Tua vivit imago - volume 2

L autore Ovidio Quando si sollevò coi capelli sporchi di lurida polvere e tolse dal freddo suolo le membra, 95 pianse ora sé stessa abbandonata, ora abbandonati i Penati15 e chiamò più volte il nome del marito che le era strappato, e mandò lamenti non meno che se avesse visto sui roghi eretti i corpi della figlia15 e del marito, e voleva morire, e morendo non sentire più nulla, 100 ma tuttavia per riguardo a me serbò la sua vita. Viva e, poiché così ha voluto il destino, viva e soccorra col suo aiuto l assente. (trad. R. Mazzanti) 15. Penati: da intendere in questo caso come metonimia per indicare la casa . 16. figlia: Fabia aveva avuto una figlia da un precedente matrimonio. Analisi del testo Struttura tragica e figure epiche La rievocazione dell ultima notte trascorsa da Ovidio a Roma è strutturata come una tragedia, con Ovidio e la moglie nel ruolo dei due personaggi principali e gli amici e i servi in quello del coro; precedute da un prologo (vv. 1-4) e seguite da un epilogo (vv. 101-102), si succedono quattro scene, ciascuna delle quali è introdotta da una formula di transizione di stile epico: «Si affacciava ormai il giorno (v. 5); «Già tacevano le voci degli uomini e dei cani / e la Luna guidava alta nel cielo i cavalli notturni (vv. 27-28); «Già la notte, al termine del suo declino, non lasciava più spazio / all indugio e l Orsa Parrasia si era girata intorno al suo asse (vv. 47-48); «Mentre parlo e piangiamo, fulgentissimo nell alto cielo, / è sorto, stella a me funesta, Lucifero (vv. 71-72). Sia la strutturazione in forma drammatica sia l impiego di formule epiche rendono estremamente solenne il tono del componimento e, soprattutto, raffigurano il dramma privato di Ovidio come una vera e propria tragedia, amplificando in misura eccezionale la tensione e il pàthos della narrazione. Questo aspetto è confermato dal fatto che sulle due figure principali, quelle del poeta e della moglie, si proietta, come avviene spesso nei Tristia, la memoria delle figure del mito e dell epica: Ulisse e Penelope, innanzitutto, ma nel caso specifico di questa elegia ancor più evidente è il ricordo, da un lato, dell addio di Ettore ad Andromaca nel sesto libro dell Iliade e, dall altro, della partenza di Enea da una Troia ormai distrutta nel secondo libro dell Eneide (esplicitamen- te evocata ai vv. 25-26). In tal modo Ovidio diviene un eroe insieme tragico ed epico, e la sua vicenda acquista una dimensione universale: «opera assai complessa, l elegia trova la propria originalità nella tensione tra spontaneità ed elaborazione artistica, tra immediatezza e tracce nitide di imitatio ed aemulatio; la sua forza sta nella coesistenza di individuale e universale (M. Bonvicini). L esilio come la morte La condanna all esilio è quasi una condanna a morte per Ovidio, dal momento che lo priva di tutti gli affetti e di tutte le ragioni di vita: è notevole, da questo punto di vista, la similitudine* che si legge ai vv. 11-12, con la quale il poeta si paragona a una persona che, dopo essere stata colpita da un fulmine, rimane in uno stato di stordimento e non sa più se è viva o morta. una sorta di limbo, di non-vita, di stato intermedio tra la vita e la morte che esprime quello che sarà lo stato d animo di Ovidio per tutti i lunghi anni dell esilio. Se l esilio è una forma di morte, non sorprende che il commiato dalla moglie e dagli amici ma anche dai servi sia rappresentato come una sorta di rito funebre («il funerale di un vivo , v. 89), con l intera casa immersa nelle tipiche manifestazioni del lutto (vv. 2122, ma anche 77-78). La moglie, poi, si getta a terra per baciare non, come avviene abitualmente nelle esequie, il corpo esanime del defunto, ma il focolare spento dei Lari (vv. 43-44), e invoca più volte «il nome del marito che le era strappato (erepti viri, v. 96: è 555

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Età augustea