Antologia della Divina Commedia

75 già cieco, a brancolar sovra ciascuno, e due dì li chiamai, poi che fur morti. Poscia, più che l dolor, poté l digiuno . [73-75] già cieco, a brancolare sopra ciascuno, e per due giorni (dì) li chiamai dopo che furono (fur) morti. Poi, la fame (digiuno) poté più del dolore . 78 Quand ebbe detto ciò, con li occhi torti riprese l teschio misero co denti, che furo a l osso, come d un can, forti. [76-78] Quando ebbe detto ciò, con gli occhi biechi (torti) riprese il miserabile (misero) teschio con i denti, che furono (furo) sull osso (a l osso) forti come quelli di un cane. 81 Ahi Pisa, vituperio de le genti del bel paese là dove l sì suona, poi che i vicini a te punir son lenti, [79-81] Ahi Pisa, vergogna (vituperio) delle popolazioni (genti) del bel paese dove risuona la lingua del sì; poiché le città vicine tardano a punirti, 84 muovasi la Capraia e la Gorgona, e faccian siepe ad Arno in su la foce, sì ch elli annieghi in te ogne persona! [82-84] si muovano la Capraia e la Gorgona e vadano a costituire un ostacolo (siepe) alla foce dell Arno, in modo che tutti i tuoi cittadini muoiano annegati! 87 Che se l conte Ugolino aveva voce d aver tradita te de le castella, non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. [85-87] Perché (Che) se il conte Ugolino aveva fama di averti tradita in merito alla questione dei castelli (de le castella), tu non dovevi (dovei) sottoporre i suoi figli a un tale supplizio (croce). 90 Innocenti facea l età novella, novella Tebe, Uguiccione e l Brigata e li altri due che l canto suso appella. [88-90] La giovane età rendeva (facea) innocenti, o nuova Tebe, Uguiccione e il Brigata e gli altri due che il canto nomina qui sopra (suso). 75. Poscia poté il digiuno: l interpretazione di questo verso ha suscitato molte discussioni. Ugolino, accecato dalla fame, continua disperatamente a chiamare i figli ormai morti; poi, la fame diventa più forte del dolore. Secondo l interpretazione tradizionale, questo significa che Ugolino non ha più la forza di chiamare i figli e, infine, muore lui stesso d inedia. Secondo altri, invece, allude a un episodio di cannibalismo (o tecnofagia, l atto di mangiare i propri figli): la fame avrebbe preso il sopravvento sull affetto paterno nel senso che Ugolino avrebbe mangiato la carne dei suoi figli. Questa tesi troverebbe conferma nell atto stesso in cui è intento Ugolino prima e dopo il racconto cioè rodere il cranio dell arcivescovo Ruggieri , nei numerosi riferimenti al cibo disseminati in tutto l episodio, nell offerta delle proprie carni fatta 120 dai figli a Ugolino (vv. 62-63). All eventuale cannibalismo, comunque, si allude solo implicitamente, e a causa di questa reticenza il verso rimane ambiguo. 76-78. occhi torti forti: Ugolino riprende a rodere il teschio del suo nemico, la stessa azione che stava compiendo al momento di iniziare a parlare. Il racconto del conte si chiude all insegna del binomio stilistico che lo ha contraddistinto fin qui: l uso di parole semplici all interno di strutture eleganti. I tre sostantivi sono accompagnati da tre aggettivi (occhi torti, teschio misero, denti forti) e strutturati intorno alla similitudine tra denti umani e denti canini, che riprende il fiero pasto cioè il pasto proprio di un animale dell inizio del canto. 80. del bel paese ... suona: dell Italia, dove si parla la lingua del sì (De vulgari eloquentia, I, VIII, 5-6), come il francese antico era chiamato lingua d o l e il provenzale lingua d oc (in base al principale avverbio affermativo). 81. i vicini: soprattutto Lucca e Firenze, città tradizionalmente nemiche di Pisa. La Capraia e la Gorgona: due isolette del Tirreno poco lontane dalla foce dell Arno, presso la quale sorge Pisa. 85-86. aveva voce ... de le castella: Dante sembra nutrire qualche dubbio sulla reale colpevolezza di Ugolino quanto alla cessione dei castelli pisani a Lucca e a Firenze in vista della pace. 89. Tebe: l antica città della Grecia proverbialmente sanguinaria (si ricordino l uccisione, da parte di Edipo, del padre Laio e la guerra fratricida tra i figli stessi di Edipo, Eteocle e Polinice). 90. li altri due: Anselmuccio (v. 50) e Gaddo (v. 68).

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