Promessi sposi

2. IL RACCONTO pecorelle del suo gregge. L anziano fra Cristoforo, che aveva vestito il saio per espiare un omicidio e insieme dare sfogo a un ardente desiderio di giustizia sociale, si spende in prima persona per combattere la prepotenza, anche a costo di sbagliare, come capita nel momento in cui manda Lucia a Monza. Fatta eccezione per il cardinal Borromeo i potenti sono ritratti in chiave negativa, siano ottusi come il padre della «signora , inetti come don Ferrante, sprezzanti e violenti come l Innominato, o come don Rodrigo, nel quale si condensano i vizi della nobiltà. Non è un caso che l unico in questo gruppo a cui Manzoni conferisca una grandezza malefica, che lo distingue dalla ignobile mediocrità di don Rodrigo, sia anche l unico a convertirsi: l Innominato. COME RACCONTA MANZONI Un narratore ironico Nei Promessi sposi si assiste a uno sdoppiamento della voce narrante. Da una parte l Anonimo secentesco, che avrebbe ascoltato la storia da Renzo. Dall altra parte il narratore, che si spaccia per semplice trascrittore delle pagine composte dall Anonimo, ma è in realtà un classico narratore onnisciente, in grado di leggere nel cuore dei personaggi, e sempre attento a giudicarne l operato, ora proponendo riflessioni a margine, ora limitandosi al giudizio fulmineo. Il suo tratto più riconoscibile è il tono ironico, sereno, comprensivo, che lo distanzia dalla figura storica di Manzoni, tormentato da inquietudini e nevrosi. Quest ironia è rivolta a se stesso, tramite scherzose ostentazioni di modestia, ma soprattutto investe i personaggi, con la sola eccezione di Lucia, che resta in una sfera di immacolata purezza. L umorismo viene così declinato in forme molto diverse tra loro, spaziando dall indulgente bonarietà spesa per commentare gli spropositi di Renzo, all acre sarcasmo che inchioda alle loro responsabilità codardi come don Abbondio e malvagi come don Rodrigo. DA MANZONI A MIKE BONGIORNO Dopo l Unità d Italia l opzione di Alessandro Manzoni per il fiorentino parlato si impose largamente nella pratica scolastica. Bisogna tuttavia ricordare che nel 1861 quattro italiani su cinque erano analfabeti. Solo uno su dieci comprendeva il toscano, e pochissimi al di fuori dell Italia centrale erano in grado di parlarlo correttamente. Lo stesso re, Vittorio Emanuele II, d abitudine si esprimeva in dialetto piemontese o in francese. La situazione andò lentamente cambiando nei decenni successivi: ma ancora nella prima metà del Novecento i dialetti avevano un ruolo dominante nella pratica quotidiana della lingua, nonostante l enfasi nazionalistica sull italiano propria del fascismo, che combatté tanto l influsso delle lingue straniere quanto le parlate locali. L italiano cominciò a essere diffusamente utilizzato a partire dagli anni Cinquanta, grazie alla spinta formidabile operata da tre fenomeni concomitanti: le immigrazioni interne, la scolarizzazione di massa e l avvento della televisione. stato detto, con una punta d ironia, che per il successo della lingua italiana le trasmissioni di Mike Bongiorno (1924-2009), celebre conduttore televisivo italo-americano, furono mille volte più efficaci delle pagine di Manzoni: ma senza queste ultime alla radio e in tv non si sarebbe parlato il toscano ben impostato a cui tutti gli speaker un tempo dovevano attenersi, stemperando le inflessioni regionali. Il conduttore televisivo Mike Bongiorno e una concorrente del popolare quiz Lascia o raddoppia?, che andò in onda dal 1955 al 1959. 27

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