Tua vivit imago - volume 2

L ET DI AUGUSTO Soratte innevato) e la giovinezza (di cui è immagine simbolica la primavera dell amore giovanile). I mutamenti di paesaggi e atmosfere corrispondono, quindi, a cambiamenti dello stato d animo di Orazio. La ripresa di Alceo Le prime due strofi dell ode, dedicate alla descrizione del paesaggio invernale, traducono, in modo piuttosto fedele, il fr. 338 Voigt di Alceo: «Piove. Dal cielo, / una grande tempesta, / le correnti dei fiumi / sono diventate di ghiaccio / Scaccia l inverno, alimenta / il fuoco, nelle coppe / senza risparmio versa / il vino di miele, / attorno alla testa / avvolgi una sciarpa morbida (trad. G. Guidorizzi). Le analogie fra il carme oraziano e il modello greco sono molteplici: l immagine dei fiumi gelati (vv. 3-4) equivale a quella delle «correnti di ghiaccio di Alceo (v. 2 del testo greco); l esortazione a cacciare l inverno, ponendo altra legna sul fuoco (vv. 5-6) corrisponde all analogo invito di Alceo, «Scaccia l inverno, alimenta / il fuoco (vv. 5-6 del testo greco); l invito a mescere il vino in abbondanza (vv. 6-8) echeggia la stessa esortazione presente nel modello (vv. 6-7 del testo greco: «nelle coppe / senza risparmio versa / il vino di miele ). Tuttavia, rispetto ad Alceo, il paesaggio invernale di Orazio sembra superare i limiti della semplice descriptio loci ( descrizione del luogo ), configurandosi suggestivamente come uno stato d animo, una condizione di melanconica tristezza: metafora, quindi, dei più profondi sentimenti del poeta (G. Pasquali). A questo elemento di originalità si unisce il fatto che molto probabilmente, dopo la rielaborazione del modello alcaico in queste prime due strofi, Orazio ha sviluppato la sua ode in forma autonoma. La strategia compositiva appena illustrata consistente nell avviare un ode imitando un modello greco e nel dare poi sviluppo autonomo ai versi successivi potrebbe essere assimilata alla cosiddetta tecnica del motto , che possiamo apprezzare per esempio nell ode I, 37 (à T16). Non tutti gli studiosi sono però concordi. Per tecnica del motto (o memoria incipitaria) si intende, infatti, la ripresa di un modello greco nell incipit di un ode, quindi nel primo verso o, al massimo, nei primi due versi del componimento. Nel caso specifico dell ode I, 9, invece, la rielaborazione del modello greco interessa una sezione più estesa, comprendente le prime due strofi. Tuttavia, non è forse corretta la posizione estremista di quanti negano del tutto la presenza del motto in quest ode; come ha giustamente osservato Alberto Cavarzere: «analogo a quello del motto è [ ] il procedimento, che consiste nell assumere un motivo greco, naturalmente adattato alla nuova realtà sociale oraziana, per allontanarsene poi e svolgerlo con originalità . La ricerca della felicità Se le prime due strofi dell ode traducono un frammento di Alceo, l esortazione al piacere dei versi successivi si pone nel solco della morale popolare, in parte influenzata dall epicureismo. Non siamo ancora di fronte all Orazio filosofo delle Epistole, che troverà nell apàtheia ( impassibilità , imperturbabilità ) il rimedio per sopprimere ansie e tormenti. Tuttavia è già vivo, nel poeta, il dissidio fra cuore e ragione, uno stato di fosca inquietudine cui Orazio riesce a opporre, per il momento, una ricetta non ancora perfetta per la felicità: trovare rifugio nel caldo contesto di un focolare, tra i confortevoli confini di un convito, nella spensierata malizia di una fanciulla. Il rimedio è quindi godere del presente finché si è in tempo (Quid sit futurum cras, fuge quaere re, v. 13): un esortazione che Orazio ripete nell ode I, 11, 1-2 ( T13), Tu ne quaesie ris, scire nefas, quem mihi, quem tibi / finem di dede rint, Leuconoe , e che presuppone una piena consapevolezza della fugacità della vita, quale emerge per esempio dall epistola I, 4, 13-14 (omnem crede diem tibi diluxisse supremum: / grata superveniet quae non sperabitur hora, «pensa che ogni giorno per te sia stato l ultimo a sorgere: si aggiungerà preziosa l ora che non è sperata , trad. A. Cucchiarelli) e quale aveva già espresso Catullo nel carme 5, 5-6: nobis cum semel occidit brevis lux, / nox est perpetua una dormienda («ma noi, quand è tramontata la nostra / breve luce, dobbiamo dormire una sola notte, perpetua , trad. G. Paduano). Qualche affinità si coglie con l epòdo 13: alcuni amici, partecipanti a un simposio mentre fuori infuria l inverno, si abbandonano a sentimenti di mestizia e depressione; a loro il poeta rivolge l esortazione a reagire e a trovare conforto nel vino e nel canto. In questa fase, rispecchiata dall ode I, 9 e dall epòdo 13, la virile accettazione della sorte coincide per Orazio con una sola saggezza: convivere con le tempeste della vita cogliendo le opportunità del simposio e dell amore. Mettiti alla prova Laboratorio sul testo ONLINE 296

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Età augustea