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CANTO XIX Purgatorio Dentro il testo I CONTENUTI TEMATICI La falsa illusione di felicità dei beni terreni Il tema centrale del canto XIX del Purgatorio è l illusoria sensazione di felicità data dal possesso dei beni terreni: Dante articola la condanna di tale vizio in due sezioni di estensione quasi identica. Nella prima parte del canto colloca il sogno, o meglio l incubo, della femmina balba, una donna deforme e repellente, che diventa bella e affascinante quando viene guardata. Si tratta di un allegoria* assai diffusa nella cultura medievale e vuole significare che i beni terreni (le ricchezze, il gusto del cibo, la bellezza fisica) sono effimeri e sfuggenti: è l illusione peccaminosa di chi li ammira con desiderio a renderli così attraenti e invitanti. Anche la ragione potrebbe tentennare però di fronte alla pur fragile appetibilità di questi beni: deve intervenire allora la Grazia divina, allegoricamente interpretata da una misteriosa santa donna, che sollecita Virgilio ad agire strappando le vesti della strega ingannatrice e mostrando come sotto l apparenza desiderabile nasconda in verità il fetore della decomposizione, ovvero la natura mortale di tutto ciò che esiste. Il sogno della femmina balba è inserito in questo canto perché Dante e Virgilio stanno per visitare le ultime tre cornici del Purgatorio, dove appunto si sconta il peccato di eccessivo amore per i beni terreni (in ordine: gli avari nella quinta cornice, i golosi nella sesta, i lussuriosi nella settima). Il peccato d avarizia L allegoria della femmina balba introduce la seconda parte del canto, in cui si descrive la cornice dove sono puniti gli avari e i prodighi e in cui si svolge l incontro con papa Adriano V. Il pontefice si presenta come un uomo che per tutta la vita si è lasciato guidare dall avidità, cioè da un costante desiderio di ricchezze, ma anche di onori e di potere. Intrapresa la carriera ecclesiastica, Adriano scala tutti i gradini dell istituzione fino a divenire cardinale e infine papa. La sua sconfinata ambizione riesce quindi a conseguire il suo più alto obiettivo (né più salir potiesi in quella vita, v. 110), ma proprio a questo punto tutto il progetto di una vita basata sull avarizia si rivela un fallimento perché il suo cuore resta insoddisfatto e infelice (lì non s acquetava il core, v. 109). La condanna del vizio dell avarizia viene quindi non solo dalla constatazione teologica e razionale che i beni terreni sono fragili e caduchi, ma viene comprovata dai sentimenti intimi e privati di un uomo che ha raggiunto la vetta finale di tutte le sue ambizioni e che si scopre ancora infelice. Questo dimostra che i beni materiali non possono soddisfare l anima umana, che nella sua più alta forma è pura ragione e dunque può trovare la sua pace solo nella contemplazione di Dio, la Verità assoluta. Risulta evidente il parallelismo tra Adriano V e papa Niccolò III, condannato nel canto XIX dell Inferno nel girone dei simoniaci. I due personaggi sono speculari, anche da un punto di vista stilistico: al sarcasmo pungente del dannato corrisponde un linguaggio aulico e retoricamente elevato del penitente. Anche il pellegrino Dante interagisce in maniera opposta con i due personaggi: se davanti a Niccolò III lancia un infuocata invettiva contro la corruzione della Chiesa, si inginocchia per deferenza all autorità papale ai piedi di Adriano V. LE SCELTE STILISTICHE La maschera linguistica della femmina balba Nel tentativo di rendere il più possibile realistica l illusione che i beni terreni possano dare la felicità, la femmina balba cerca di abbellire il proprio inganno anche linguisticamente, impossessandosi del lessico della lirica d amore: com amor vuol (v. 15), dolce (v. 19), piacere (v. 21), vago (v. 22), appago (v. 24). la voce del poeta stesso a confutarla e smascherarla con un linguaggio brutale e realistico: guercia (v. 8), distorta (v. 8), monche (v. 9), scialba (v. 9), ventre (v. 32), puzzo (v. 33). Il lessico nudo e crudo denuncia la mostruosità della strega e invita gli uomini a riconoscerla nella sua bruttezza. Realismo e chiarezza Il realismo e la chiarezza rimangono i toni dominanti del canto: Dante per descrivere sé stesso e il proprio stato d animo ricorre alla similitudine*, paragonando il suo corpo piegato in avanti e pensoso a un arco e la sua anima rinfrancata a un falcone che ritrova lo slancio. Realistico, pratico e sbrigativo anche il linguaggio di papa Adriano V nel quale si può facilmente distinguere il vero e il falso, ciò che è importante e merita rispetto anche linguistico e ciò che invece è umano e umile e va trattato con metodi spicci: quando si riferisce alla carica papale, per esprimere tutta la sua deferenza verso il pontificato, per esempio, usa una 213

Antologia della Divina Commedia
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