Tua vivit imago - volume 2

L autore Orazio Dunque offri a Giove il dovuto sacrificio e deponi sotto il mio alloro5 il fianco fiaccato dalla lunga guerra, 20 e non risparmiare le anfore a te destinate. Colma le coppe levigate di Massico,6 vino dell oblio, versa unguenti dalle profonde conchiglie.7 Chi si affretta ad intrecciare corone d umido apio 25 o di mirto? Chi Venere nominerà arbitro del convito?8 Non impazzirò meno degli Edòni:9 mi è dolce folleggiare per un amico che ritorna. (trad. O. Portuese) 5. sotto il mio alloro: Orazio possedeva nel giardino di casa sua una pianta di alloro, qui menzionata anche con funzione simbolica, essendo per eccellenza la pianta della poesia. 6. Massico: pregiato vino campano. 7. conchiglie: recipienti a forma di conchiglia, usati per gli unguenti. 8. Chi Venere convito?: durante un banchetto era usanza estrarre a sorte fra i convitati, con il lancio dei dadi, chi dovesse assumere il ruolo di re del convito (arbiter bibendi); in questo gioco l estrarre a sorte era detto iactus Venerius (letteralmente colpo di Venere ). 9. Edòni: popolo della Tracia (celebre per l uso sfrenato del vino), così denominato dal monte Edono. Analisi del testo Una rilettura mistificatoria delle guerre civili? Nel ripercorrere gli anni della guerra civile, Orazio sembra spinto dal desiderio di rileggerne il drammatico sviluppo in chiave umoristica, ritraendo sé stesso come un soldato pusillanime, pronto a lasciare il campo di battaglia per mettersi in salvo (vv. 9-12). In realtà Orazio si rifà a importanti precedenti letterari. La descrizione della sua fuga umiliante, con il dettaglio dell abbandono dello scudo sul campo di battaglia, non va presa alla lettera: si tratta, infatti, di un gesto simbolico, che già altri poeti-soldati avevano attribuito a sé stessi. Il componimento più celebre cui Orazio sembrerebbe essersi ispirato è sicuramente il fr. 5 West2 di Archiloco, il quale, dissacrando la tradizione, con un senso pragmatico della realtà, aveva detto di aver lasciato lo scudo durante uno scontro con il popolo tracio dei Sai, contravvenendo così a un importante precetto dell etica militare antica («Del mio scudo qualcuno fra i Sai ora si gloria. Presso un cespuglio / fui costretto a lasciarlo, arma irreprensibile. / Ho salvato me stesso. E allora, cosa mi importa di quello scudo? / Alla malora! Presto me ne procurerò uno non peggiore , trad. A. Aloni). Anche Alceo riprende la stessa immagine nel fr. 401b Voigt, ma, rovesciando la logica dissacrante di Archiloco, si pente, con rammarico, di non aver rispettato quel precetto: «Alceo è salvo ma il suo scudo / gli Attici appesero / nel tempio di Atena occhi cerulei (trad. G. Guidorizzi). La stessa, fittizia disavventura è poi raccontata da Anacreonte nel fr. 85 Gentili: «Gettai via lo scudo, / alla foce d un fiume bella corrente . Dunque Orazio proietta la sua esperienza di soldato all interno di una tradizione letteraria solida. D altronde la letterarietà dell ode è rimarcata dalla sua costruzione retorica, che ne permette la collocazione nel solco di una categoria letteraria ben definita, generalmente indicata con la denominazione greca di epibatèrion (cioè carme per il ritorno di un amico). 311

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Età augustea