Classe di letteratura - Giacomo Leopardi

65 70 del soave licor del doglio avaro Giove, poi che perìr gl inganni e il sogno della mia fanciullezza. Ogni più lieto giorno di nostra età primo s invola. Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l ombra della gelida morte. Ecco di tante sperate palme e dilettosi errori, il Tartaro m avanza; e il prode ingegno han la tenaria Diva, e l atra notte, e la silente riva. 63 doglio: il vaso che contiene la felicità, custodito da Giove. 70 Tartaro: il regno dei morti. 71 tenaria Diva: Proserpina (la greca Per- sefone), regina degli inferi; uno degli ingressi al regno dei morti era presso il capo DENTRO IL TESTO Sofferenza esistenziale e desiderio di morte Dall infelicità individuale a quella universale La ricerca del vago vissuto felice sulla Terra. Giove non mi ha cosparsa (me non asperse) del prezioso liquido conservato nel vaso (doglio) avaro di felicità [per gli uomini], dopo che le illusioni e il sogno di felicità della mia fanciullezza vennero meno (perìr). Ogni giorno più felice della nostra vita fugge (s invola) per primo. Subentrano (Sottentra) la malattia, la vecchiaia e l ombra della gelida morte. Ecco, di tanti onori sperati (sperate palme) e sogni carezzevoli (dilettosi errori) [della giovinezza, ora troncati dalla realtà] mi rimane solo il Tartaro; e Proserpina (la tenaria Diva) e la buia (atra) notte e la riva silenziosa già possiedono il mio nobile (prode) ingegno. I contenuti tematici Tenaro (nella regione greca della Laconia), da cui l epiteto tenaria. 72 silente riva: dell oltretomba. Approfondisci TEMI NEL TEMPO Il suicidio: un topos letterario Lo sfogo accorato di Saffo si dispiega in una lirica nella quale il poeta rappresenta l infelicità di un animo sensibile e appassionato, chiuso in un corpo sgraziato. L io poetico lamenta il disprezzo con il quale la natura l ha trattato. Nei paesaggi tormentati da un tempo burrascoso, Saffo cerca il conforto di uno scenario che assomigli al proprio cuore, anch esso in burrasca, secondo un originale interpretazione del tema romantico del sublime: la poetessa non trova appagamento nella contemplazione dei luoghi ameni, ma è affascinata dagli spettacoli cupi e tempestosi, che ricordano i Canti di Ossian. Tuttavia ciò non basta a placare la sua ansia, la quale sfocia nel monologo infelice di una creatura che si sente abbandonata dalla natura come da un padre: perché il destino è stato così crudele con lei? un interrogativo al quale non c è risposta. Arcano è tutto, / fuor che il nostro dolor (vv. 46-47): l unica certezza è l infelicità, accresciuta dalle sgomente ma inutili domande su quale sia stato il peccato che l ha condannata: Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso / macchiommi anzi il natale ; In che peccai bambina ferrigno mio stame? (vv. 3744). Da qui il desiderio di morte con cui si chiude il canto, come un atto di protesta contro l ottusa cecità del destino, inevitabile e logica conseguenza della condizione in cui la natura ha collocato l uomo, dotandolo di virtù, che si rivelano però semplici illusioni e inutili fantasmi. Le scelte stilistiche Il dolore viene percepito da Saffo con tragica acutezza: si ha coscienza della sventura più profondamente quando, come nel suo caso, si riceve in sorte un animo grande. Tuttavia, nel corso del componimento, Leopardi sembra ampliare i confini del destino avverso: al Noi iniziale (v. 8, v. 14 e v. 15), che coinvolge in prima persona Saffo (e, dietro il suo mito, la figura e l esperienza del poeta stesso), subentrano altri plurali, che invece alludono a una condizione universale (nostro dolor, v. 47; Negletta prole / nascemmo al pianto, vv. 47-48; Morremo, v. 55). Affiora, insomma, la dimensione cosmica del pessimismo leopardiano, destinato ad approfondirsi nelle poesie successive: l augurio che la poetessa formula a Faone di raggiungere la felicità (vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal, vv. 61-62) non nasconde il dubbio o addirittura l insinuazione che ciò non potrà accadere, per lui come per ogni altro essere umano. Il linguaggio adottato da Leopardi nel canto traduce assai efficacemente le istanze teoriche della poetica del vago e dell indefinito. In questa direzione vanno le scelte sintattiche, caratterizzate da costrutti ipotattici ricchi di inversioni, iperbati e anafore, i riferimenti mitologici che collocano la situazione lirica al di là di un tempo preciso (erinni, v. 5; Giove, v. 12; Parca, v. 43; Dite, v. 56; Tartaro, v. 70), ma soprattutto le soluzioni lessicali di tipo aulico, che oltre a conferire al testo un tono solenne, ne accrescono specie nella descrizione del paesaggio la suggestiva indeterminatezza (verecondo, v. 1; tenebroso aere, v. 13; vittrice, v. 18; rorida terra, v. 20; aprico, v. 28; lubrico, v. 34; ecc.) 62 / GIACOMO LEOPARDI

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