani più simili a Romolo che non a Numa (Ab Urbe condita I, 20, 2). 620 Riscrivere lo stile religioso Nel tracciare il passaggio del regno da Romolo a Numa, Livio mette anzitutto in luce due tratti fondamentali del nuovo re: la sua perizia nel diritto umano e divino e il desiderio di ottenere una ratifica celeste della scelta operata dai patres. Non stupisce, dunque, che la prosa sia intessuta di alcuni tecnicismi religiosi, come quelli legati alle azioni dell àugure (dextras ad meridiem partes, laevas ad septentrionem esse, r. 22), all atto di trarre gli auspici (signum contra quoad longissime conspectum oculi ferebant animo finivit, r. 23), ai riti necessari per presentare un sovrano agli dèi (lituo in laevam manum translato, dextra in caput Numae imposita, r. 24). Ancor più preziosa è la formula al paragrafo 9, che, anche qualora non fosse originale (non siamo infatti in grado di determinarlo), è stata abilmente colorata di arcaicità da Livio, il quale vi ha inserito inoltre il congiuntivo arcaico adclarassis (r. 26). Sul piano sintattico, Livio adotta uno stile caratterizzato da una stringata sobrietà (sono frequenti, per esempio, gli ablativi assoluti, quasi sempre con valore temporale), coerentemente con il linguaggio che è proprio delle formule adoperate nei riti religiosi.

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Età augustea