T13 LAT ITA - Òrfeo ed Eurìdice: il dolore e il lamento

L autore Virgilio fata vocant conditque natantia lumina somnus. Iamque vale; feror ingenti circumda ta nocte invalidasque tibi tendens, heu non tua, palmas . Dixit et ex oculis subito, ceu fumus in auras 500 commixtus tenuis, fugit diversa, neque illum prensantem nequiquam umbras et multa volentem dicere praeterea vidit; nec port tor Orci amplius obiectam passus transire paludem. più patetica la protesta della donna con tro gli effetti rovinosi della follia d amore. conditque somnus: e il sonno chiude gli occhi vacillanti (metafora* della morte). Iamque vale: formula di estremo saluto. feror nocte: sono portata via circon data da un immensa notte . invalidasque tibi tendens palmas: tendendo verso di te le deboli mani : è espressione che de scrive l estremo gesto di proiezione verso la vita da parte di chi muore. 499-503. Dixit et paludem ceu: ar caismo ( come ) con cui Virgilio introduce una similitudine* mutuata da Omero, Iliade XXIII, 99-101, dove Achille cerca invano di abbracciare l ombra di Patroclo: una sce na tipizzata, che ricorre anche in Odissea XI, 204-208, dove Odìsseo cerca di ab bracciare inutilmente l ombra della madre, e nell Eneide, dove Enea tenta vanamente di stringere il fantasma di Creùsa (secondo libro) e di Anchise (sesto libro). fugit diver sa: fuggì in direzione opposta . Diversa, da diverto, è participio perfetto congiunto con valore avverbiale; si riferisce a Eurì dice, che è il soggetto sottinteso dei verbi dixit, fugit e vidit. illum: rfeo. umbras: sinnedoche* per indicare la singola ombra. nec port tor paludem: né il nocchiero dell Orco (cioè Caronte) permise (passus con sottinteso est) più che [ rfeo] attra versasse l ostacolo della palude (lett. la palude frapposta , con obiectam participio perfetto di obicio) . Si intende la palude dello Stige, fiume infernale. Il termine por t tor è tecnicismo per designare il doganie re portuale ed è qui usato con riferimento a Caronte, che riscuoteva dai morti un obolo per traghettarli verso gli Inferi. T13 rfeo ed Eurìdice: il dolore e il lamento tratto da Georgiche IV, 507-527 latino italiano La perdita definitiva di Eurìdice sconvolge rfeo che trascorre i mesi successivi in solitudine, in luoghi deser ti, da solo con il suo canto. Quello stesso canto che gli aveva consentito di salvare, in un primo momento, la sua amata, ora non è più portatore di salvezza: ostinato nella sua solitudine, rfeo rifiuta ogni altro amore e questo lo conduce inevitabilmente alla rovina. Metro: esametri Se ptem llu m to to s | pe rh be nt e x o rd ne me nse s Septem illum totos perhibent ex ordine menses rupe sub a ria deserti ad Strymonis undam flesse sibi et gelidis haec evolvisse sub antris Raccontano che per sette mesi continui egli pianse, solo con sé stesso, sotto un aerea rupe presso l onda dello Strìmone deserto, e narrava la sua storia nei gelidi antri 507-510. Septem illum quercus per hibent: terza persona plurale dell indicativo presente di perhibe o, qui usato imperso nalmente. Da esso dipendono le infinitive flesse (= flevisse) ed evolvisse, aventi come soggetto illum, cioè rfeo. La scelta di in trodurre il racconto ricorrendo alla forma verbale impersonale è una convenzione risalente già a Omero: tutta la descrizione del lutto di rfeo è, infatti, epicheggiante. Strymonis: fiume della Tracia. sibi: dativo di vantaggio: lett. per sé . 135

Tua vivit imago - volume 2
Tua vivit imago - volume 2
Età augustea