Antologia della Divina Commedia

INTRODUZIONE 2. I TEMI L aura morta e l assenza di Dio L Inferno è il regno dove imperano disperazione, dolore, malevolenza e rancore. dunque un luogo dominato dall oscurità, non solo perché si sviluppa sotto terra, ma perché rappresenta un viaggio nel Male, dove non risplende la luce della grazia di Dio, che guida gli uomini a seguire la retta via: Dante infatti parla più volte di aere sanza stelle (Inf., III, v. 23), aura morta (Purg., I, v. 17), aura sanza tempo tinta (Inf., III, v. 29). Pur immersa nelle tenebre, il poeta descrive la voragine infernale delineando paesaggi lugubri e desolati che hanno continui richiami a luoghi e scenari naturali del mondo terreno: paludi, fiumi di sangue, sepolcri infuocati, ghiacciai sterminati Il mostruoso Anche l elemento del mostruoso è un espediente cui ricorre Dante per descrivere il peccato e il degrado dell animo umano che incorre nell errore. Esso si manifesta: nei mostri mitologici e nei diavoli, posti come custodi dei vari gironi e come esecutori materiali delle pene previste (per esempio Cerbero, Minosse, Gerione ); nei dannati: la loro aberrazione morale si palesa spesso anche esteriormente, rendendo irriconoscibili, orridi e raccapriccianti i loro corpi. Basti pensare ai seminatori di discordia, che portano addosso i segni delle ferite e degli squarci che provocarono durante la loro esistenza (Maometto, per esempio, è tagliato dal mento all ano e paragonato a una botte priva del fondo). La pietà di Dante La discesa all Inferno, oltre a mostrare a quali castighi vanno incontro i peccatori, costituisce la prima parte del percorso di purificazione morale che ogni uomo deve compiere nella vita terrena per liberarsi dal peccato, con la scorta della Ragione rappresentata da Virgilio. Il primo passo di ogni esame di coscienza, infatti, è riconoscere le radici dell errore e del traviamento: per questo il poeta sceglie di presentare i peccati non in modo astratto, ma attraverso una fitta galleria di personaggi ben noti, mitologici e storici, tratti dalla storia antica e recente, che si stagliano nelle loro personalità esemplari (vedi p. 8). Essi non sono colti nell atto del peccato e dell errore, cioè nella loro interna maledizione, bensì nel fiore della propria esperienza, al colmo della vitalità, nel pieno della loro coscienza. Proprio per questo la condanna è senza appello: non aver saputo riconoscere il limite, aver scelto il vizio rappresenta uno svilimento imperdonabile del libero arbitrio. Dante quindi, come ogni lettore della Commedia, partecipa in prima persona alla pena dei dannati: da questa empa- Inferno tia nasce la pietà che egli prova per alcune delle anime con cui viene a contatto. Non è dunque compassione (o almeno, non solo), ma turbamento scatenato dal riconoscere in sé stesso il peccato punito. Ecco che si spiegano le varie reazioni del poeta di fronte ai dannati: dalla comprensione coinvolta per la sorte di Paolo e Francesca, all impeto d ira verso i simoniaci, alla commossa disperazione per la condizione degli indovini. Come osserva la dantista Anna Maria Chiavacci Leonardi, l atteggiamento di condivisione del poeta è il «filo conduttore con il quale il protagonista, che è vivo, può attraversare l Inferno trovandosi uomo tra gli uomini e al suo passaggio risvegliare l uomo che c era un tempo in queste anime . 3. LINGUA E STILE L Inferno, in quanto rappresentazione del degrado provocato dal male e dal vizio, è la cantica in cui predomina lo stile basso o comico . Esso si realizza nell uso di: termini particolarmente crudi e volgari (puttana, merda, cul per citare i più noti); lemmi dal suono aspro , esplicitamente indicati nel De vulgari eloquentia come parole da evitare nel volgare illustre (vocaboli tronchi, con doppia z, con doppia r o l, con consonanti labiali o bilabiali quali la m, la p e la b come mamma, babbo, corpo, accaffi ); voci tratte dal registro popolare e familiare (mezzul e lulla, in Inf., XXVIII, v. 22); rime rare e difficili, dai suoni duri e sgradevoli, come -accia, -etti, -occa, -ezzo, -uffa, con una prevalenza delle consonanti c, z e t. Per esempio, nel canto XXXII, nel descrivere il freddo Cocito Dante lega tre rime aspre e chiocce: Osterlicchi (località dell Austria dove passano le acque gelate del Danubio), Tambernicchi (un monte delle Alpi Apuane) e cricchi (parola onomatopeica che mima il suono del ghiaccio che scricchiola). Nonostante la netta prevalenza dello stile comico, Dante sa intrecciare nel tessuto linguistico passi caratterizzati dallo stile sublime e mediano, che si ritrovano per esempio nelle parole di alcuni personaggi (si pensi all eloquio raffinato ed evocativo di Ulisse nel canto XXVI), in alcuni stralci descrittivi o in alcuni paragoni (sublimi, per esempio, sono le tre similitudini del canto V, con cui il poeta paragona le anime dei lussuriosi a uccelli, ai vv. 40-43, 46-47 e 82-84). Per questo si può parlare di plurilinguismo dantesco: perché il testo è un impasto di tutti gli stili, usati differentemente per esprimere ogni aspetto della realtà, dal più umile e volgare al più aulico. 15

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