T17 - A se stesso

A se stesso / T17 / Canti, 28 / L inganno dell amore e la condanna del potere negativo della natura / Scritto probabilmente nel 1833, è il testo più duro e disperato del cosiddetto ciclo di Aspasia : concentrato in 16 versi, costituisce l appello finale del poeta al proprio cuore. In esso Leopardi sviluppa il tema della disillusione amorosa, a partire dalla sfortunata esperienza di una passione non corrisposta, quella per Fanny Targioni Tozzetti, una nobildonna fiorentina bellissima e affascinan te, ma fredda e insensibile nei suoi confronti. METRO Endecasillabi e settenari liberamente rimati. 5 10 15 Or poserai per sempre, stanco mio cor. Perì l inganno estremo, ch eterno io mi credei. Perì. Ben sento, in noi di cari inganni, non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai palpitasti. Non val cosa nessuna i moti tuoi, né di sospiri è degna la terra. Amaro e noia la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. T acqueta omai. Dispera l ultima volta. Al gener nostro il fato non donò che il morire. Omai disprezza te, la natura, il brutto poter che, ascoso, a comun danno impera, e l infinita vanità del tutto. 1 poserai: riposerai. 2-3 Perì credei: è venuta meno l ultima illusione (quella dell amore per Fanny) che io avevo creduta eterna. 3-5 Ben sento spento: avverto chiara mente (Ben sento) che in me è spenta non solo la speranza, ma anche il desiderio del le dolci illusioni (cari inganni). 6-7 Assai palpitasti: hai palpitato a suffi cienza (provando passioni e sentimenti, e dunque soffrendo). Evidente il riferimento a una celebre espressione di Pietro Meta stasio («Assai / si palpitò , Attilio Regolo, III, vv. 249250). 7-8 Non val tuoi: nessuna cosa merita i tuoi palpiti. 9-10 Amaro la vita: il soggetto è la vita e va sottinteso il verbo, è. 11 T acqueta omai: ormai acquietati, cal mati. 11-12 Dispera l ultima volta: smetti per sempre di sperare. 14 te: te stesso. 14-15 il brutto poter che, ascoso, a comun danno impera: quella potenza malvagia che misteriosamente (ascoso, aggettivo con valore avverbiale) cospira per l infe licità di tutti (a comun danno). il pote re della natura, vista da Leopardi come un entità maligna e identificata con Ari mane, dio del male, al quale il poeta de dica nel 1833 l abbozzo di un inno. 16 l infinita vanità del tutto: l assoluta inu tilità del mondo. Il concetto è espresso due volte nello Zibaldone: «Oh infinita vanità del vero! (69) e «Tutto è vanità (3990). DENTRO IL TESTO Il poeta a colloquio con il proprio cuore I contenuti tematici Svanita la possibilità di una relazione con la donna amata, il poeta, rivolgendosi al proprio cuore, esprime una visione sconsolata della vita e lo esorta a non tenere più in alcun con to i sentimenti, che sono pure illusioni, la natura, che è matrigna, ostile agli uomini, e l u niverso stesso, che è inutile e privo di significato. In particolare, Leopardi si scaglia contro il brutto / poter che, ascoso, a comun danno impera (vv. 1415): una sorta di imprecazione rivolta contro una forza del male che a suo giudizio regge il destino umano, presiedendo nascostamente allo svolgersi di ogni vita. 110 / GIACOMO LEOPARDI

Classe di letteratura - Giacomo Leopardi
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