T7 - Ultimo canto di Saffo

T7

Ultimo canto di Saffo

Canti, 9

A parlare in prima persona è Saffo, la poetessa greca del VII-VI secolo a.C. che secondo una leggenda si era innamorata di un giovinetto di nome Faone e, non ricambiata, si uccise gettandosi dalla rupe di Leucade, sul mar Ionio. La lirica è composta dal 13 al 19 maggio 1822, come si legge in una postilla che accompagna il testo autografo.


Metro Canzone libera composta da 4 strofe di 18 versi, di cui i primi 16 sono endecasillabi sciolti e gli ultimi 2 un settenario e un endecasillabo a rima baciata.

Placida notte, e verecondo raggio
della cadente luna; e tu che spunti
fra la tacita selva in su la rupe,
nunzio del giorno; oh dilettose e care
5      mentre ignote mi fur l’erinni e il fato,
sembianze agli occhi miei; già non arride
spettacol molle ai disperati affetti.
Noi l’insueto allor gaudio ravviva
quando per l’etra liquido si volve
10    e per li campi trepidanti il flutto
polveroso de’ Noti, e quando il carro,
grave carro di Giove a noi sul capo,
tonando, il tenebroso aere divide.
Noi per le balze e le profonde valli
15    natar giova tra’ nembi, e noi la vasta
fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto
fiume alla dubbia sponda
il suono e la vittrice ira dell’onda.

Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
20    sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
infinita beltà parte nessuna
alla misera Saffo i numi e l’empia
sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni
vile, o natura, e grave ospite addetta,
25    e dispregiata amante, alle vezzose
tue forme il core e le pupille invano
supplichevole intendo. A me non ride
l’aprico margo, e dall’ eterea porta
il mattutino albor; me non il canto
30    de’ colorati augelli, e non de’ faggi
il murmure saluta: e dove all’ombra
degl’inchinati salici dispiega
candido rivo il puro seno, al mio
lubrico piè le flessuose linfe
35    disdegnando sottragge,
e preme in fuga l’odorate spiagge.
Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
40    In che peccai bambina, allor che ignara
di misfatto è la vita, onde poi scemo
di giovanezza, e disfiorato, al fuso
dell’indomita Parca si volvesse
il ferrigno mio stame? Incaute voci
45    spande il tuo labbro: i destinati eventi
move arcano consiglio. Arcano è tutto,
fuor che il nostro dolor. Negletta prole
nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
de’ celesti si posa. Oh cure, oh speme
50    de’ più verd’anni! Alle sembianze il Padre,
alle amene sembianze eterno regno
diè nelle genti; e per virili imprese,
per dotta lira o canto,
virtù non luce in disadorno ammanto.

55    Morremo. Il velo indegno a terra sparto
rifuggirà l’ignudo animo a Dite,
e il crudo fallo emenderà del cieco
dispensator de’ casi. E tu cui lungo
amore indarno, e lunga fede, e vano
60    d’implacato desio furor mi strinse,
vivi felice, se felice in terra
visse nato mortal. Me non asperse
del soave licor del doglio avaro
Giove, poi che perìr gl’inganni e il sogno
65    della mia fanciullezza. Ogni più lieto
giorno di nostra età primo s’invola.
Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l’ombra
della gelida morte. Ecco di tante
sperate palme e dilettosi errori,
70    il Tartaro m’avanza; e il prode ingegno
han la tenaria Diva,
e l’atra notte, e la silente riva.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Lo sfogo accorato di Saffo si dispiega in una lirica nella quale il poeta rappresenta l’infelicità di un animo sensibile e appassionato, chiuso in un corpo sgraziato. L’io poetico lamenta il disprezzo con il quale la natura l’ha trattato. Nei paesaggi tormentati da un tempo burrascoso, Saffo cerca il conforto di uno scenario che assomigli al proprio cuore, anch’esso in burrasca, secondo un’originale interpretazione del tema romantico del sublime: la poetessa non trova appagamento nella contemplazione dei luoghi ameni, ma è affascinata dagli spettacoli cupi e tempestosi, che ricordano i Canti di Ossian.

Tuttavia ciò non basta a placare la sua ansia, la quale sfocia nel monologo infelice di una creatura che si sente abbandonata dalla natura come da un padre: perché il destino è stato così crudele con lei? È un interrogativo al quale non c’è risposta. Arcano è tutto, / fuor che il nostro dolor (vv. 46-47): l’unica certezza è l’infelicità, accresciuta dalle sgomente ma inutili domande su quale sia stato il peccato che l’ha condannata: Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso / macchiommi anzi il natale…; In che peccai bambinaferrigno mio stame? (vv. 37-44). Da qui il desiderio di morte con cui si chiude il canto, come un atto di protesta contro l’ottusa cecità del destino, inevitabile e logica conseguenza della condizione in cui la natura ha collocato l’uomo, dotandolo di virtù, che si rivelano però semplici illusioni e inutili fantasmi.

