Tua vivit imago - volume 2

L autore Virgilio quidve dolens regina deum tot volvere casus 10 insignem pietate virum, tot adire labores impulerit. Tantaene animis caelestibus irae? dèi a perseguitare così a lungo un eroe (virum) insigne, paradossalmente, per la sua pietas (insignem pietate). Virgilio chiederà poi un secondo aiuto divino per proseguire nel suo progetto letterario al v. 41 del settimo libro (Tu vatem, tu, diva, mone). memora: imperativo ( ricordami, raccontami ), dal quale dipendono il com plemento oggetto causas e la proposizio ne interrogativa indiretta quo quidve impulerit. quo numine impulerit: per ! repetita iuvant p. 142 à quale offesa divina o dolendosi di che cosa la regina degli dèi (regina deum = deorum) abbia costretto l eroe (virum) ad affrontare tante pene (tot volvere casus) e a subire tante fatiche (tot adire labores) . Impulerit è terza persona singolare del congiuntivo perfetto di impello; regge i due infiniti volvere e adire. La regina degli dèi è Giunone, protettrice di Cartagine. Nota come, ancora una volta, Virgilio indi chi Enea con il termine virum ritardandone l identità. Tantaene irae: costrutto del dativo di possesso, con sottinteso sunt; puoi tradurre: così profonda ira hanno i celesti nell animo? . Non è una domanda soltanto retorica, perché esprime lo scon certo per il fatto che un uomo pio sia vit tima dell ira divina e presuppone, dunque, un interrogativo profondo sull esistenza umana e sul dolore degli innocenti. Analisi del testo L incipit come spazio metaletterario In età tardo antica cominciò a circolare che i versi che, secondo la tradizione, costituiscono l incipit dell Eneide fosse ro preceduti, in origine, da altri quattro versi, riportati dalla Vita Vergilii di Elio Donato (grammatico del IV secolo d.C.): Ille ego, qui quondam gracili modulatus avena / carmen, et egressus silvis vicina coegi, / ut quamvis avido parerent arva colono, / gratum opus agricolus, at nunc horrentia Martis («Quell io che su gracile canna modulavo una volta / il canto, e usci to dai boschi costrinsi i campi vicini / a far contento anche il colono più avido, / opera grata ai coltivato ri, l orride ora di Marte , trad. R. Calzecchi Onesti). Secondo Donato e Servio (IV-V secolo d.C.) questi versi sarebbero stati espunti da Lucio Vario durante la correzione del poema prima della pubblicazione, ma oggi per ragioni stilistiche, letterarie e filologiche sono ritenuti spuri. Il proemio ufficiale del poema virgiliano è dunque quello che qui ti abbiamo proposto. Nella letteratura antica l incipit di un opera letteraria si configura come luogo privilegiato, in cui l autore può enunciare i temi che affronterà, dichiarare, più o meno implicitamente, i propri modelli, dare un saggio del proprio stile. Sono queste le caratteristiche che troviamo anche nell in cipit dell Eneide: i temi sono la guerra (arma, v. 1) e le peripezie di un eroe (virum, v. 1); i modelli sono i due poemi omerici (con l inversione della tematica odissiaca rispetto a quella iliadica à p. 62); lo stile è solenne ed elaborato, soprattutto nel sottolineare la condizione di Enea esule per volere del Fato (nota l incisività formulare del nesso fato profugus al v. 2; la variatio* sinonimica di casus e labores ai vv. 9-10; l insistenza su participi perfetti che connotano la con dizione di Enea come passivo e paziente abbandono ai piani divini ai vv. 3 iactatus e 5 passus). La pietas di Enea Al v. 10 Enea è detto insignem pietate. Si tratta della prima di ventidue occorrenze del termine pietas nell Eneide, alle quali dobbiamo aggiungere l uso, per trentotto volte, del corrispettivo aggettivo pius (ventidue delle quali lo vedono acco stato a Aeneas a formare un metrema, cioè una se quenza fissa e formulare di parole che costituiscono un unità metrica). La pietas è la qualità per eccellenza di Enea, ma la traduzione di questo termine pone non poche difficoltà, per la sua natura polisemica, che abbraccia almeno quattro sfere tematiche: 1) quella degli officia, cioè dei doveri; 2) quella degli affetti, per ché la pietas è anche un amore doveroso ; 3) quella della devozione; 4) quella della reciprocità, cioè della fedeltà agli dèi e agli uomini. Riduttiva sarebbe quin di la sua traduzione con l italiano pietà , che gette rebbe luce soltanto sull aspetto della partecipazione emotiva alle vicende altrui. Per comprendere il valore più profondo di que sto concetto, occorre ricordare che da Cicerone in poi il termine aveva cominciato a designare non più soltanto una virtù morale, ma anche una condotta politica, e che in età augustea era diventato una pa rola chiave, anzi il valore ideale della propaganda ideologica del princeps. 141

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Età augustea