Antologia della Divina Commedia

INTRODUZIONE quasi totalmente privato del ricordo di tale visione, si dichiara ben lontano da una tale pienezza (Oh quanto è corto il dire [ ] ivi, v. 121) constatando con amarezza l insufficienza delle proprie capacità mnemoniche e linguistiche di fronte all ineffabilità del divino, che lo ha reso simile a un infante. La giustizia Nel Convivio (I, 12, 9) Dante definisce la giustizia come la «più amabile e «più umana delle virtù, poiché, nella sua concezione, essa è connaturata alla parte razionale e intellettuale dell uomo, come una scintilla divina che lo distingue dagli altri esseri viventi. Sulla base di questo principio, Dante consacra la terza cantica alla giustizia e fa dell equità del giudizio di Dio uno dei temi-guida del Paradiso. Su questo valore, per così dire divino , poggia infatti lo stesso regno dei cieli, nel quale ogni creatura ama conformarsi alla volontà divina, anche quando la Grazia è dispensata di soglia in soglia in modo diseguale. E non soltanto l esistenza dei beati è sapientemente ordinata dalla mente del Creatore, ma anche la vita terrena: in quest ottica vanno letti passi famosi del Paradiso, come la celebrazione dell Impero romano sin dalla sua istituzione in quanto prefigurazione del regno dei cieli e la condanna della scellerata azione politica di guelfi e ghibellini che vi fa da contraltare (canto VI) o il solenne elogio della Provvidenza contrapposto da san Pietro alla cupidigia dei pontefici, avidi lupi, che hanno tradito il sangue dei martiri (canto XXVII) e provocato il degrado morale della Chiesa (là dove Cristo tutto dì si merca Par., XVII, v. 51). 3. LA LINGUA E LO STILE Nel porre mano al Paradiso Dante deve attingere a registri stilistici più elevati di quelli adottati nelle due precedenti cantiche, poiché la complessità dell argomento, che coniuga alti saperi dottrinali con sacri dogmi religiosi, richiede accresciute potenzialità espressive, unite a un sapiente controllo logico-razionale di parole e concetti. Di questa difficoltà e della mancanza di precedenti volgari Dante appare pienamente consapevole fin dai primi versi, in cui afferma che L acqua ch io prendo già mai non si corse (Par., II, v. 7). Il nodo stilistico più arduo che il poeta si trova ad affrontare è quello dell ineffabilità delle sue visioni, cioè dell impossibilità di tradurre in parole i prodigiosi scenari celesti di cui è spettatore; questi, infatti, non rientrano nel mondo della fisica, essendo il Paradiso un regno di pura luce, etereo e privo di materialità. Paradiso La sfida di Dante è quindi logica e linguistica a un tempo, poiché questo regno offre al poeta la possibilità di manipolare al limite dell indescrivibile la lingua, piegandola a nuove e più alte esigenze espressive. Per tradurre in versi le immagini della propria visione, Dante sceglie così di seguire due procedimenti: il primo è il frequente ricorso ad argomentazioni di natura scientifica, con una particolare predilezione per il vocabolario della geometria e dell ottica (la branca della fisica meno legata alla materialità degli oggetti); il secondo è la comparazione del divino con i fenomeni naturali, sia attraverso il ricorso alla similitudine, sia utilizzando la teologia apofatica , vale a dire un procedimento per cui si cerca di descrivere Dio dicendo ciò che non è. Così, accanto al gergo di natura tecnica (per esempio, di Par., XXXIII, vv. 133-135: Qual è l geomètra che tutto s affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond elli indige), abbondano richiami al superamento delle realtà naturali, che pur rassomigliando alle loro immagini terrene, le trascendono, come in Par., I, vv. 79-81 (parvemi tanto allor del cielo acceso / de la fiamma del sol, che pioggia o fiume / lago non fece alcun tanto disteso). Sul piano del lessico, Dante sceglie un vocabolario che rappresenti le verità di fede non con ardue astrazioni ma con immagini familiari; emblematico di questa predilezione per le forme della lingua domestica è il paragone tra la propria lingua poetica e quella di un lattante di Par., XXXIII, vv. 106-108 (Omai sarà più corta mia favella, / [ ] che d un fante / che bagni ancor la lingua a la mammella). D altra parte, quando la poesia dantesca attinge a immagini mitologiche o alle forme evangeliche e dell orazione sacra, il linguaggio non esita a farsi aulico e ricco di preziosi latinismi. In generale, sotto il profilo lessicale, Dante accosta vocaboli di diversa natura, dai tecnicismi del campo della speculazione filosofica e della teologia al linguaggio fiorito dell orazione sacra, dagli eruditi termini astronomici alle rudi voci plebee, che pur non mancano, come in Par., XVII, v. 129 (e lascia pur grattar dov è la rogna). Per questo motivo, la straordinaria forza espressiva derivante dal contrasto fra diversi registri e vocabolari proprio delle altre due cantiche, in cui però è forse meno evidente il critico Gianfranco Contini formulò la definizione di «plurilinguismo dantesco . 247

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