Le scelte stilistiche

Il dolore viene percepito da Saffo con tragica acutezza: si ha coscienza della sventura più profondamente quando, come nel suo caso, si riceve in sorte un animo grande. Tuttavia, nel corso del componimento, Leopardi sembra ampliare i confini del destino avverso: al Noi iniziale (v. 8, v. 14 e v. 15), che coinvolge in prima persona Saffo (e, dietro il suo mito, la figura e l’esperienza del poeta stesso), subentrano altri plurali, che invece alludono a una condizione universale (nostro dolor, v. 47; Negletta prole / nascemmo al pianto, vv. 47-48; Morremo, v. 55). Affiora, insomma, la dimensione cosmica del pessimismo leopardiano, destinato ad approfondirsi nelle poesie successive: l’augurio che la poetessa formula a Faone di raggiungere la felicità (vivi felice, se felice in terra / visse nato mortal, vv. 61-62) non nasconde il dubbio o addirittura l’insinuazione che ciò non potrà accadere, per lui come per ogni altro essere umano.

Il linguaggio adottato da Leopardi nel canto traduce assai efficacemente le istanze teoriche della poetica del vago e dell’indefinito. In questa direzione vanno le scelte sintattiche, caratterizzate da costrutti ipotattici ricchi di inversioni, iperbati e anafore, i riferimenti mitologici che collocano la situazione lirica al di là di un tempo preciso (erinni, v. 5; Giove, v. 12; Parca, v. 43; Dite, v. 56; Tartaro, v. 70), ma soprattutto le soluzioni lessicali di tipo aulico, che oltre a conferire al testo un tono solenne, ne accrescono – specie nella descrizione del paesaggio – la suggestiva indeterminatezza (verecondo, v. 1; tenebroso aere, v. 13; vittrice, v. 18; rorida terra, v. 20; aprico, v. 28; lubrico, v. 34; ecc.)

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VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 Riassumi il contenuto complessivo del testo in circa 10 righe.


2 Come sembra reagire la natura al passaggio di Saffo?


3 Che cosa dice Saffo a Faone?

Analizzare

Al v. 40 bambina è


a soggetto.


b complemento di tempo determinato.


c complemento predicativo del soggetto.


d complemento di modo.



5 Al v. 45 labbro è


a una metafora.


b una sineddoche.


c una sinestesia.


d una sineresi.



Al v. 48 al pianto è complemento di


a fine.


b svantaggio.


c interesse.


d causa.



Ai vv. 57-58 cieco / dispensator de’ casi è


a un’anastrofe.


b una perifrasi.


c un iperbato.


d una prosopopea.

interpretare

8 Un anno dopo la stesura dell’Ultimo canto di Saffo così scrive Leopardi nello Zibaldone: «La vita umana non fu mai più felice che quando fu stimato poter essere bella e dolce anche la morte, né mai gli uomini vissero più volentieri che quando furono apparecchiati e desiderosi di morire per la patria e per la gloria». Come possiamo interpretare questo passo se lo mettiamo in relazione alla poesia?


Ti sembra che questo componimento possa essere letto in chiave autobiografica? Motiva la tua risposta.

sviluppare il lessico

10 Indica, per ciascuno dei termini seguenti, di registro aulico e presenti nel testo, un sinonimo di uso corrente, oltre a quello usato nella parafrasi.


verecondo

 

rorida

 

aprico

 

lubrico

 

stame

 

negletta

 

atra

 

doglio

 

scrivere per...

argomentare

11 Al v. 54 Saffo afferma che virtù non luce in disadorno ammanto. Vale a dire: puoi essere bravo, intelligente, onesto, virtuoso, ma se hai un aspetto fisico non conforme ai canoni estetici dominanti, nessuno è disposto a riconoscere i tuoi pregi e a valorizzarli. Ti sembra che nel mondo di oggi questa “legge” sia valida? Rispondi con un testo argomentativo di circa 30 righe illustrando il tuo punto di vista attraverso esempi tratti dall’osservazione della realtà sociale contemporanea.

Classe di letteratura - Giacomo Leopardi
Classe di letteratura - Giacomo Leopardi