I poeti e la luna: «un cargo spaziale ininterrotto, un viavai di shuttle con le stive zeppe di lirismi, metafore, visioni e ambiguità, merce visionaria di prima scelta per penne avvolte nell’alloro, per ugole ben oliate alle rime, alle sillabe squisite dei cantastorie dell’anima», ha scritto il critico Ezio Savino. Nel cantare le suggestioni del più letterario degli astri celesti, Leopardi è in buona compagnia: da Omero e Saffo in poi, pochi poeti hanno resistito alla tentazione di invocare la luna, testimone degli amori e delle sofferenze umane, confidente di angosce e sentimenti segreti. E sbaglia chi pensa che il suo fascino sia venuto meno da quando il piede “sacrilego” dell’uomo l’ha resa più vicina, meno arcana e inattingibile. Lo dimostrano i versi di tre poeti contemporanei, Silvio Ramat (n. 1939), Vivian Lamarque (n. 1946) e Pierluigi Cappello (1967-2017), ciascuno dei quali offre un esempio dell’ispirazione lirica alimentata dalla luna.
CONSONANZE CONTEMPORANEE - Ramat, Lamarque e Cappello - Lune del Novecento
CONSONANZE CONTEMPORANEE
Ramat, Lamarque e Cappello
LUNE DEL NOVECENTO
La luna
Chiede la luna. Vorrebbe sapere
se ancora esiste, nei cieli, una luna.
Così presto
le sistemano per la notte, e calano
così precocemente le serrande
a cancellare il mondo e ogni figura,
che una domanda la luna.
E una volta,
fra rito e rito sgusciando in astuzia,
si dovrà provvedere. Silenziosi,
di lana infagottando lei che ha chiesto
della luna, pilotarla decisi
alla veranda. E sperare che i vetri
dell’inverno toscano siano specchi
senza lacuna. E che si torni giovani
ritrovando la luna.
(Silvio Ramat, Tutte le poesie, Interlinea, Novara 2006)
Oh essere anche noi la luna di qualcuno!
Oh essere anche noi la luna di qualcuno!
Noi che guardiamo
essere guardati, luccicare
sembrare da lontano
la candida luna
che non siamo.
(Vivian Lamarque, Poesie, 1972-2002, Mondadori, Milano 2002)
Buonanotte
Ti scrivo che lassù la luna brilla
perché brilla la luna madreperla
madreluna che sta come una spilla
nell’asola corvina della notte;
ti mando, amore, questa buonanotte
non perché di notte, anima più luna,
le parole avvicinano di più
ma perché perla e luna hai fatto in me
di ogni parola che scrivo di te
lontananza di un’isola marina.
(Pierluigi Cappello, La misura dell’erba, Gallino editore, Milano 1998)
Per SCRIVERNE
I tre poeti utilizzano l’immagine e la simbologia della luna, personificandola: nel caso di Ramat, facendone simbolo esistenziale, come accade anche nella lirica di Vivian Lamarque; riproponendola carica di echi romantici, quasi di stampo ottocentesco, nell’interpretazione di Cappello. Ti sembra che nei versi di questi tre autori si percepisca una qualche reminiscenza leopardiana? Quale delle tre poesie ti è piaciuta maggiormente? Rispondi a queste domande in un testo argomentativo, motivando le tue preferenze.