Classe di letteratura - Giacomo Leopardi

ANALISI ATTIVA L infelicità come legge universale I contenuti tematici Nello Zibaldone Leopardi narra di aver letto nel settembre del 1826 sulla rivista scientifica francese Journal des Savants il resoconto di un viaggiatore russo nelle steppe dell Asia centrale, nel quale si raccontava che i pastori kirghisi abitanti in quelle regioni «trascorrono la notte seduti su un sasso a contemplare la luna, e a improvvisare parole molto tristi su arie che non lo sono meno . Da qui derivò con ogni probabilità lo spunto per il componimento, che segna il passaggio dai canti incentrati sul ricordo (come A Silvia) a quelli che si svolgono direttamente attorno a un nucleo di meditazione filosofica, affrontando il tema di un infelicità esistenziale vista ormai come legge universale. La tragedia di questa condizione si abbatte così a prescindere dalle sovrastrutture della civiltà e della cultura, essendo incombente sul destino di tutti gli uomini. Per questo il poeta sceglie di affidare il proprio pensiero a un pastore, cioè a un alter ego immerso in un tempo indefinibile, in uno spazio desertico e sterminato, figura estranea ai meccanismi del progresso, testimone di un dolore eterno, cosmico e senza eccezioni, connaturato all esistenza in quanto tale: anche l illusione di un armonico e primitivo stato di natura lontano dalla corruzione dei tempi moderni si rivela ormai come un irrealizzabile utopia. 1. Individua nel testo i riferimenti alla vita nomade del pastore. 2. Quale finale desiderio di felicità viene espresso dal pastore? Domande senza risposta Dando la propria voce a un pastore nomade dell Asia, il poeta rivolge alla luna ansiose domande sul senso della vita umana e sul mistero dell universo, interrogativi che gli individui si pongono da sempre. L interrogazione presenta da subito una contraddizione rivelatrice: il dimmi del v. 1, replicato nei vv. 16 e 18, si scontra infatti con il primo attributo conferito alla luna, silenziosa (v. 2); ciò tuttavia non induce al silenzio il pastore, che presuppone nella reticente interlocutrice un sapere a lui ignoto; anzi, tale convinzione si accentua nel corso del canto, in un climax che parte in forma dubitativa per poi giungere a una assoluta certezza: tu forse intendi, v. 62; E tu certo comprendi, v. 69; Tu sai, tu certo, v. 73; Mille cose sai tu, mille discopri, v. 77; Ma tu per certo, / giovinetta immortal, conosci il tutto, vv. 98-99. Successivamente (vv. 105-132) il pastore si rivolge con la stessa supplica (dimmi, v. 129) al gregge, che ritiene più felice dell uomo, poiché inconsapevole e dunque libero dal tedio che opprime gli esseri umani raziocinanti quando vengono meno le sensazioni, tanto piacevoli quanto dolorose, e l animo si ritrova come svuotato dinanzi alla vanità e all insignificanza dell esistenza. Infine, nell ultima strofa, egli immagina una felicità che potrebbe essere possibile se solo la sua condizione fosse diversa (come, per esempio, quella di un astro o di un tuono, che spaziano nel cielo). Ma subito dopo la constatazione della realtà lo porta a concludere che, con ogni probabilità, la vita è funesta per ogni essere, sia esso un individuo o un animale. 3. Quali sono le domande esistenziali che il pastore rivolge alla luna? 4. Quali sono le somiglianze e le differenze che il pastore individua tra la sua vita e quella della luna? 5. Qual è l atteggiamento del pastore verso la sua greggia? Il monologo di un pastore ingenuo Le scelte stilistiche La pretesa del pastore di comunicare con la luna, interpellandola sui grandi quesiti che turbano il suo animo, si rivela ingenua, in quanto irrealizzabile. Quello che, nella sua innocenza, vorrebbe essere un dialogo non è che un monologo, uno sconsolato interrogarsi su sé stesso, situazione di cui peraltro lo stesso pastore sembra a un certo punto prendere coscienza (dico fra me pensando, v. 85; Così meco ragiono, v. 90). Tuttavia il suo canto rimane semplice, quasi monotono sia nel linguaggio sia nella sintassi: per suscitare la reazione della luna, la sollecita in modo infantile ripetendo le domande nel vano tentativo di comprendere (si notino le anafore di Che fai?, due volte al v. 1, e dimmi, ai vv. 1, 16 e 98 / GIACOMO LEOPARDI

Classe di letteratura - Giacomo Leopardi
Classe di letteratura - Giacomo Leopardi