Classe di letteratura - Giacomo Leopardi

e sulle loro povere creazioni, desti nate a essere azzerate per sempre: Dipinte in queste rive / son dell umana gente / le magnifiche sorti e progressive (vv. 4951). Seconda strofa: contro lo spiritualismo cattolico Il poeta polemizza con il proprio tempo, definito, in una secca apo strofe, secol superbo e sciocco (v. 53). A partire dal Rinascimento (risorto pensier, v. 55) e poi con l Il Ivan Konstantinovich Aivazovsky, Il golfo di Napoli in una luminismo, l approccio razionale al notte di luna, 1842. Teodosia (Ucraina), Galleria d Arte la realtà era riuscito, almeno in par Nazionale. te, a sconfiggere la barbarie (v. 75) medievale, cioè nella visione leopardiana l insieme delle credenze religiose, equiparate a mere superstizioni irrazionalistiche. Il Romanticismo mistifica infatti la realtà, autocelebran dosi in modo paradossale e ingannevole: esso chiama procedere (v. 58) quello che è inve ce un ritornar (v. 57: un indietreggiare cioè verso il buio dell ignoranza); annovera tra i pro pri valori la Libertà (v. 72), ma in realtà il pensiero contemporaneo sembra andare piuttosto stabilendo una nuova schiavitù della ragione nei confronti della fede e dei dogmi religiosi. La polemica dell autore si appunta in particolare contro lo spiritualismo cattolico che pone l uomo al centro della mente divina (fin sopra gli astri, v. 86). Tuttavia per Leopardi chi professa questa concezione della condizione umana illude sé stesso oppure è in mala fede (se schernendo o gli altri, astuto o folle, v. 85; ancora / ch a ludibrio talora / t abbian fra sé, vv. 6163). Diversa è infatti la posizione del poeta, che, avverso a ogni metafisica, rifiuta la religione in quanto per lui espressione di viltà (Non io / con tal vergogna scenderò sotterra, vv. 6364), pur essendo consapevole che chi va controcorrente rispetto al pensiero dominante è fatto oggetto di quella che gli antichi Romani chiamavano damnatio memoriae, cioè la condanna alla dimenticanza. Terza strofa: la solidarietà fra gli uomini Dinanzi al male che domina l esistenza, gli uomini si dividono per Leopardi in due catego rie: quelli che si ostinano a ritenersi fortunati in quanto esseri privilegiati nell universo e quelli che invece, guardando in faccia la realtà, riconoscono la miseria dello stato umano sulla Terra. Il poeta propende naturalmente per questa seconda visione, perché i primi a suo giudizio sono patetici e ricordano un uomo povero e malato che parli di sé stesso co me di una persona ricca e sana: che neghi, cioè, l evidenza. Quello di Leopardi, peraltro, non è soltanto puntiglio intellettuale, perché l adesione alla verità ha una positiva ricadu ta morale e sociale: una volta riconosciuta la tristezza della condizione umana, è possibile allearsi contro il nemico comune, la natura, madre [ ] di parto e di voler matrigna (v. 125). In tal modo la concezione della vita avrà solide fondamenta razionali, in grado di promuo vere la giustizia e la solidarietà. Quarta strofa: il riso e la pietà Con la quarta strofa la dimensione spaziotemporale si allarga da una prospettiva terre stre a una cosmica. Osservando il cielo dal paesaggio ricoperto dalla lava, il poeta è in dotto a riflettere su come, rispetto all universo, la Terra e l uomo siano un nulla. Il pano rama astrale non evoca più, come nell Infinito ( T9, p. 68), l immensità in cui l individuo può perdersi con l immaginazione, ma diventa la metafora dell irrilevanza dell uomo, ri dotto nel sistema universale a uno stato di assoluta e ininfluente marginalità. Per questo, a metà tra la derisione e la pena (Non so se il riso o la pietà prevale, v. 201), Leopardi at tacca la cultura del proprio secolo, il quale ha riportato in auge miti e credenze religiose che la ragione illuministica sembrava aver sconfitto per sempre, perpetuando un ingan nevole immagine antropocentrica del mondo. Quinta strofa: la capacità distruttrice della natura Il motivo dell insignificanza dell uomo viene ripreso anche in questa strofa, mediante una lunga similitudine, che la occupa quasi per intero e che costituisce una sorta di apologo: come un frutto maturo cadendo da un albero annienta (schiaccia, diserta e copre, v. 211) un intera colonia di formiche, così l eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. ha distrutto (confuse / e infranse e ricoperse, vv. 224225) le città limitrofe, facendo perire tragicamente tutti i lo L AUTORE / 121

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