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Dentro il testo I CONTENUTI TEMATICI Il regno della disperazione Il tema centrale del canto III dell Inferno è quello della dannazione. Dante entra nell Inferno vero e proprio, varcando la porta che conduce al regno della sofferenza. Il suo obiettivo poetico e teologico è spiegare ai lettori ciò che la mente umana non può in realtà comprendere del tutto: la disperazione intesa come assenza di speranza . L essere umano, da vivo, può sempre confidare in un cambiamento positivo, in un futuro migliore; gli è dunque difficile comprendere il concetto di eternità che gli si rivela nell Inferno, laddove la condanna dei peccatori è assoluta, definitiva e destinata a perpetuare nei secoli dei secoli torture e sofferenze. Per questo motivo l iscrizione presente sulla porta dell Inferno insiste sulla parola etterna (che compare al v. 2 e poi due volte al v. 8) e sulla fine della speranza (il celebre v. 9: Lasciate ogne speranza, voi ch intrate). Non va dimenticato che nelle intenzioni del poeta la descrizione del mondo infernale è utile ai vivi perché si pentano dei propri peccati, si convertano, salvino le loro anime: la durezza di un mondo di atroci sofferenze destinate a durare in eterno è dunque un monito rivolto a loro. Per questo l iscrizione sulla porta infernale dice anche altro, e cioè che l Inferno è stato creato dalla giustizia divina. Il regno della sofferenza è necessario perché vi sia un Paradiso: il premio della felicità eterna destinato ai giusti deve prevedere la condanna ai tormenti senza fine inflitti ai peccatori. Ora, poiché per i vivi la scelta tra il male e il bene è ancora possibile, la tremenda e quasi incomprensibile idea della condanna eterna deve valere come una sorta di amara medicina. Il paesaggio infernale Dante, comunque, è innanzi tutto un poeta, e dunque non intende solo spiegare le ragioni morali e teologiche dell esistenza dell Inferno, ma vuole anche raffigurarlo con le proprie parole. Il suo Inferno non è soltanto, genericamente, una grotta ripiena di fuoco e di fiamme dove i demoni infilzano i dannati con il forcone. Le descrizioni accurate e molto visive del canto III sono finalizzate proprio alla creazione del paesaggio, delle 36 strutture e dei rituali di funzionamento dell ingresso al mondo infernale: vediamo così le anime dei peccatori che attendono sulla riva del fiume che segna il confine dell Inferno, l Acheronte, e soprattutto l arrivo del nocchiero Caronte, che le conduce verso le punizioni eterne. Gli ignavi La comparsa degli ignavi completa il quadro logico della Giustizia ultraterrena. Tra coloro che optarono per il bene, e potranno accedere dunque al Paradiso, e coloro che preferirono il male, e saranno quindi puniti all Inferno, si devono infatti immaginare coloro che non vollero scegliere tra bene e male e vissero sanza nfamia e sanza lodo. Anche costoro, in realtà, hanno compiuto una scelta, persino peggiore, per certi versi, di quella di coloro che hanno scelto il male: hanno scelto di non scegliere, rifiutando di compiere il dovere dell anima di esercitare il libero arbitrio (l obbligo morale, appunto, di scegliere tra il bene e il male). Non si può pensare che il bene e il male siano equivalenti, né si può rifiutare la responsabilità della scelta, perché nel progetto divino essa è prevista per ogni anima. Dante, quindi, punisce gli ignavi come tutti gli altri dannati, ma in più li umilia, tenendoli al di fuori dell Inferno vero e proprio, giudicandoli vili e insignificanti al punto di non meritare nemmeno un posto tra i malvagi. LE SCELTE STILISTICHE La descrizione dell orrore infernale deve essere espressa con immediatezza affinché arrivi in maniera precisa a ogni lettore. Come nella prima parte del canto I, quindi, anche in questo caso Dante rimane legato a un lessico facile e quotidiano (sospiri, pianti, lagrimai, lingue, dolore, ira, voci). Per rendere più espressivo il linguaggio, però, ricorre a effetti stilistici sul piano della struttura, come gli isocoli* (diverse lingue, orribili favelle, v. 25; sanza nfamia e sanza lodo, v. 36) e le similitudini* (Come d autunno si levan le foglie, v. 112; come augel per suo richiamo, v. 117). DiverGustave Doré, Caronte, 1861-1868.

Antologia della Divina Commedia
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