Tua vivit imago - volume 2

L INCONTRO CON L AUTORE LO STILE DI ORAZIO sentenziosità raffinata costruzione retorica callida iunctura Nell ode si alternano modi espressivi e tonalità differenti: dalla sentenziosità dei versi iniziali si passa al lirismo descrittivo del nucleo centrale, per poi tornare a toni marcatamente gnomici nella chiusa. Una curva stilistica in cui si coglie anche la tecnica tipicamente oraziana di potenziare al massimo le possibilità espressive della parola, senza ricorrere a un lessico particolarmente ricercato. Tale potenziamento è realizzato attraverso una sapiente disposizione delle parole (callida iunctura à p. 239): gli aggettivi collocati alle estremità dei versi determinano un singolare effetto di contrasto (aequam arduis, v. 1; temperatam, v. 3; brevis, v. 13); i frequenti iperbati contrappuntano concetti e immagini (aequam mentem, vv. 1-2; ab insolenti laetitia, vv. 3-4; obliquo rivo?, vv. 1112; sororum trium, vv- 15-16; exstructis divitiis, vv. 19-20); i numerosi enjambement* tratteggiano quadretti stilizzati e preziosi, ma ne frammentano l estaticità, significando quasi icasticamente il frantumarsi e il dissolversi della vita umana, fatalmente destinata all Erebo (per dies / festos, vv. 6-7; brevis / flores, vv. 13-14; infima / de gente, vv. 22-23). Al ricco ornatus del testo contribuiscono anche giochi paronomastici (memento mentem, vv. 1-2), poliptoti* (omnes omnium, v. 25), omeoteleuti* (serius ocius, v. 26), nonché il frequente ricorso alla sinalefe laddove il poeta intende conferire continuità alla formulazione di determinati concetti: significativa, per esempio, la sinalefe fra la clausola dell ipermetro enneasillabo dell ultima strofe (v. 27) e la prima parola del successivo decasillabo (v. 28), aeternum / exsilium: Orazio considera i due versi, per sinafia, come due cola ( membri ) di un unico verso, che con la sua estensione conferisce grav tas sepolcrale alla chiusa gnomica del carme, segnata dall immagine della sorte pronta a deporre tutte le anime «sulla navicella / per l esilio eterno . I TEMI DI ORAZIO equilibrio carpe diem banchetto consapevolezza della morte L ode sviluppa un ampio ventaglio dei temi più comuni della lirica oraziana: dall esortazione a mantenere l equilibrio in ogni circostanza (vv. 1-8) mutuata da Archiloco fr. 128 West2 («Cuore, cuore [ ] vincitore non ti esaltare in modo aperto, / né vinto devi gemere prostrato nella tua casa, / ma gioisci dei beni, e dei mali affliggiti / senza eccedere , trad. A. Aloni) e da Epicuro fr. 488 Usener («L anima meschina si imbaldanzisce per i casi fortunati, mentre dalle sventure è annichilita , trad. I. Ramelli) alla contemplazione della natura come realtà che invita a godere della vita finché è concesso all uomo (vv. 9-12); dall invito al banchetto (vv. 13-16) e dalla consapevolezza del carattere effimero dei beni materiali, destinati a passare nelle mani degli eredi (vv. 17-20), alla cognizione dell equanimità della morte (vv. 21-28). In particolare, è interessante notare le analogie fra alcuni aspetti dell ode e altri luoghi della produzione di Orazio: l immagine suggestiva di chi trascorre il proprio tempo beatamente disteso in remoto gramine (vv. 6-7) si lascia accostare ai vv. 23-24 dell epòdo 2 libet iacere modo sub antiqua ilice, / modo in tenaci gramine ( piace giacere ora sotto un antico leccio, / ora sull erba folta ); il concetto della necessità di lasciare ad altri eredi i propri beni (vv. 17-20) è formulato anche nell epistola II, 2, 175-177: sic quia perpetuus nulli datur usus et heres / heredem alterius velut unda supervenit undam, / quid vici prosunt aut horrea? («Allora, visto che a nessuno è concesso un perenne godimento, / ma ogni erede incalza il precedente come un onda urge dietro un onda, / a che serve il possesso d un granaio o d una fattoria? , trad. M. Beck); l estrazione a sorte descritta nei vv. 25-27 richiama l analoga immagine sviluppata nell ode III, 1, 16 omne capax movet urna nomen («e un urna capace agita ogni nome ). Si tratta di motivi riconducibili ai due temi dominanti della poesia di Orazio (l ineluttabilità della morte e la brevità della vita), che nell ode II, 3 trovano una formulazione insistente e tormentata, ma sapientemente disciplinata da uno straordinario equilibrio formale. 248

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Età augustea