loro visibilità. Difficile anche capire se la visibilità possa retroagire nell assuefazione: nel considerare il ricorso alla tortura come un opzione attorno a cui discutere. L assoluto bando vacilla in un contesto di apparente normalità. pur vero tuttavia che sapere è pur sempre premessa di responsabilità e che dire la parola indicibile tortura è già operazione di chiarezza. Invita a indagarne il significato, a vedere se o meno corrisponda a situazioni, pratiche, fatti che conosciamo, che sappiamo esistere; li rende presenti con tutti gli interrogativi che tale presenza determina. Da questo punto di vista è, quindi, positivo che la parola Prigionieri alla base di Guantanamo. tortura sia tornata a essere detta. Ma, seppure tolta dall imbarazzo linguistico, non di meno la tortura continua a essere negata dagli apparati di potere che pure la praticano. Poiché «nessun regime neppure quello dittatoriale, ammetterà mai il ricorso alla tortura perché significherebbe ammettere la propria illegittimità . Sono le parole dello psicanalista Miguel Benasayag, torturato durante la dittatura del generale Videla in Argentina, che ricorda come i suoi torturatori loro come altri, quasi sempre [...] si guardavano dall essere identificati come funzionari dello Stato; non affermavano la visibilità del potere assoluto, ma si celavano dietro una fantasiosa appartenenza a corpi separati, civili [...]. Anche il dibattito sorto dopo il settembre 2001, in larga parte oltre Atlantico, ma per taluni aspetti ripreso nel Vecchio Continente, non ha superato il tabù della negazione: lo ha aggirato, attraverso locuzioni contorte che ruotano attorno a concetti di eccezionalità, necessità, utilità dando a waterboarding: forma di tortura che consiste in un annegamento simulato, durante la quale il prigioniero è immobilizzato su un tavolato di legno. 97